Siamo in Sardegna su un’isola deserta, dove Fredi [Jacques Perrin] e Max [Fabrizio Capucci] hanno condotto Sergia [Catherine Spaak] con il mutuo accordo di portarsela a letto entrambi. La villa dove trascorrono alcuni giorni di vacanza non è dello zio di Fredi, come lui fa credere alla ragazza, ma di un maturo borghese che quando arriva in motoscafo riprende possesso della sua abitazione. Fredi e Max diventano rivali per colpa di Sergia: il secondo pensa che lei abbia fatto l’amore con l’amico, ma non è vero, perché hanno soltanto dormito nello stesso letto. Sergia si trasforma nell’oggetto del desiderio dei coetanei che lottano per lei e ad un certo punto Max rischia persino di uccidere l’amico. Nel menage a trois irrompe la variabile di Guido, l’uomo maturo che incontra la lolita in mare aperto e la conquista con modi galanti. Tra l’altro la ragazza perde la verginità proprio con lui, ingannandolo sul fatto che non fosse mai stata con un uomo. Max si suicida per la disperazione. Fredi è in collera con Guido, tenta di picchiarlo, sa bene che per colpa sua ha perduto ragazza e amico. Tutto finisce con la ragazza che si riprende la sua libertà e rifiuta di sposare l’uomo maturo. “Ho diciotto anni”, dice. Un matrimonio riparatore non fa parte dei suoi interessi e neppure una sistemazione borghese. Guido ne esce distrutto perché si era innamorato.
Un film ben girato, caratterizzato da un’ottima fotografia sarda, interpretato da attori ben diretti e chiaramente ispirato alla filosofia di Michelangelo Antonioni. Troviamo l’accusa al mondo borghese e il problema della difficoltà dei rapporti interpersonali, ma il regista affronta anche il contrasto generazionale e i rapporti uomo-donna nella loro globalità. Le psicologie dei personaggi sono molto approfondite e in linea con il periodo storico, molto credibili i due ragazzi con la loro fragilità e anche il maturo borghese innamorato della ragazzina. Catherine
Spaak si concede in numerosi nudi, coperti astutamente da rocce e mare in diverse occasioni, ma è molto affascinante nel consueto ruolo da lolita che fa innamorare un uomo maturo. La censura non permette che venga pronunciata la parola “vergine” e il regista deve trovare una serie di locuzioni per far capire la situazione fisica della ragazza. Inutile dire che anche i nudi integrali devono essere coperti, così come è impossibile mostrare rapporti erotici. In ogni caso la Spaak è bellissima in bikini mentre fa sci d’acqua, quando prende il sole nuda sulle scogliere, quando si tuffa e nuota nelle acque azzurre della Sardegna. La sua interpretazione da ragazza libera e disinibita, lolita sbarazzina che civetta con i coetanei e fa cadere ai suoi piedi gli uomini adulti, è spontanea e convincente. La calda vita [1964] è un dramma sulla gioventù e un’accusa al perbenismo borghese che al tempo fa scalpore, sia per il finale tragico che per una morale non consolatoria. Adesso fa soltanto pensare al passato e a come siano cambiati i tempi.
Florestano Vancini [Ferrara, 1926 – Roma, 2008] è un regista importante del nostro cinema, un autore impegnato politicamente e da un punto di vista socio-psicologico. Proviene dal documentario, aiuto regista di Mario Soldati e di Valerio Zurlini, esordisce alla regia con La lunga notte del ’43 [1960], tratto da una storia ferrarese di Giorgio Bassani, forse il suo film più rappresentativo per efficacia narrativa. Si avvicina alla tematica erotica con Le italiane e l’amore [1962], diretto da uno squadrone di registi, dove lui firma La separazione legale, un lavoro collettivo per indagare i comportamenti sessuali degli italiani che diventa un’antologia di storie interpretate da attori non professionisti. I lavori successivi sono La banda Casaroli [1962], sulla delinquenza nel dopoguerra e, appunto, La calda vita [1964].
Gordiano Lupi
Regia: Florestano Vancini
Con: Catherine Spaak, Gabriele Ferzetti, Jacques Perrin, Fabrizio Capucci, Alina Zalewska, Daniele Vargas
Sceneggiatura: Florestano Vancini, Elio Bartolini, Marcello Fondato