Un giovane detective privato [Brandon Routh], belloccio e particolarmente antipatico, tira a campare, assieme ad un maldestro assistente [Sam Huntington], in un appartamento sporco e disordinato, nella città di New Orleans.
Il detective ha un passato sui generis, che lo rende ancora più schivo e dannato di quanto non fosse in origine: la città di New Orleans è, infatti, un luogo liminale, dove quelli che definiamo “mostri” vivono sotto mentite spoglie, perfettamente integrati nelle società. Ma vampiri, lupi mannari e zombi non sembrano andare tanto d’accordo, così è d’obbligo che a mediare fra loro vi sia un giudice imparziale, che vegli sulle diatribe del popolo dei non-morti.
Il nostro detective era quel giudice, fino a qualche anno prima dell’inizio della storia, ma abbandonò l’angusto ruolo, dopo uno strano incidente in cui perse la vita l’unica donna che avesse mai amato.
Le giornate del palestrato passano monotone, tra qualche scatto fotografico alle segrete effusioni tra un marito infedele e la sua amante, e le discussioni con il giovane assistente, fino a quando un’insignificante biondina entra nella sua vita, con un padre assassinato di fresco e una strana croce gemmata trafugata dalla collezione di oggetti antichi di quest’ultimo.
Chi ha ucciso il pover’uomo? Un lupo mannaro, sembra, ma non è tutto. Vargas il vampiro, direttore di una discoteca e boss di un moderno narco-traffico [a base di sangue di vampiri], sembra, infatti, essere fastidiosamente invischiato nella faccenda.
Tutto questo non potrà che pungolare l’antipatico detective per portarlo a calcare di nuovo il terreno oscuro, e brulicante di vermi [che sono il cibo di cui gli zombi vanno ghiotti, per chi non lo sapesse], su cui si muovono le creature della notte, armato fino ai denti e pronto a prenderle.
Di chi stiamo parlando? Non riconoscete il personaggio? Ma certo, Dylan Dog [ovviamente], l’indagatore dell’incubo, o meglio, la sua rielaborazione filmica firmata Kevin Munroe [TMNT, 2007].
Il film ci aveva già fatto discutere riguardo la presunta incongruenza tra il protagonista della pellicola e quello della serie a fumetti edita da Sergio Bonelli Editore.
Il regista difende la sua posizione, puntando l’arringa sul fatto che, lavorando sulla trasposizione filmica di un qualsiasi personaggio [dei fumetti come letterario], è assolutamente normale apportare delle modifiche atte a renderlo più grammaticalmente coerente con il nuovo mezzo in cui è inserito.Ora che tutti i dubbi sono stati fugati, possiamo affermarlo a gran voce: Dylan Dog – il film non parla nella maniera più assoluta di Dylan Dog. E se vi sembra di poter supportare questa tesi solo leggendo le poche righe dell’ironica sinossi che fa da incipit al pezzo, purtroppo non avete ancora bene in mente quanto il personaggio di Munroe possa essere distante da quello che conosciamo. Stiamo parlando di lacune incolmabili, di scelte dall’opposto diametro.
Siamo d’accordo, ma se nel meccanismo del rimpasto il personaggio rimanesse incastrato, e ne venisse fuori [a fatica] una brutta copia, una forzata caricatura, forse gli autori avrebbero potuto riflettere sull’ipotesi di non impadronirsi immotivatamente di un nome.
Dylan Dog – il film è solo un lavoro al ribasso: se il fumetto rappresenta un punto alto nella produzione nostrana delle nuvole parlanti, il film, cercando di allontanare tutti, cerca la via più facile, e si affloscia in un teen-horror-movie, ma non riesce a primeggiare neanche tra questi. Il film di Munroe fa acqua da più punti: è permeato fino all’indigestione di sciocca ironia, i vampiri sono chiaramente presi in prestito da horror televisivi in stile Buffy e gli zombi… signori miei, un capitolo a parte lo meriterebbero gli zombi, frammezzati fra comici di scadente cabaret ed enormi creature tutto-muscoli completamente fuori di testa.
Assieme al vero Dylan Dog scompare, giustamente, tutto il suo mondo, fatto di comprimari e antagonisti [da Groucho a Bloch a Xabaras], di cui Thomas Dean Donnelly e Joshua Oppenheimer, sceneggiatori del film, hanno pensato di poter fare a meno.
I due, al posto di questi tasselli fondamentali, offrono un incontrollato cattivo gusto [vampiri che zompano come grilli; frasi da bullo come “Può essere duro morire a New Orleans, ma se muori e fai ritorno chiami me, Dylan Dog.”; lupi mannari al vertice di famiglie di stampo mafioso; fucili, nocchiere d’argento e pallottole di legno]. A nulla servono i tentativi di blanda corruzione che tentano di inscenare un’inesistente intesa tra Munroe e lo spettatore [Groucho e i fratelli Marx citati fotograficamente, Marcus che lancia la pistola a Dylan sul finale, un “Giuda Ballerino” pronunciato di sfuggita solo nella versione italiana e due vampiri di nome Sclavi e Sergio].
Per altro i veri Sclavi e Bonelli stendono sulla faccenda un velo di pesante silenzio: nessuna dichiarazione, ufficiale o meno, tantomeno uno schierarsi a favore o contro il film. Forse perché coscienti [troppo tardi] di aver messo il figliol prologo nelle mani sbagliate.
La bella notizia, che si subodora dal finale aperto, è la possibilità, ben sperata dal regista, di mettere ancora mano alla nostra ferita, e regalarci un secondo episodio del Dylan Dog made in USA. Dio ce ne scampi.
Luca Ruocco
Regia: Kevin Munroe
Con: Brandon Routh, Anita Briem, Sam Huntington
Anno: 2011
Uscita in sala in Italia: mercoledì 16 marzo 2011
Sceneggiatura: Thomas Dean Donnelly, Joshua Oppenheimer
Produzione: Moviemax
Distribuzione: Moviemax