Pasquale Festa Campanile è laureato in legge, scrive per giornali, televisione e firma alcune sceneggiature di film importanti: Gli innamorati [1955] e La viaccia [1961] di Mauro Bolognini; Rocco e i suoi fratelli [1960] e Il gattopardo [1963] di Luchino Visconti; L’assassino [1961] di Elio Petri; Smog [1962] di Franco Rossi; Le quattro giornate di Napoli [1962] di Nanni Loy e Una storia moderna: L’ape regina [1962] di Marco Ferreri.
Il suo lavoro come sceneggiatore copre tutti gli anni cinquanta e i primi anni sessanta, accanto a scrittori di cinema come Giuseppe Berto, Massimo Franciosa, Suso Cecchi D’Amico e Goffredo Parise.
Pasquale Festa Campanile dirige il suo primo film nel 1963, insieme al collega sceneggiatore Massimo Franciosa: Un tentativo sentimentale, ma non riscuote l’approvazione né del pubblico né della critica che lo definisce “un tentativo di maniera di rifare Antonioni”.
Oggi il film è stato rivalutato; Paolo Mereghetti nel famoso Dizionario concede due stelle e mezza con questo giudizio: “Un’analisi dell’aridità emotiva negli anni del boom e dell’ipocrisia borghese prima della legge sul divorzio: lucida, con dialoghi taglienti e calibrati, un po’ chiusa nella constatazione di un’impasse. Qualche ovvio ricordo di Antonioni negli spazi asettici e geometrici”. Gli interpreti sono Françoise Prevost, Jean-Marc Bory, Leticia Roman, Gabriele Ferzetti, Barbara Steele, Giulio Bosetti, Maria Pia Luzi e Marino Masè. L’ottima fotografia è di Ennio Guarnieri, mentre le musiche sono di Piero Piccioni.
Festa Campanile e Franciosa, con la collaborazione di Elio Bartolini e Luigi Magni, sceneggiano una storia basata su una relazione extraconiugale, dove la donna vorrebbe lasciare il marito per il nuovo compagno, ma l’uomo preferisce lasciare le cose come stanno e avere un’amante accanto alla moglie.
Festa Campanile ci riprova con Le voci bianche [1964], diretto e sceneggiato con la collaborazione di Franciosa, e questa volta colpisce nel segno perché realizza un ottimo spaccato storico della Roma del settecento, un ritratto veritiero della corte pontificia e della nobiltà papalina. Interpreti: Paolo Ferrari, Anouk Aimée, Sandra Milo, Vittorio Caprioli, Philippe Leroy, Leopoldo Trieste, Claudio Gora, Graziella Granata, Barbara Steele e Jacqueline Sassard. Un popolano si finge un cantante eunuco, fa carriera e conquista donne bellissime nella Roma del settecento, ma i suoi problemi cominciano quando mette incinta una nobildonna. Festa Campanile comincia a tirare fuori la sua vena graffiante, satirica e irriverente, soprattutto anticonformista, realizzando una pellicola che diverte e sa calarsi nella realtà storica. Luigi Magni è sceneggiatore insieme ai due registi e conferisce all’opera tutta la sua conoscenza della Roma settecentesca. La critica definisce Le voci bianche come il miglior film di Pasquale Festa Campanile, ricco di digressioni narrative, aneddoti picareschi e particolari piccanti.
La costanza della ragione [1964] porta al cinema il romanzo omonimo di Vasco Pratolini, sceneggiato dal regista con la collaborazione di Fabio Carpi, ed è un onesto lavoro di trasposizione su pellicola di un’opera letteraria. Ottimi gli interpreti: Catherine Deneuve, Enrico Maria Salerno, Sami Frey, Andrea Checchi, Valeria Moriconi, Glauco Mauri e Sergio Tofano. La storia racconta le vicissitudini di un personaggio maschile che dopo sconfitte e frustrazioni di ogni genere abbandona la logica del sentimento per scendere a patti con il compromesso. Ricco di flashback e di voci fuori campo, resta un buon film, anche se non del tutto compiuto e non sempre uniforme tra parte intima e sociale.
Una vergine per il principe [1965] è un altro film in costume interpretato da Vittorio Gassman, Virna Lisi, Philippe Leroy, Vittorio Caprioli, Maria Grazia Buccella, Mario Scaccia, Paola Borboni, Anna Maria Guarnieri e Tino Buazzelli. Si tratta di un episodio storico avvenuto al tempo dei Gonzaga sceneggiato dal regista che comincia a delineare una certa propensione per la tematica comico – erotica. Gassman è Vincenzo Gonzaga, impegnato a dimostrare la sua virilità con una popolana vergine [Lisi] prima di sposarsi ancora una volta.
Pasquale Festa Campanile è attivo anche come narratore: La nonna Sabella, Conviene far bene l’amore, Il ladrone, Il peccato e La strega innamorata, sono soltanto alcuni titoli. Scrive la celebre commedia musicale Rugantino [1962] insieme a Massimo Franciosa e nel 1973 la porta sul grande schermo.
Nel quadro della nostra trattazione, l’opera di Pasquale Festa Campanile interessa soprattutto per una lunga serie di commedie satiriche ed erotiche [circa cinquanta in vent’anni], basate su una comicità spontanea e vicina alla farsa, ma che riscuotono un buon successo di pubblico. Pasquale Festa Campanile trasforma il modello della commedia classica ed è uno dei registi più prolifici del cinema italiano, tenendosi sui livelli produttivi dei vecchi Mattoli e Mastrocinque per il decennio passato, per rapidità di esecuzione, buona capacità di direzione degli attori e confezione di lavori mediamente buoni. Non tutti i titoli sono allo stesso livello, perché la quantità spesso va a detrimento della qualità e non sempre il regista è libero di scegliere cose nelle sue corde, ma in ogni caso Pasquale Festa Campanile si afferma come uno dei registi simbolo del comico-erotico. Procede con ritmo uniforme lungo un binario che porta successi commerciali, soddisfazione di pubblico, ma spesso poca attenzione da parte della critica. A lui non interessa, segue le richieste del pubblico e le asseconda, girando prodotti che il mercato assorbe con facilità, ma senza mai rinunciare a una certa impronta stilistica. Ripercorre le strade dei telefoni bianchi degli anni sessanta e settanta, ma lo fa con una lettura aggiornata e senza perdere di vista una confezione raffinata, sempre di ottimo livello.
Il critico Gian Piero Brunetta nella sua indispensabile Storia del Cinema Italiano [Editori Riuniti] paragona Pasquale Festa Campanile a Mario Soldati, perché come lui “possiede buoni doti letterarie, ma le mette a disposizione del cinema con lo spirito di un mercenario e di un capitano di ventura, senza sentirsi mai espropriato del proprio talento, né esiliato rispetto alla propria patria culturale”.
La prima commedia erotica di Pasquale Festa Campanile è Adulterio all’italiana [1966], basata sulla fresca bellezza di Catherine Spaak e sulla carica erotica di Maria Grazia Buccella [non molto utilizzata], ma soprattutto interpretata da un travolgente Nino Manfredi. Nel cast troviamo anche Mario Pisu, Vittorio Caprioli, Akim Tamiroff e Gino Pernice. La sceneggiatura è del regista con la collaborazione di Luigi Malerba e Ottavio Alessi, mentre la colonna sonora – allegra e scanzonata – è di Armando Trovajoli, basata sul motivetto Bada Caterina [Migliacci – Trovajoli], cantata da Carmen Villani. La scenografia è molto elegante e i costumi ispirati all’arte contemporanea sono di Pier Luigi Pizzi.
La trama è semplice e si racconta in poche parole. Nino Manfredi tradisce la moglie [Spaak] con la sua più cara amica [Buccella], ma quando la prima se ne rende conto decide di rendergli pan per focaccia e promette di tradirlo, senza dire il nome del prescelto. Manfredi impazzisce di gelosia e si ingegna per scoprire il presunto amante della moglie che in realtà non esiste, ma è solo una macchinazione.
Mereghetti parla di “una farsa un po’ stiracchiata e dalla morale conformista [solo il marito può tradire, la moglie no]”, ma non ci sentiamo di condividere. Adulterio all’italiana è una classica commedia all’italiana, con momenti da pochade ed elementi farseschi, ma il discorso che vuol portare avanti è l’esatto contrario di quanto asserito dal critico milanese. Siamo nel 1966 e l’atteggiamento di Catherine Spaak – moglie disinibita e di carattere – è trasgressivo, visto che non accetta il tradimento in maniera passiva, ma decide di punire il marito.
Il film è molto femminista, anticipa i tempi del movimento di liberazione femminile e fa un discorso in prospettiva divorzista. I momenti comici sono molti, ma si tocca il culmine quando Manfredi si traveste da donna e soffia uno spasimante alla moglie. La sequenza finale mostra un bacio Spaak – Manfredi, ma quest’ultimo è vestito da donna e due uomini al volante riprovano moralmente un presunto rapporto lesbico: “Che tempi!”. Catherine Spaak è bellissima, mostra spesso le gambe e in una rapida scena perde tutte le perline del vestito restando in slip e reggiseno di pizzo nero. Maria Grazia Buccella interpreta un personaggio da bonazza sciroccata che finisce per fidanzarsi con gli uomini sbagliati.
La sua mise è molto più casta rispetto a una Spaak disinibita ed elegante, spesso in scena con abiti sopra il ginocchio. La pellicola è ambientata nel mondo dell’alta borghesia e mostra una solidarietà femminile nei confronti dell’uomo traditore, ma anche donne moderne che cominciano a voler disporre della loro vita e non dipendono dai mariti. Vittorio Caprioli è un divertente uomo – oggetto, un modello che si fa pagare per posare nudo e che serve alla Spaak nell’ambito del suo piano per far ingelosire il marito. Mario Pisu è un altro finto amante che Manfredi prende di mira nella convinzione che sia stato a letto con la moglie.
Gordiano Lupi