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LE CINQUE GIORNATE di Dario Argento

Cosa può spingere il principe delle tenebre a  prendere le redini di una commedia? Stiamo parlando di Le cinque giornate di Milano, del 1973, quarto film di Dario Argento. Il film, scritto dallo stesso Argento con Nanni Balestrini, non è proprio una commedia, si potrebbe definire infatti, utilizzando un ossimoro, una commedia drammatica, dal contorno amaro, con l’ausilio del genere storico, da cui trae origine.

Il film fu quasi imposto al regista, che, reduce dai precedenti successi [L’uccello dalle piume di cristallo, 1970, Il gatto a nove code, 1971, e Quattro mosche di velluto grigio, 1971], era ormai considerato un regista del terrore. Originariamente Argento avrebbe dovuto soltanto produrre, con la collaborazione di suo padre [che ha premuto molto per l’uscita del film, poiché reduce dal successo, l’anno prima, di Er più – Storia d’amore e di coltello, con Celentano protagonista], Le cinque giornate di Milano, e quasi per certe si davano le presenze di Nanni Loy alla regia e di Ugo Tognazzi [nel ruolo di Romolo] e Adriano Celentano come coprotagonisti. Per una serie di motivi i primi due rifiutarono il progetto, portando parecchi grattacapi alla casa di produzione. Fu questa situazione a portare Salvatore Argento a considerare l’idea di proporre al figlio la regia del film, e lo stesso invito gli fu avanzato da Adriano Celentano, che lo convinse, pena la sua esclusione dal film. Argento, ormai specializzato nei film di genere horror, si sentiva inadatto a dirigere un film di questo tipo, poiché considerava troppo impegnativo dirigere un film storico, e ciò per varie ragioni: l’ambientazione, i costumi, le scene di guerra, la veridicità dei fatti. Il rischio c’era, e la sfida era aperta.

Il ladro Cainazzo [Adriano Calentano], furbo e spassoso, appena evaso dal carcere di Milano, si ritrova a girovagare per le strade di Milano, in cerca di Zampino [Glauco Onorato], il capobanda, a cui fare affidamento. Non lo trova, ma in compenso fa la conoscenza di Romolo [Enzo Cerusico], un fornaio bracalone e bonaccione. Entrambi stanno per tornare a casa, quando vengono per forza di cose coinvolti nei moti d’insurrezione milanesi del 1848, ai quali, volenti o nolenti, partecipano da spettatori. Alternanti esperienze, comiche e drammatiche, li coinvolgeranno, fino a confluire in un finale drammatico.

Le cinque giornate di Milano, quando uscì nelle sale italiane, non ebbe successo, ma soprattutto ricevette i morsi feroci dalla critica italiana, che riconosceva blasfema, e perciò difettosa, l’ironia con cui veniva tratta l’insurrezione milanese ai danni degli austriaci. Riuscito e originale invece fu giudicato dalla critica americana. Fu solo negli anni a venire che il film venne riconsiderato, e poi giudicato come un prodotto originale e controcorrente, proprio per il diverso approccio alla storia, in questo caso al Risorgimento. Fu proprio l’anticonformismo del film a pesare, all’epoca.

Le cinque giornate di Milano è, in effetti, un film particolare. C’è un continuo intervento atto a spezzare gli equilibri. Pensiamo all’amicizia tra Cainazzo e Romolo, spesso interrotta dalla sparizione o fuga di uno dei due, o alle incitazioni dei milanesi, frapposte alla disperazione seguita all’attacco austriaco, alle continue interruzioni che caratterizzano il viaggio di ritorno infinito dei due protagonisti. Ciò che fa di questo film un prodotto riuscito è la giusta alternanza tra ironia e tragedia, a volte presenti nella stessa scena [pensiamo alla sparatoria nella quale sono coinvolti Romolo e Cainazzo]. Esilaranti le scene in cui i due filibustieri si trovano ad aiutare una donna a partorire, o quelle in cui sono invitati da un esuberante vecchietto, detto “Il duce”, capo di un gruppo di rivoltosi, a marciare con loro, a cui accondiscendono, per poi scappare nel momento propizio.  Il film diverte, e contemporaneamente lascia un po’ d’amarezza. Ciò che stanca è la lungaggine dello stesso. I dialoghi tra Romolo e Cainazzo sono troppo lunghi, e in alcuni punti un po’ esasperanti. Cerusico entra in scena un po’ tardi rispetto a Celentano, ed è proprio l’ingaggio della coppia in scena a dare ritmo al film.

La mano di Argento si riconosce nella cura dei particolari, soprattutto nelle incursioni splatter, nella scelta delle scenografia barocche e delle stradine strette. Eccellente la recitazione di Celentano e Cerusico, come pure di Carla Tatò, Luisa De Santis, Marilù Tolo, Salvatore Baccaro e Glauco Onorato. Ciò che salta fuori, tecnicamente, è anche l’uso bizzarro delle sequenze, come quella in cui Celentano, finito per caso in un ricevimento col compito di cameriere, si nasconde sotto il tavolo per farsi una pennichella, mentre la telecamera riprende alcune paia di scarpe, metafora delle tante bocche dei presenti, che si alzano, si muovono, e si abbassano, ogni qualvolta prendono parola. La musica, curata da Giorgio Gaslini, ha grande impatto sul film, lo riveste, completandolo. Le musiche, suonate dall’orchestra dei Professori del Teatro Alla Scala di Milano, sono tutte operistiche, e risalenti all’epoca risorgimentale. Di effetto l’incursione, nella festa per la liberazione di Milano, di Celentano, che, invitato a salire sul palco, conclude il film tartagliando in un grido disperato [in questo grido i critici dell’epoca, tanto per parlottare, hanno identificato l’adesione di Argento all’anarchia o al fascismo], diretto ad attaccare i ricchi, i benpensanti, rei di aver ingannato con le chiacchiere la povera gente, illudendola di raggiungere chissà quale status sociale, lottando in nome di Milano.

Gilda Signoretti

 

Regia: Dario Argento

Con:Adriano Calentano, Enzo Cerusico, Marilù Tolo, Luisa De Santis

Durata: 122’

Formato: 2.35:1

Audio: Italiano Dolby Digital 5.1 Remastered

Distribuzione: Videa – CDE [www.videa-cde.it] – Eagle Pictures [www.eagledvdshop.it]

Extra: /

InGenere Cinema

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