Numerose sono le pellicole cinematografiche che hanno dato spazio, e posto l’accento, sulle calamità naturali, cercando, attraverso esagerati effetti speciali, di riprodurre la realtà per come sarà o come sarebbe potuta essere. The road, di John Hillcoat [The proposition, 2005], del 2009, tratto dall’omonimo romanzo di Cormac McCarthy [autore peraltro di Non è un paese per vecchi, da cui i fratelli Coen hanno tratto il film], si distingue un po’ dai suoi “simili” perché nella sua circostanza la catastrofe è già avvenuta, e il ricorso ai flashback dà davvero poco spazio alla messa in scena dei segni che portarono all’attuale devastazione. Tutto è grigio, sempre. Il pianeta terra, senza sole, è una superficie arida e gelida.
Una catastrofe apocalittica, scatenata da qualcosa di non identificato e indefinito, forse una pioggia radioattiva o un disastro nucleare, da dieci anni ha trasformato la terra in un deserto, privandola del sole e annientandone la natura. Tutto sa di morto: il mare non è più limpido; gli alberi, le cui radici hanno perso resistenza, cadono come fossero fatti di carta; il cielo, che ha cambiato coloro, è cinereo; gli animali sono decimati, e gli uomini, ormai in via d’estinzione, vivono allo stato brado.
È in questo contesto che si muovono un padre [Viggo Mortensen] e un figlio [Kodi Smit-McPhee], che, nella ricerca disperata di salvezza, attraversano il sud degli Stati Uniti, con lo scopo di avvicinarsi alla costa. Sperando che oltre il mare ci sia ancora vita. I due hanno con loro un carretto, nel quale conservare i pochi viveri che trovano, o indumenti e altri oggetti raccolti nel loro cammino. Ad emergere è la personalità dell’uomo. Dopo aver perso la moglie [Charlize Theron], che ha scelto la notte come momento in cui sparire dagli occhi del marito e del figlio, spaventata dalle conseguenze della catastrofe, in particolare dall’incapacità di pensare e immaginare un futuro, all’uomo non resta che mettersi in viaggio con l’unico bene prezioso che gli è rimasto: suo figlio.
Agli uomini e alle donne il disastro ambientale pone due scelte: vivere o togliersi la vita. L’uomo, afflitto dalla perdita di sua moglie, decide però di sopravvivere solo e unicamente per il figlio. È per lui che deve resistere. Poco importa se il futuro sarà roseo o nefasto, bisogna pensare al presente. Lo spirito di sopravvivenza è l’unico stimolo alla non resa, e proteggere il piccolo è la sua unica ragione di vita, per lui è disposto ed esposto al sacrificio e alla sopportazione del freddo, della fame, della paura, dei dolori fisici. Finché non sarà raggiunta la meta, l’uomo sa che non può e non deve morire. La fame è la causa scatenante dell’aumento vertiginoso della criminalità, e, purtroppo, del cannibalismo, pericolo costante. E’ da tutti gli uomini che bisogna guardarsi, e allora è bene non fidarsi di nessuno.
The road si compone di dialoghi semplici, anche perché basati, nella quasi totalità, da colloqui tra un adulto e un minore, e molto intensi. Ci si sofferma spesso su argomenti quali la caducità della vita, contrapposta alle gioie che, anche se rare, incoraggiano a vivere. Permettere al figlio di crescere e diventare grande è la scommessa del padre. È giusto? Solo il tempo gli darà ragione. Intanto dovrà insegnare al figlio a conoscere la morte e i morti, ad impugnare la pistola e puntarla contro qualcuno, e, se non c’è davvero nessuna via di scampo, spararsi un colpo in bocca.
Rispetto al romanzo, nel film si è dato maggior rilievo al ruolo della donna, anche se attraverso flashback, nei quali è descritta come una persona angosciata e rassegnata, spenta. È realista, a differenza del marito, e ciò non le permetterà di difendere sé stessa, prima, e la sua famiglia, poi.
Viggo Mortensen da una grande prova d’attore. Attraverso le dure e marcate espressioni del viso, rese ancor più evidenti dalla magrezza del suo volto, nonché dall’eccessiva magrezza del suo corpo coinvolge pienamente lo spettatore. La profondità del suo sguardo, poi, è catalizzatrice. Ottima anche la prova di Kodi Smit-McPhee, che, nonostante l’età, ha dimostrato così di avere talento da vendere.
Il film, relativamente alle inquadrature, finisce come inizia, ossia con campi che seguono lunghe camminate, ossessive e lente, che danno la giusta idea della realtà. The road è il film spirituale, inquieto, agghiacciante. È la fotografia [di Javier Aguirresarobe] ad estendere al limite queste atmosfere apocalittiche, e sono proprio i paesaggi devastati a rappresentarle al meglio, prima che i personaggi stessi, e a riportarci verso l’interiorità, a ricordarci che prima del mondo, inteso come società, c’è una interiorità da recuperare e difendere, che ci contraddistingue.
Quando uscì in America, distribuito dalla Dimension Film, nel 2009 [dopo vari posticipi], The road non ebbe un grande richiamo. Gli si contestava il troppo affiatamento con i sentimenti più negativi, in un mondo in cui il pessimismo la fa da padrone. A ciò si unisce anche la lunghezza di certe inquadrature, che finiscono per sfinire lo spettatore, seppur dense di significato. In Italia, dopo essere stato presentato alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia, nel 2009, non ha trovato nessuna distribuzione, se non nel 2010, dopo un anno di congelamento, quando la Videa-CDE acquistò i diritti di produzione ed edizione per la distribuzione italiana. Eppure, The road è uno dei pochi film che non solo ha saputo descrivere contesti apocalittici, senza espedienti inutili, ma la stessa psiche umana è raccontata sapientemente. È coinvolgente, maturo, profondo. L’uomo qui torna alle sue origini di animale, e ciò ribalta la sua posizione sulla terra. Non più l’essere supremo che sfida la natura. Ora è la natura la sua nemica più acerrima.
È a causa del suo contenuto profondo, riflessivo, non d’intrattenimento, ma decisamente nichilista, quindi, che non ha permesso a The road di avere i suoi giusti meriti.
The road fa riflettere. Per certi versi può essere definito un film scomodo perché di denuncia: chi, se non l’uomo, ha portato il mondo al disastro? Dove è finita la civiltà? E l’umanità? Come il protagonista del film spiega a suo figlio, bisognerebbe riscoprire il fuoco interiore di cui è composta ogni anima umana, e tenerlo acceso. L’uomo, che vive la vita come un treno in corsa, non si accorge che, spesso, ciò che ignora è in realtà più importante di ciò che rincorre. Quando apre gli occhi, però, è troppo tardi, e gran parte della vita è passata, mentre la restante parte, per via della superficialità che l’ha caratterizzata, sembra metterlo in castigo.
Gli effetti speciali, seppur presenti, non sono la parte portante del film, basato molto sull’interiorità dei protagonisti, e ciò che rende incalzante il film è proprio l’orrore verso il quale i due viaggiatori sono abituati e l’apprensione con cui convivono da sempre. Pathos e horror fanno qui coppia fissa.
Il film è costato venti milioni di dollari, una somma ritenuta bassa, se confrontata con i costi di produzioni di altri made in USA. Come a dire che le idee buone possono portare frutti, pur se non dispendiose. Le musiche, tragiche perché apocalittiche, sono state composte nientemeno che da Nick Cave e Warren Ellis.
Il film, distribuito in dvd da Videa-CDE e Eagle Pictures, è impreziosito anche da contenuti extra, contenenti il trailer, le scene tagliate, e il making off.
Gilda Signoretti
Regia: John Hillcoat
Con: Viggo Mortensen, Kodi Smit-McPhee, Charlize Theron
Durata: 112’
Formato: 2.35:1
Audio: Dolby Digital 5.1
Distribuzione: Videa-CDE [www.videa-cde.it]
Extra: Trailer, Scene tagliate, Making of