Glenn Close è una di quelle attrici sulla cui bravura non c’è da discutere, ma soprattutto, c’è da considerare la sua abilità nel selezionare i film ai quali prende parte, un po’ come Meryl Streep, con la quale condivide la poliedricità e creatività.
La vedremo presto, dal 10 Febbraio nella sale italiane, in Albert Nobbs [2011], del regista e sceneggiatore colombiano Rodrigo Garcia [Le cose che so di lei, 2000; Nove vite da donna, 2005, con protagonista Glenn Close], figlio del celebre scrittore Gabriel García Márquez.
L’idea di trasporre in un film il racconto [The singular life of Albert Nobbs, del 1927]dell’irlandese George Moore, ambientato nell’Irlanda del diciottesimo secolo, nasce innanzitutto dalla predilezione di Glenn Close nei confronti di questo lavoro letterario, che ha poi trovato sostegno nelle produttrici americane Bonnie Curtis e Julie Lynn, con le quali ha poi condiviso la scelta di García alla regia.
Negli anni ’80 Close aveva interpretato Albert Nobbs presso uno dei tanti locali adibiti a teatro nati in America verso la fine degli anni ’50, definiti “off–Broadway” [dalla capienza massima di 150 posti, e nei quali si mettevano in scena lavori tutt’altro che commerciali, e quindi legati molto alla sperimentazione], con un adattamento dal drammaturgo nato a Tunisi, ma cresciuto in Francia, Simone Benmussa, e che fu il trampolino di lancio per la carriera futura dell’attrice.
Albert è una donna irlandese di umili origini. Il suo passato è molto triste. Affidata ad una donna, pagata da ignoti per non rivelarle mai la sua vera identità, neanche il suo nome, è cresciuta molto in fretta, e ha imparato presto a rimboccarsi le maniche per non morire di fame, in un’epoca in cui il tasso di mortalità era molto alto, causato non solo dalla povertà, ma anche dalle malattie, trasmesse a causa delle cattive condizioni igieniche. In una società che rifiuta il ruolo delle donne, relegate in casa, Albert comprende che deve rischiare ed esporsi. L’unico modo per farlo è somigliare il più possibile ad un uomo.
D’ora in avanti si sarebbe fatta chiamare Albert e solo grazie alla sua nuova identità potrà trovare lavoro presso il Morrison’s Hotel, gestito dalla signora Collins [interpretata da Pauline Collins] che premia la serietà e prontezza con cui Albert porta avanti il suo lavoro, trattenendola nel suo hotel per circa 30 anni. L’hotel è per Albert una casa, nella quale stabilisce un legame sincero un po’ con tutti, mostrando simpatia verso Helen [impersonata dall’australiana Mia Wasikowska, davvero talentuosa, tanto da imporsi, e meritatamente, all’attenzione del pubblico grazie ad interpretazioni significative come quella in Jane Eyre di Fukunaga, 2011], giovane cameriera, nei confronti della quale proverà poi attrazione, un po’ forzata, a causa della condizione necessaria di trovare una compagna, in una società che avrebbe potuto malignare sulla sua condizione di scapolo.
È la conoscenza di Hubert [interpretata dalla bravissima attrice inglese Janet McTeer], una donna travestita da un uomo, di professione imbianchino, sposata con Cathleen [Bronagh Gallagher] a convincere Albert a cercarsi una compagna. Helen però ama Joe [Aaron Johnson, protagonista del cult Kick-Ass, diretto nel 2010 da Vaughn], e per questo Albert dovrà cercare, con astuzia femminile, di allontanarla da lui. Il gioco però è più complicato di quello che sembra, ed anche molto pericoloso.
Girato a Dublino, e scritto dalla stessa Close, insieme con Gabriella Prekop e John Banville, Albert Nobbs è un film fortemente emotivo, che tratta le emozioni in maniera molto lucida, senza perdersi in minimalismi tendenti ad esasperare lo spettatore. Il film è stato scritto con molta intelligenza, cercando ad ogni modo di caratterizzare non solo il/la protagonista, ma tutti gli altri personaggi che gli girano intorno. Albert Nobbs è colui/colei che, attraverso la sua vita, trascina con sé coloro che le sono intorno, ognuno con una sua particolare esperienza, quasi sempre drammatica.
Ogni personaggio, perciò, è trattato con unicità, è reso irripetibile, esclusivo. È così per Helen, dal carattere vivace e sfrontato, ma ad ogni modo sensibile; per Joe, impulsivo e temerario; per Hubert, anch’ella travestita da un uomo, coraggiosa come Albert, ma molto più sicura; o per la signora Collins, una donna molto ipocrita e senza scrupoli; o ancora il dott. Holloran, sempre ubriaco, e vittima della sua stessa debolezza [Brendan Gleeson]. Sorprende l’ingegno con cui García dirige il film, prestando l’attenzione a tutto, concentrandosi insistentemente su ogni particolare, soprattutto sulle modalità che il personale del Morrison’s Hotel è tenuto ad avere nel servire, comunicare con gli ospiti senza mai guardare loro negli occhi, o la postura da avere nell’attesa della consumazione del pasto da parte degli stessi, il portamento da esibire.
In ogni caso, è sempre rischioso cimentarsi con un film in costume, e proprio la meticolosità con cui si è cercato di ridare vita alla Dublino dell’ottocento, merito della scenografa Patrizia Von Brandenstein, è un importante punto a favore del film. Pensiamo, ad esempio, al muro che sta alle spalle del locale che Albert sogna di comprare per farne una tabaccheria, usato per affiggere manifesti pubblicitari di ogni sorta, o alla stanza che Mia ed Emmy [Antonia Campbell-Hughes]stanno riassettando, curata nell’arredamento semplice di cui può disporre l’hotel.
Michael McDonough, direttore della fotografia, ha voluto impreziosire la fotografia basandosi principalmente su aspetti e cose in genere ignorate, sfruttando perciò, in sintonia con García, questo interesse verso il particolare, alla ricerca di un tono molto personale.
Drammatica è la perdita di identità di Albert, dimentico della sua vera sessualità, che alla domanda di Hubert su quale fosse il suo vero nome, risponde con un po’ di angoscia che si è sempre chiamata Albert, proprio perché ha rimosso il suo passato. Il film si avvale di un cast professionale, che riesce a rendelo ancor più completo.
Gilda Signoretti
Regia: Rodrigo García
Con: Glenn Close, Mia Wasikowska, Pauline Collins, Janet McTeer, Aaron Johnson
Uscita in sala in Italia: venerdì 10 febbraio 2012-02-03
Sceneggiatura: Glenn Close, Gabriella Prekop, John Banville
Produzione: Amblin Entertainment
Distribuzione: Videa-CDE
Anno: 2012
Durata: 113’