“Beati gli umili.”, diceva qualcuno… Noi di InGenere, parafrasando, ribadiamo con “Beati gli inconsapevoli, e gli ignorant [intesi come colo che ignorano qualcosa]”. Beato lo spettatore che, ragioniamo ad alta voce e assolutamente per assurdo, varcherà la porta della sala del tutto all’oscuro sul film che andrà a vedere e che, di conseguenza, potrà godere a pieno, assieme alla protagonista Gaia [Francesca Cuttica], dello shock sensoriale conseguente alla somma scoperta. Luce nella camera dell’interrogatorio: Wang è una creatura aliena!
Ma facciamo un passo indietro.
La trama di quello che, ad oggi, è di certo il film più riuscito dei fratelli Manetti, trova le sue origini dalla vincente idea di sfruttare gli spunti e i topoi di una storia sci-fi, per affrontare i temi dell’incomunicabilità e del pregiudizio, calandosi, strutturalmente, in una storia dalla forte tensione psicologica.
Gaia è una giovane interprete di lingua cinese. Mentre sta lavorando alla trasposizione dei dialoghi di un film, viene contattata per un urgente lavoro di traduzione simultanea. Il cospicuo pagamento, e la curiosità di tanta segretezza, la convincono ad accettare la proposta, nonostante alcune premesse anomale: l’indirizzo dell’appuntamento assolutamente top secret, e il raggiungimento dello stesso, in auto, con indosso una benda nera sugli occhi. Benda che le viene tolta solo all’ingresso della stanza buia, in cui Gaia inizia a tradurre, in cinese mandarino, le ferree domande che il signor Curti [Ennio Fantastichini] pone, arrogante e cinico, ad un certo signor Wang, e le risposte di quest’ultimo.
Solo dopo le prime difficoltà di comunicazione tra l’uomo, che continua, insostenibile, a porre al visitatore cinese le stesse domande, alle quali risponde in maniera vaga e minimalista, e la giovane Gaia, che inizia ad essere un po’ ansiosa, Curti asseconda il desiderio della giovane di continuare l’interrogatorio a luce accesa. E qui torniamo allo shock di cui parlavamo all’inizio.
Wang [Li Yong], il signor Wang, non è affatto un visitatore cinese, ma un alieno, sbarcato sulla Terra qualche giorno prima, ritrovato nella cantina della signora Amounike [Juliet Esey Joseph], ed ora detenuto in un meglio identificato edificio ad uso dei servizi segreti italiani.
E qui s’incappa nell’unica falla che bisognerà perdonare a L’arrivo di Wang: il fatto che i servizi segreti debbano rivolgersi alla giovane Gaia e non abbiano, all’interno del proprio staff, un interprete di lingua inglese. Ma ci si passa sopra facilmente, affascinati dall’intuizione drammaturgica, e abbagliati dal trovarsi di fronte ad una creatura, realizzata in digitale dallo staff di Palantir Digital Media, di fine fattura e splendido realismo.
Wang, con i grossi occhi neri, la struttura corporea a metà tra quella di una piovra e quella del mitico basilisco, il viso allungato a becco, e i suoi arti inferiori torti, da cui deriva il suo goffo muoversi, è stato ricostruito in digitale dalla Palantir, senza ricorrere all’uso del motion capture [per motivi di ristrettezza di budget], ma adottandone a pieno la “filosofia”. L’attore Li Yong, che nel film presta la voce a Wang, ha interpretato il personaggio anche fisicamente e, in post, è stato digitalmente cancellato, per lasciare spazio al visitatore extraterrestre che ne ricalca intenzioni e gestualità. Il solo lavoro di effettistica digitale è durato circa 15 mesi [per un totale di 346 inquadrature con interventi digitali e 13 minuti di presenza scenica e di recitazione].
Buone le trovate registiche dei Manetti [che utilizzano per L’arrivo di Wang una Canon 7D], a supporto di una sceneggiatura che viaggia, spesso, sui binari del calmo e del ripetuto, che si riflettono in momenti di regia fredda autoptica dentro la sala dell’interrogatorio, e che si alternano a quelli più action, e tinti di rosso, della virata finale, frammentati da trovate come i dialoghi dei personaggi, inquadrati di riflesso dentro il marmo di un tavolo o nello schermo di un computer.
Rimbalzato dai contrastanti pregiudizi dei due protagonisti umani, uno che considera [Curti] l’alieno come una sicura minaccia per il genere umano, l’altra [Gaia] un innocuo e pacifico visitatore, solo in quanto minoranza, il fruitore viene travolto dal twist finale. Avete già intuito in quale verso? Può darsi, ma avere davanti “quello” scorcio, incorniciato dalla finestra appena fuori dal sotterraneo del settore C85… beh, ha il suo perché!
L’arrivo di Wang, in buona compagnia di film come 6 giorni sulla Terra [Varo Venturi, 2011] e L’ultimo terrestre [Gianni Pacinotti, 2011], che ri-lavorano lo sci-fi con differenti fini e con felici risultati, è la prova di un’effettiva buona volontà, da parte di autori italiani, di ridare nuova linfa ad un cinema di Genere, mai effettivamente estinto, in Italia. Risultati del genere mettono di buon uomore.
Luca Ruocco
Regia: Manetti Bros.
Con: Ennio Fantastichini, Francesca Cuttica, Juliet Esey Joseph, Li Yong
Uscita in sala in Italia: venerdì 9 marzo 2012
Sceneggiatura: Manetti Bros.
Produzione: Manetti Bros. Film, Dania Film, Pepito Produzioni, Surf Film
Distribuzione: Iris Film
Anno: 2011
Durata: 81’