Quando un regista si trova ad affrontare una tematica, forse, abusata nel cinema, non sempre, purtroppo, riesce a trattare l’argomento con modalità nuove e originali. Non è questo il caso di Villa, di Calogero Venezia, regista emiliano, che ha diretto e scritto con creatività un film davvero personale, che vigaggia sospeso tra il reale e l’onirico. In Villa, Venezia si trova a gestire una delle pagine più violente della storia mondiale, e cioè la Shoa. La novità sta nel fatto che Venezia non si affida alle ormai consuete e sempre terribili immagini di deportati, di lager, di fosse avide di contenere cadaveri o, ancora, la caccia spietata nazista agli ebrei. Qui sta il punto.
A tessere le fila del racconto è una giovane ragazza, Maxime [Elena Maran] , bersaglio di costanti incubi che non le permettono di addormentarsi serenamente, e dei quali non ne afferra il senso. Il disagio che scaturisce da questi traumi notturni si riversa, oltre che sulla sua psiche, anche sulla sua quotidianità, tanto da farla vivere come sospesa tra un prima e un dopo ipotetici, arcani, che riescono a privarla di un presente, fino a costringerla a vivere all’interno di uno spazio atemporale dal quale non riesce ad uscire. Per quanto si rivolga ad una terapeuta [Elisa Dietmann], che, esaminati i sogni di Maxime, li interpreta come delle proiezioni della mente, esperienze straordinarie ascrivibili al fenomeno dei “sogni lucidi”.
La ragazza, frastornata, vuole saperne di più e, tanto per cominciare, comincia a documentarsi sugli studi onirici.
Ma cosa sogna Maxime? Durante le sue visioni, la ragazza si ritrova in un prato verde in cui lei, bambina, è in compagnia di sua madre e di suo padre, o bloccata in una lunga e ossessiva camminata lungo un sentiero che potrebbe portare a qualcosa di importante; in una villa abbandonata, o in balìa dei personaggi coperti dalla maschera a gas, che continuano ad ossessionarla.
Lo spazio nel quale spesso si svolgono questi inseguimenti è intorno e all’interno di una meravigliosa villa. Si tratta della barocca Villa Sorra, in Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, non nuova agli ambienti cinematografici, visto che fu scelta come location cinematografica da Pasolini, che vi girò alcune scene di Salò o le 120 giornate di Sodoma, e anche da Pupi Avati per Zeder. Molti sono gli omaggi che Venezia fa nei confronti dei due registi e di molti altri, come Raimi e Argento.
Villa non è un film ordinario, perché, intanto non è mai retorico, nonostante l’argomento trattato, e poi perché non segue una narrazione fluida, chiara, perché non ha riferimenti narrativi, ma è semplicemente un flusso di atmosfere molto singolari e disorientate.
La fase di pre-produzione è stata dedicata tendenzialmente allo studio dell’olocausto, alla ricerca di scatti d’epoca legati principalmente ai prigionieri ebrei, e non solo. Le riprese iniziarono nel 2007, per terminare poi, nel 2009, a causa di vari problemi legati anche alle difficoltà di delibera delle autorizzazioni del Ministero Austriaco.
La fotografia di Nicola Xella, che è anche produttore esecutivo del film, è davvero molto curata, e interiorizza lo stato di angoscia presente nel film, anche con l’ausilio del bianco [bianco è il maglione di Maxime, bianca la luce che vediamo nella scena in cui Maxime è strozzata da un assalitore, bianco il cielo nell’inquadratura dell’ingresso alla villa, che ci appare, in contrasto, tenebrosa], e di una luminosità che gioca con la velatura di altri colori. Il montaggio, curato da Bartosz Kowalski, è disorganico, e muove tra il sogno, la memoria e la realtà presente.
Villa è un bel film, scritto con intelligenza e girato con abilità da Venezia, che qui sembra intimidire lo spettatore portandolo a dibattersi con l’inconscio, e ossessionandolo con le paure più intime della sfera dell’irrazionale.
Bella la chiusa finale, con il cerchio di uomini, all’interno di una sala circolare della villa, che si apre e si chiude per circondare prima il padre di Maxime [Claudio Onesti], e poi lei stessa, a cui pongono l’eterna domanda: “We will survive?”, invitandola poi ad una fine le cui motivazioni sono molto chiare, e che sembrano dare ragione al monito interno all’Antico Testamento: le colpe dei padri ricadono sui figli.
«Tutto ciò che vediamo o sembriamo non è altro che un sogno dentro al sogno»
Gilda Signoretti
Regia: Calogero Venezia
Con: Elena Maran, Elisa Dietmann, Paolo Pederzini, Claudio Onesti
Sceneggiatura: Calogero Venezia
Produzione: Villa Films
Anno: 2009
Durata: ‘77