[InGenere Cinema]: Dopo la fantascienza, l’horror. Un periodo pieno di soddisfazioni per i Manetti Bros.?
[Marco Manetti]: Abbiamo l’abitudine e il piacere di spaziare tra i Generi, come spettatori prima che come registi, e l’horror è di sicuro il Genere che più amiamo. Forse per questo arriviamo a rapportaci direttamente con una storia dell’orrore solo dopo aver fatto già delle esperienze importanti e formative. Ma non abbiamo lavorato a Paura per un fatto di “spaziare tra i Generi”, ma perché da qualche anno stavamo lavorando su questa storia per noi molto interessante.
[ING]: E la scelta di girarlo in 3D?
[MM]: Nel momento in cui stavamo mettendo in pre-produzione il film, in contemporanea usciva sul mercato questa macchina digitale pensata per le riprese in tre dimensioni! Siamo molto soddisfatti della riuscita effettiva del nostro esperimento.
[Antonio Manetti]: Non abbiamo cercato effetti classici come il sangue che sembra arrivare sullo spettatore o altre cose di questo genere. Il nostro 3D è usato per esaltare lo spazio, per ricercare una profondità reale.
[ING]: Il film sembra ispirato a fatti di cronaca di qualche anno fa…
[AM]: Sì, all’interno della storia abbiamo inserito dei collegamenti ad un fatto realmente accaduto ad una ragazza austriaca, Natascha Kampusch, che fu vittima di un rapimento all’età di 10 anni, il riuscì a fuggire solo dopo otto anni di segregazione.
[MM]: Ma non siamo partiti da questo per costruire la nostra storia. Quello di Natasha è stato un approfondimento, per costruire meglio personaggi e risvolti. Tra l’altro la Kampusch ha scritto un libro, 3069 giorni, scritto con un’acuta intelligenza, e da queste pagine viene fuori concretamente il legame che, nonostante tutto, si forma tra la vittima e il carnefice, che il suo unico contatto con la realtà durante il periodo di segregazione! E il film racconta proprio delle diverse stratificazioni della fragilità mentale, quella del personaggio interpretato da Peppe Servillo sopra a tutti, ma anche quelle degli altri personaggi.
[ING]: Il film ha anche un’importante struttura musicale…
[MM]: Sì, potremmo dire che ha due parti musicali: la prima [quella più rap] accompagna la realtà urbana dei tre ragazzi di periferia. Quando la storia entra nella parte più oscura, invece, entrano in scena i gruppi metal. E poi c’è la colonna sonora originale di Pivio!
[ING]: Durante l’ultima conferenza stampa, per “L’arrivo di Wang” ci avevate parlato di importanti novità che venivano dagli Stati Uniti, potete raccontarci un po’ di più?
[MM]: Diciamo che è possibile che L’arrivo di Wang abbia, in futuro, un remake americano. Ma ancora niente di concreto.
Luca Ruocco