Virus! I virus, i germi e compagnia bella sono nemici invisibili e pericolosi e, come tali, capita sempre più spesso di trovarli a rappresentare il malvagio villainda sconfiggere in un horror movie.
Per una questione d’affinità elettiva, il filone del contagio, venutosi a creare proprio grazie al corposo numero di registi e autori che han trovato interessante inquadrare, all’interno delle loro opere, un orrore ben tangibile e riconoscibile [e cosa può spaventare di più l’uomo di una letale malattia?], ha iniziato ben presto ad andare a braccetto con lo zombie movie, e il virus sconosciuto e il ritorno in vita di cadaveri famelici sono diventati una cosa sola: spiegazione para-scientifica l’una, conseguenza orrorifica l’altra.
Tenendo il passo dei tempi, poi, i registi s’invaghiscono di modalità e grammatiche filmiche, caricando un’accoppiata tematica di stilemi ancora differenti: è quello che sta accadendo oggi con il foundfootage, o il mockumentary, che tanto accordo stan trovando all’interno delle realtà indie per la facilità con cui coniugano l’economicità al senso del realismo. E molto particolare è vedere come proprio il foundfootage abbia trovato naturale attrazione proprio verso il filone epidemico/zombesco [ne sono esempi illustri il Diary of the Dead di George Romero, del 2007, o il [Rec] di Jaume Balagueró e Paco Plaza, dello stesso anno].
Questo, in definitiva, è quello che sta alla base di The Gerber Syndrome, di Maxì Dejoie: la storia della rapida propagazione di un nuovo tipo di virus, il morbo di Gerber, appunto, una patologia para-influenzale finora sconosciuta e dalla presa rapida e inesorabile. Il fattore mockumentary prende corpo dalle riprese di una troupe televisiva che decide di documentare dal vivo il propagarsi, e la concreta pericolosità, della nuova malattia.
The Gerber Syndrome si forma attorno alla testimonianze di tre protagonisti principali, che si elevano al di sopra dei tanti altri interventi secondari: quelli di un medico, di una ragazza, sua amica, che è stata incidentalmente contagiata, e di un giovane addetto al servizio di sicurezza appositamente costituito. Sì, perché il morbo di Gerber, oltre ad abbassare le difese immunitarie dei contagiati, nel tempo li tramuta in soggetti psicotici e aggressivi.
La forza del mockumentary di Dejoie sta proprio nell’estremo realismo con cui il regista-autore dipinge il propagarsi e l’entità della malattia, aiutato dal fatto che lo spettatore potrà assistere al nascere e allo svilupparsi della malattia, monitorando dall’inizio il caso della giovane contagiata.
The Gerber Syndrome, pur non brillando di originalità, riesce a fornire una precisa e personale idea di epidemic movie, proprio marcando il senso di reale, la costruzione di un substrato scientifico: le persone sono per natura contenitori di virus, territorio ideale per la loro propagazione e ideali diffusori di malattie.
E la struttura binaria con cui il regista decide di raccontare la sua storia [il medico, la sua paziente e il ragazzo impiegato nel Central Security – CS nel film – con il compito di tenere sotto controllo la deambulazione di pericolosi infetti per le strade], aiuta a tenere alta l’attenzione, proprio grazie al continuo salto da una storia all’altra.
A questo s’aggiunge tutto un discorso meta-mediale: una sorta di testamento non commentato del rapporto tra tv e dramma sociale; alle riprese relative al mockumentary si alternano, infatti, inserti estratti da immancabili talk show, telegiornali e spot dedicati ai più piccoli con marionette animate.
Tutto sommato, una interessante coniugazione dei tre sotto-Generi elencati a inizio pezzo, anche se in alcuni punti “forzato” [suona esagerata, infatti, la partecipazione dei giornalisti in alcuni momenti davvero “privati” dei soggetti documentati].
Luca Ruocco
Regia: Maxì Dejoie
Con: Valentina Bartolo, Sax Nicosia, Pia Lanciotti, Beppe Rosso
Sceneggiatura: Maxì Dejoie
Produzione: Indastria Film
Distribuzione: /
Anno: 2011
Durata: 85’
Trailer: