“La libertà non è una condizione per l’esistenza. La Libertà coincide con l’esistenza stessa”: la voce calda ed energica di Stefano Calvagna scandisce queste parole con accalorata freddezza e come frecce dall’arco le schiocca, con gli occhi negli occhi degli spettatori.
Così si apre il sipario del film, così comincia la storia, una storia vera, una delle tante magari. Una delle tante in fondo alle quali rimarrà sempre un dubbio, un ‘se’, un ‘ma’, un ‘perché?’.
Difficile stampare un nome, un’etichetta sul film di Calvagna; difficile probabilmente come lo è stato costruirlo.
Perché sì, stavolta il regista romano ha dovuto [ri]-costruire: non inventare, ma smontare e rimontare i tasselli intricati di un puzzle, quelli di una storia vera, la sua, fino ad ottenere un risultato originale e soddisfacente, un incontro tra cinema, teatro e documentario.
Alla sua ormai quindicesima prova, l’autore di E guardo il mondo da un oblò non delude. Anzi sorprende, superando in maniera brillante le oggettive difficoltà del caso.
La storia inizia un po’ di tempo fa: la sera del 17 febbraio 2009 il regista, all’uscita dal teatro Anfitrione di Roma, viene intenzionalmente raggiunto da una serie di colpi di pistola, uno dei quali lo colpisce e ferisce alla gamba sinistra.
Calvagna, che già precedentemente aveva sporto querela contro una serie di minacce di cui era caduto vittima, accusa il produttore Alessandro Presutti e il suo ex-collaboratore Carlo Bernabei di essere i mandanti dell’attentato. Successivamente, le indagini conducono però all’incriminazione dell’ex finanziere Giovanni Lembo e dello stesso Calvagna, condannato in primo grado a 3 anni e 8 mesi di carcere per calunnia aggravata, simulazione di reato, detenzione e porto di arma clandestina e ricettazione.
Cronaca di un assurdo normale è la storia di un uomo prima vittima di tentato omicidio e successivamente arrestato. E’ l’altra verità, la seconda faccia della medaglia. E’ la risposta sofferta, inquieta, probabilmente rancorosa di Calvagna alla ‘Giustizia’ e all’informazione. Un’informazione che lo ha pubblicamente condannato, definitivamente ‘gambizzato’ e ghettizzato pur senza essere in possesso di prove certe da mostrare. Come criminale, come truffatore.
Quando invece questa sembra rimanere una di quelle storie prive di una verità finale, ma con un ventaglio di piccole verità possibili. E ad ognuno di noi, prima lettori ora spettatori, la scelta!
Il film, ancora una volta fuori dai circuiti ‘protetti’ del cinema mercificato e prostituito, viene completamente girato durante la detenzione domiciliare del regista. Prigioniero di oggettivi limiti fisici e temporali, Calvagna riesce a superare le difficoltà della narrazione portando il teatro nel cinema: attraverso alcuni monologhi il regista, e prima di tutto l’Uomo, parla direttamente allo spettatore della sua vicenda, ottenendo in questo modo anche un maggiore effetto di Realtà. Ricordando a chi guarda che non tutto è Finzione.
Bravi gli attori, appropriata la scelta del cast, da cui emerge sicuramente l’attrice Chiara Ricci nella parte di Teresa, la moglie di Stefano.
“E’ stato complicato interpretare un personaggio esistente, capirne le emozioni reali e riportarle sullo schermo. Ma è stata la mia piccola sfida. Piccola, rispetto a quella di Stefano, che ha sempre dimostrato coraggio. Prima nell’affrontare questa terribile vicenda, poi nel raccontarla”, afferma l’attrice durante la conferenza stampa successiva alla proiezione.
Emanuele Cerman, sceneggiatore prima e poi amico del regista, denuncia invece dal canto suo l’oggettiva difficoltà nel portare il film nelle sale e il “malcostume italiano, quello che conduce alla discriminazione, all’emarginazione di personaggi pubblici e non. Quello di cui è stato vittima Stefano Calvagna, e molti altri prima di lui. Quello di cui è carnefice l’informazione stessa, esitante ed incapace di affrontare le problematiche serie che avvelenano il nostro Paese”.
Dal canto suo il regista prova ancora una volta, questa volta davvero guardando negli occhi chi ha di fronte, a spiegare la sua storia. Ammette la presenza di alcune lacune narrative, ricordando però l’oggettiva difficoltà di narrare in 90 minuti una vicenda durata 3 anni. Infine spiega: “il carcere è una città nella città, con le sue regole, le sue leggi, il sindaco che è il direttore. E non è vero che riabilita. E’ una palestra per delinquere”.
In conclusione, una storia da ascoltare, un film da guardare, una piéce teatrale da vivere.
Dalila Lensi
Regia: Stefano Calvagna
Con: Stefano Calvagna, Chiara Ricci, Emanuele Cerman
Uscita in sala in Italia: giovedì 21 luglio 2012
Sceneggiatura: Emanuele Cerman, Luigi Passerelli
Produzione: Poker Entertainment, Island Film, Timeline
Distribuzione: Poker Entertainment
Durata: 89’
Anno: 2012