Dimenticate in fretta pellicole riuscite come Diario di un maestro, Io speriamo che me la cavo, La scuola o La classe, perché nonostante il tema e l’ambientazione in comune con l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Giuseppe Piccioni, l’abisso rintracciabile che separa quest’ultima ad esempio dalla folgorante opera di Laurent Cantet appare davvero incolmabile. In Il rosso e il blu, il regista di Ascoli Piceno, ispirandosi liberamente all’omonimo romanzo di Marco Lodoli, dimostra un grandissimo coraggio nel cercare di rimettere un tema così caldo e instabile come quello della scuola al centro del dibattito culturale attraverso gli strumenti della Settima Arte, ma la visione romantica e paradigmatica così “estranea” al giorno d’oggi che restituisce sul grande schermo [la scuola fa schifo ma va difesa] non gli permette di calamitare fino in fondo l’attenzione della platea.
Sullo sfondo di una scuola romana si intrecciano le storie di un professore di storia dell’arte che ha perso la passione per il suo lavoro, di un giovane supplente di lettere alla prese con una studentessa problematica e di una preside rigida e inappuntabile costretta a occuparsi di un buffo alunno che sembra aver smarrito la madre. Il ritratto che ne viene fuori è quello di una scuola “normale”, che non si concentra sui casi estremi che brulicano al suo interno, e questo per fortuna lo allontana in parte [Piccioni dice che non ci sono, ma Brugnoli, Melania e Mordini non sono casi particolari da trattare con i guanti?] dalla superficialità con la quale Valerio Jalongo nel recente
La scuola è finita dipinge la storia e i personaggi che la animano. Sceglie piuttosto di puntare l’obiettivo della macchina da presa sui docenti, raccontando le difficoltà, la dedizione, gli approcci all’insegnamento che questi possono avere, utilizzando tipologie differenti di educatori come cartine tornasole nelle quali potersi rispecchiare, dimenticando però che esiste un controcampo fisico, celebrale ed empatico, con il quale questi interagiscono quotidianamente dall’inizio alla fine della lezione e in molti casi anche oltre. Mettere in secondo piano gli alunni, senza provare a tratteggiare la sottile linea che separa le due parti, cercando quantomeno un equilibrio tra esse, ci sembra inspiegabile, perché parlare della scuola significa soprattutto rappresentare il crocevia tra il mondo adulto e quello adolescenziale, passando attraverso le aspettative, le disillusioni, le paure e le emozioni. Può passare l’intenzione di privilegiare l’uno o l’altro, ma non si può ridurre a uno scambio di battute il “duello” importantissimo che si consuma ogni giorno dentro e anche fuori dalle quattro mura di una classe. Si perché esiste anche un fuori e quel fuori è in grado di scardinare tutto. Piccioni prova a più riprese a mostrarlo [la preside Giuliana e l’alunno Brugnoli, il Prof. Prezioso e l’alunna Mordini, Melania e Adam], ma appare spesso aleatorio e privo di veri e propri spunti analitici, o per lo meno alternativi e più originali rispetto a quelli già raccontati dal cinema in passato. Si può e si deve cercare di rappresentare una scuola per così dire “normale” [Piccioni parla di “normale”, ma cosa lo è e cosa no], ma non si può prescindere da certe argomentazioni.
Il rosso e il blu è una commedia scolastica che sceglie la frammentazione alla linearità del racconto, ci mostra situazioni e mette in scena confronti generazionali tra professori [quello tra il disilluso Prof. Fiorito e il giovane appassionato Prof. Prezioso è quanto di meglio offre il film, grazie soprattutto alla straordinaria partecipazione di Roberto Herlitzka nei panni del primo], concedendosi di tanto in tanto qualche sporadica parentesi dove educatori e alunni si fronteggiano. Storie parallele si intersecano spesso restituendo allo spettatore prima le one line di gruppi di personaggi e poi la totalità della vicenda. Ciò permette a Piccioni di narrare una moltitudine di storie che confluiscono in una macro-storia, consentendo allo spettatore di scegliere a quale affidare la propria catarsi senza perdere la visione del tutto. Lo fa con una regia sobria e mai invasiva, intelligentemente priva di evoluzioni stilistiche dell’hardware filmico e questa leggerezza del tocco, funzionale alla tipologia di racconto, gli va riconosciuta.
A funzionare è il registro comico e la dose di cinismo che pervadono la prima parte, seppur ricorrendo a spunti stereotipati legati al “mondo” della scuola, per poi aggiustare il tiro ripiegando nella seconda su un registro più drammatico che appiattisce tutto, comprese le emozioni che al contrario dovrebbero esplodere fuori dallo schermo.
Francesco Del Grosso
Regia: Giuseppe Piccioni
Con: Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Roberto Herlitzka, Silvia D’Amico
Uscita in sala in Italia: venerdì 21 settembre 2012
Sceneggiatura: Giuseppe Piccioni, Francesca Manieri
Produzione: Bianca Film
Distribuzione: Teodora Film
Anno: 2012
Durata: 98’