Bud Clay [Vincent Gallo] non riesce a dimenticare Daisy [Cloe Sevigny], un amore smarrito e di cui va alla ricerca in un viaggio in furgone fra New Hampshire e California. Lungo la strada, atterrito dal ricordo bruciante che non lo abbandona, incontra diverse donne le quali non fanno che riportargli alla memoria ciò che di prezioso ha perso. Ma quello che si desidera rimuovere prima o poi torna a galla.
Vincent Gallo: che volto. Rappresentante di quella generazione tutta stelle e strisce dei “belli e dannati”, reca nei tratti somatici quel vitale disequilibrio, quell’urgenza maledetta, quella malinconica ricerca di un posto nel mondo che hanno connotato altri esimi personaggi come Matt Dillon, Mickey Rourke o prima ancora James Dean. Uomini-ragazzi che non si accontentano di un aspetto gradevole, ma perenni naufraghi in un mare magnum tra domande esistenziali e precarietà dei rapporti interpersonali. A uno come Gallo basterebbe porgere in mano un bicchiere di scotch di seconda scelta, calarlo in un pidocchioso pub di uno slum periferico e metà del lavoro sarebbe già fatto.
Personalità poliedrica [il nostro vanta una carriera musicale e di modello], ha prestato ai suoi servigi in moltissime pellicole indipendenti, ma anche ad altre a respiro più mainstream. E’datata 2003 la sua seconda regia, The brown bunny, in cui si occupa praticamente di tutto: scrittura del plot, produzione, montaggio, direzione della fotografia. Ma non gli riesce il colpaccio che aveva assestato nel 1998 con Buffalo ’66; in quest’ultimo, per cui si era posizionato per la prima volta dietro la macchina da presa, era andato ai fiori d’arancio con uno splendido bilanciamento fra durezza e delicatezza in qualcosa di convincente e vincente dall’inizio alla fine.
The brown bunny, opera tormentata e che non fa nulla per cercare la confidenza dello spettatore, soffre degli effetti collaterali del narcisismo del buon Vincent, che appare nel 95% delle inquadrature. Il film rasenta l’autoreferenzialità ripiegando su sé stesso, pretenzioso panegirico al suo attore-regista, incapace di declinare una sceneggiatura che cattura. Non si spiegano, infatti, le numerose riprese del protagonista che guida sulle highway, il suo volto spesso rabberciato immortalato all’infinito, i prolissi silenzi che vorrebbero esprimere ma che ammorbano. The brown bunny svilisce interi minuti annacquandoli senza una direzione e non mantiene, come in Buffalo ’66, l’inclinazione di far parlare i mezzi toni, di dire molto con poco. Sono tanti, troppi i momenti senza incisività, in cui si prova quasi imbarazzo per la pochezza di nerbo e sostanza drammaturgica in questo continuo tributo allo spirito indipendente che però rimane troppo dipendente dalla presunzione del suo creatore.
Tra critiche varie il film viene presentato poi alla 56°edizione del Festival di Cannes, senza guadagnare proseliti; nel 2003 riceve il premio Fipresci allaViennale e in generale non sono mancati riconoscimenti. A dispetto di una proposta comunque coraggiosa e che rispecchia in pieno l’anima frammentata del suo regista, The brown bunny è sorretto in un’ultima analisi da uno scheletro troppo spezzato, che incede dubbiosamente a compartimenti stagni. I dialoghi sono ridotti all’osso e non sarebbe affatto un problema se gli stessi fossero innervati da significato. Ma Gallo preferisce masturbarsi riprendendo per la centesima volta i suoi occhi rabberciati e lucifughi. Nota di merito per la fotografia alquanto tetra e plumbea, valorizzata tra l’altro da una pellicola granulosa che contestualizza lo spettatore nel low profile-milieu delle vicende.
Il film ha fatto molto discutere per la scena della fellatio operata da Cloe Sevigny a beneficio di Gallo [all’epoca i due erano fidanzati]; la stessa non toglie e non aggiunge nulla all’economia generale. A onor di correttezza va detto che fra i due attori si crea un’atmosfera palpabile, vanificata però da scambi di battuta sbiascicati e imperniati sui medesimi concetti.
Interessante comunque in questo “on the road” dell’anima, il peregrinare di Gallo in questa America quasi “easy rider”, tra drugstore di provincia, meste caffetterie e spersonalizzanti motel. Spiace, piace davvero perché una storia del genere era perfettamente nelle corde del regista, il quale però, troppo auto-centrato, ha smarrito l’assioma che anche il mattatore della scena più buca-schermo deve asservirsi al film. Viceversa si realizzano opere pretenziose, fredde e inconcludenti.
Il DVD italiano, estremamente minimale e povero [assenza di contributi speciali eccetto due trailer cinematografici], ha la particolarità di non avere l’italiano nel menù, ma solo la lingua originale sottotitolata.
Alessio Bacchetta
Regia: Vincent Gallo
Con: Vincent Gallo, Cloe Sevigny, Cheryl Tiegs, Elizabet Blake, Mary Morasky, Anna Vareschi
Durata: 90’
Formato: 1.66:1 anamorfico 16:9
Audio: Inglese 5.0 dolby digital; Sottotitoli italiano, inglese, danese, ebraico, finlandese, hindi, norvegese, spagnolo, svedese, turco
Distribuzione: Sony Pictures [www.he.sonypictures.it
Extra: 2 Trailer Cinematografici