Quando, nel 1956, Slavomir Rawicz, decise di scrivere un libro sulla sua terribile esperienza di prigioniero politico, The long walk, non poteva supporre che la sua opera sarebbe stata tradotta in venti lingue, e che da quella storia sarebbe stato tratto il film The way back, con la regia di Peter Weir, di cui vi abbiamo parlato qui.
Tra noi e la libertà [questo il titolo italiano] è un libro di grande impatto, che descrive una storia straordinaria, condotta con forza e fragilità, coscienza e incoscienza, generata da un assoluto bisogno di libertà.
Il 29 novembre 1939 la vita del ventiquattrenne Slavomir, fino a quel momento appagante, soprattutto in seguito all’elevazione al nuovo grado di ufficiale della cavalleria polacca, subisce uno scossone: l’uomo viene arrestato dalla polizia segreta russa, la NKVD, nemica delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Le sue origini polacche, e la sua residenza a Pinsk, nei pressi della frontiera russa, sono per la polizia russa due motivi sufficienti per sospettare che Slavomir sia una spia antisovietica.
Dal carcere-fortezza di Minsk, poi di Pink e di Karkow, dove Slavomir presenta già le prime debolezze fisiche, a causa del miserabile pasto e delle cattive condizioni igieniche, è trasferito alla Lubjanca, carcere che Slavomir ricorda con molto terrore, perché lì fu sottoposto a torture di una violenza inaudita, affinché ammettesse al maggiore che lo interrogava di essere una spia.
Affrontato un finto processo che lo condanna a 25 anni di lavori forzati in Siberia, Slavomir dovrà subire il primo terribile viaggio della sua vita: 40 giorni di marcia, da Mosca al campo di concentramento sito nella Siberia del nord. Le brutalità anche qui non mancano: migliaia di prigionieri sono ammassati per diverse settimane nei vagoni di un treno di carri bestiame, costretti a urinare e defecare in piedi, l’uno accanto all’altro, a patire fame, sete e freddo. Uomini costretti ad attraversare per chilometri le montagne siberiane, ammantate di neve, legati a lunghe catene d’acciaio, trascorrendo la notte in fosse di fortuna per proteggersi dal vento. In molti perdono la vita. Ma la parte più avvincente, allucinante e straniante di questa drammatica storia sta per cominciare.
Una volta giunto al campo, Slavomir sente la necessità di fuggire, e studia il piano di evasione. L’occasione gli viene fornita dalla moglie del colonnello Ushakov, presso il cui alloggio, sito dall’altro lato del campo, Slavomir aveva eseguito un lavoro. Egli sa che non può fuggire da solo, e così organizza la fuga con altri 6 uomini: Anton Paluchowicz, Sigmund Makowski, Eugene Zaro, Mr Smith, Anastazi Kolemos, Zacharius Marchinkovas, concordando di dirigersi sud, in direzione del lago Bajcal. Il viaggio più inebriante, lungo, straziante, e allo stesso tempo dissennato della loro vita stava per avere inizio, e non tutti avrebbero retto agli sforzi. Era il giugno del 1941, e il punto d’arrivo era l’India, che raggiunsero miracolosamente a piedi, in quattro, nel marzo del 1942.
Tra noi e la libertà è un libro di particolare fascino, indimenticabile e denso di saggezza. Slavomir forgia i suoi ricordi angoscianti, legati alla fame, alla sete, al caldo del deserto del Gobi, o al rigido freddo siberiano, con discrezione. Eppure egli riesce, nonostante tutto, a trasmettere un’inconsueta positività. Furono lo spirito di gruppo, la sfida, la voglia di vivere, e lo straordinario bisogno di libertà, a permettere di eseguire un viaggio impensabile.
Numerose sono le distinzioni che si possono trarre tra il libro e l’opera filmica di Weir, abilissimo a dirigere un film complicato, sia dal punto di vista visivo che da quello comunicativo. Intanto The way back parte già dall’esperienza di Slavomir nel campo di concentramento siberiano, quindi quasi dopo la prima metà del libro [probabilmente per ragioni legate alla difficoltà di concentrare tutta la storia in due ore, che è la durata complessiva del film].
Weir ha aggiunto e negato delle scene, rispetto al libro. Partiamo dal fatto che i personaggi, tranne Mr Smith [il saggio del gruppo] e Kristina [che si aggiunge al gruppo verso la metà del viaggio], che coincidono quasi perfettamente con la descrizione della loro personalità spiegata nel libro, hanno nomi differenti dai veri protagonisti. Ad esempio Slavomir è Janusz, intepretato da Jim Sturgess.
Weir ha voluto introdurre, anche se solo superficialmente, il personaggio della moglie di Slavomir, presente in uno dei tanti interrogatori ai quali si presenterà il marito, e che, minacciata dalla NKVD, dovrà in sua presenza ammettere che il marito è una spia antisovietica. Viene esclusa invece la signora Ushakov, che avrebbe invece arricchito il film con la sua personalità così altruista e rassicurante, che sa di rischiare consigliando Slavomir sulle direzioni da seguire durante la fuga e le funzioni da svolgere prima di intraprenderla. Potremmo continuare avanti a lungo in questa nostra analisi, ma certo non può sfuggirci il protagonismo di Valka [Colin Farell], che in realtà non ha richiami con nessun personaggio del libro, ma che potrebbe avere delle affinità con Sigmund Makowski, a causa della loro irascibilità caratteriale. Valka è un criminale a cui piace comandare, anche all’interno della cuccetta, terrorizzando i più deboli. È con prepotenza che si aggrega al gruppo per fuggire, ma ad un certo punto del viaggio si staccherà dai compagni per procedere da solo, dovendo percorrere una strada diversa.
Mentre il film si chiude con la fervente gioia dei quattro sopravvissuti per aver raggiunto l’India, con una scena finale che ci mostra Janusz di ritorno a casa, il libro prosegue, descrivendo il soccorso prestato ai quattro uomini da un gruppo di ufficiali inglesi, che, dopo averli sfamati e dissetati, liberano gli stessi dalle numerose cimici e pidocchi che li hanno torturati durante l’estenuante viaggio, per poi passare alla descrizione delle cure fisiche e psichiche che un ospedale militare inglese presta loro. Il libro termina con una postfazione dell’autore profondamente amara, che accenna alle modalità con le quali ricominciò a vivere, scegliendo di trascorrere il resto della sua vita in Inghilterra, che raggiunse dopo 18 mesi trascorsi in Palestina, dove completò le sue cure, in seguito alle quali si offrì come volontario per il contingente polacco dell’aviazione britannica.
Tra noi e la libertà insegna e sorprende anche il lettore più insensibile, ed anche in questo sta il successo di questo libro. Slavomir Rawicz, a dispetto degli indimenticabili supplizi sopportati, comunica a gran voce quanto sia preziosa la vita, e quanto l’uomo sia in grado di sopportare le frustrazioni che inevitabilmente si è portati a vivere, lottando, come egli stesso ha fatto, contro la pazzia.
Tra noi e la libertà è edito in Italia da Corbaccio editore.
Gilda Signoretti
Autore: Slavomir Rawicz
Editore: Corbaccio [www.corbaccio.it]
Pagine: 277
Illustrazione/Foto: No
Costo: 16,60 euro