Prima di avventurarsi nei meandri della lettura critica dell’opera che ci apprestiamo ad affrontare, una piccola premessa è d’obbligo: parlare di Qualcosa nell’aria come di un film sul Sessantotto significa partire con il piede sbagliato e soprattutto causare nel suo autore una certa irritazione, visto che in più di un’occasione – compresa l’anteprima mondiale nel concorso della 69ª Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia dove si è aggiudicato l’Osella per la migliore sceneggiatura – lo stesso Olivier Assayas lo ha categoricamente sottolineato. Del resto, se non bastasse il titolo originale Après mai a sfatare qualsiasi dubbio, ci pensa la sinossi a mettere le cose in chiaro, a cercare in tutti i modi di sgomberare dalla mente dello spettatore l’idea che l’ultima fatica dietro la macchina da presa del regista francese sia proprio un film sul Sessantotto.
Siamo, infatti, nella Parigi del 1971, quando la spinta propulsiva della contestazione di quello storico maggio stava già scemando: Gilles è un giovane liceale preso dall’effervescenza politica e creatrice del suo tempo. Come i suoi compagni, esita tra un impegno radicale e delle aspirazioni più personali.
Passando da relazioni amorose a rivelazioni artistiche, in un viaggio che attraverserà l’Italia e finirà a Londra, Gilles e i suoi amici dovranno fare scelte decisive per trovare se stessi in un’epoca tumultuosa.
Parafrasando il titolo della seconda pellicola di Bernando Bertolucci bisognerebbe parlare dunque di “un dopo la rivoluzione”, quella che lo stesso cineasta emiliano metterà in scena in The Dreamers, preceduto nel 1979 dalla commedia drammatica Prova d’orchestra di Federico Fellini. Quello di Assayas è un film che parla dell’essere adolescenti in quegli anni, che focalizza l’attenzione sulla vita di alcuni di loro e non su un’intera generazione. Per questo se si deve per forza di cose paragonarlo a qualcosa per rendere meglio l’idea, scomodare Fragole e sangue di Stuart Hagmann e Quando l’anarchia verrà della coppia Bortoli-De Stefano, è forse la scelta più consona, anche se le affinità elettive con Les Amants réguliers di Philippe Garrel sono ancora più forti.
Alla pari dell’opera firmata dal connazionale, Assayas per la sua tredicesima regia allarga decisamente la tastiera dei toni inondando lo script di umorismo e malinconia, patetica e critica, tormento e tristezza, disincanto e accidia.
Come la pellicola del 2005 ripudia l’epica, ma al contrario di essa abbraccia un sguardo raccolto, intimo e partecipe, al quale Garrel ne preferisce invece uno decisamente più freddo, staccato e analitico. In tal senso, Assayas non ha mai nascosto l’inclinazione al melodramma e ai conflitti tra passione e ideologia, e i film degli esordi lo confermano ampiamente[da Disordine ambientato tra le bande giovanili parigine a quelli successivi che pongono al centro del plot i conflitti generazionali e le difficoltà di relazione interpersonale: Il bambino d’inverno, Contro il destino, L’acqua fredda], ma qui sono espressi o suggeriti nei modi della leggerezza, della malinconia, della serenità. Dunque, Qualcosa nell’aria non vuole essere un film di contestazione e sulla contestazione, sull’impotenza rivoluzionaria, piuttosto uno spaccato di esistenza, di formazione e di ricerca della propria identità, ritagliato in un periodo in cui tutti si affannavano a cercarla.
Nonostante la chiave di violino che dà il la alla partitura narrativa sia la messa in scena della celebre manifestazione del 9 febbraio 1971, con tanto di repressione da parte della polizia nei confronti del movimento studentesco, lo script abbandona gradualmente la cronaca romanzata della Storia scivolando sulla contestualizzazione che viene lasciata sempre sullo sfondo.
Assayas sceglie dunque di estraniarsi e di estraniare il suo racconto, puntando l’obiettivo della sua macchina da presa verso “altro”, pur conservando le atmosfere e soprattutto le sonorità del periodo [da sempre la musica ha fatto parte nel suo cinema della drammaturgia, in una poetica compenetrazione tra immagine, parole e note]. Ed è qui che affiora il germe del distacco che tanto ha deluso coloro – il sottoscritto compreso – che si aspettavano dall’ultima fatica del regista francese un ritorno ai suddetti esordi, così intrisi di rabbia e desiderio di affondare le mani, non solo nelle emozioni, ma anche nei fatti. Lo spirito che guida la scrittura di Qualcosa nell’aria rimanda invece a quella che ha animato pellicole come Demonlover e Clean, ambientate rispettivamente nel “mondo” della produzione dei manga e del punk-rock, che si traduce in una narrazione più intimista.
Assayas racconta di un gruppo di liceali, figli di artisti, appartenenti alla classe “borghese”. La loro attenzione è più rivolta alla musica e al cinema che alla stagione calda della contestazione studentesca e operaia. Parlare di “altro” che non sia protesta e disordine, rivendicazione e scontro pacifico e non, non va però scambiato per paura da parte del regista di affrontare gli eventi, questo gli va riconosciuto, ma forse una maggiore interazione tra storia e racconto intimo, con un rimbalzo tra pubblico e privato, avrebbe giovato di più al film e accontentato quella fetta di pubblico che ne è rimasta insoddisfatta. Ma sono scelte e le scelte vanno rispettate.
Noi la rispettiamo, ma ci sentiamo in diritto di esprimere a parole una parziale delusione nei confronti di una pellicola che, seppur intrisa dal retrogusto meravigliosamente cinefilo con il quale Assayas ha sempre contaminato i suoi racconti filmici [passando anche per il citazionismo mai fine a se stesso], presenta vuoti e stasi che il regista non riempie come dovrebbe. Non stiamo parlando di edulcorazioni tematiche che riguardano l’omissione dalla narrazione della violenza subita ma anche compiuta, dell’abuso di droghe e alcolici e dell’ideologismo, perché tutto ciò viene descritto e mostrato, bensì di passaggi drammaturgici che destabilizzano l’architettura complessiva del racconto. Stiamo parlando di “surplus” che dilatano inspiegabilmente la progressione del plot, lo infarciscono di ghirigori e merletti che gonfiano e non arricchiscono un film che quello che doveva dire lo dice ampiamente nell’arco di novanta minuti, ma che invece si protrae fino a raggiungere la boa delle due ore.
Dall’altra parte, ciò che piace molto in Qualcosa nell’aria è la conferma ancora una volta dell’amore per i personaggi, per gli attori e per i loro corpi, la capacità di non omologarsi e di non omologare, la resa fotografica e la cifra registica [primi piani insistiti, lunghi silenzi, grande scavo psicologico] che Assayas continua a mettere nel suo modo di fare e concepire la Settima Arte.
Francesco Del Grosso
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QUALCOSA NELL’ARIA
Regia: Olivier Assayas
Con: Clément Métayer, Lola Créton, Carole Combes, Mathias Renou, Hugo Conzelmann
Uscita in sala in Italia:
Sceneggiatura: Olivier Assayas
Produzione: MK2 Productions
Distribuzione: Officine UBU
Anno: 2012
Durata: 122’