[Anteprima al Fantafestival 2013]
Il giallo all’italiana risorge con Tulpa, terzo film di Federico Zampaglione e sua seconda dichiarazione d’amore verso i Generi dai toni cupi, dopo Shadow, del 2009.
Se nel film precedente Zampaglione aveva voluto affondare le mani nell’horror, costruendo un film fiabesco, per ambientazione e costruzione dei personaggi, per certi versi legato a titoli americani come Un tranquillo weekend di paura [John Boorman, 1972], in cui molto importante era la chiave di rivisitazione del torture porn,Tulpa non solo conferma lo smodato amore del regista romano verso la cinematografia horror [con annessi sottoGeneri derivati e affini], ma lo mette a confronto con un filone stavolta tipicamente made in Italy, una certa caratura di “giallo” tipico degli anni ‘70 e con una schiera di registi che va da Dario Argento a Sergio Martino.
E Zampaglione s’aggrappa con le unghie al filone del giallo, e alla sua matrice italica, ai suoi canoni standardizzati, per riproporne una versione che da un lato esamina i vari tòpoi, gli espedienti drammatici e i meccanismi ansiogeni, mentre dall’altro li rielabora e li ripropone in chiave feroce e moderna.
Questo profondo legame con una particolare branca della cinematografia made in Italy, che vuole tagliar di netto qualsiasi avulso paragone con il thriller o con lahorror-story più pura, si concretizza già nella sodale collaborazione tra il regista e Dardano Sacchetti, nume tutelare all’interno della nostra cinematografia di Genere, che firma il soggetto del film e, poi, revisiona lo script firmato da Zampaglione e Giacomo Gensini [già sceneggiatore in Shadow], orchestrando una serie di decessi agghiaccianti, orchestrati in un body count grafico che alterna un forte senso del macabro a momenti dichiaratamente gore, e che accompagna Zampaglione in un cammino di ostentazione della violenza, visivamente quasi del tutto estromessa da Shadow che, in un meccanismo di rivoluzione del torture, occultava l’atto violento per svelarne unicamente le conseguenze fisiche, e che inTulpa, invece, indugia e ricama sulla costruzione degli omicidi, sulle ferite e suoi fiotti di sangue.
Claudia Gerini è Lisa, una donna dalla doppia vita: di giorno è un’esperta manager dalla carriera in ascesa, di notte, invece, si trasforma nell’assidua frequentatrice di un esclusivo private club, il Tulpa, all’interno del quale, con il benestare dell’ambiguo proprietario [Nout Arquint, il Mortis di Shadow, che conserva le sue movenze da serpente], i soci possono dare sfogo in tutta libertà alle proprie fantasie sessuali. Quando ha inizio la mattanza degli amanti di una notte della manager, Lisa non potrà far altro che mettersi sulle tracce dell’anonimo assassino, per finire a scoprire quale significato si nasconda all’interno della parola “tulpa”.
Da vera scream queen, la Gerini calza perfettamente l’abito double-face del personaggio cucitole addosso da Zampaglione, che ne esalta la doppia carica [razionale e passionale, imprenditoriale ed erotica] anche attraverso un continuo sbilanciarsi della fotografia, rimbalzata tra le ammalianti e calde illuminazioni del Tulpa, quelle glaciali delle riunioni aziendali e dei lunghi corridoi che Lisa continua a percorrere insieme al suo direttore [Michele Placido], affascinato, allo stesso tempo, dalle capacità aziendali e dalla carica sessuale della donna. E, proprio attraverso il personaggio interpretato da Placido, sempre volutamente sopra le righe, si insinua in maniera macroscopica un altro degli ingredienti tipici del giallo all’italiana, il senso del grottesco, che s’affianca, in una miscela inconfondibile, alla morte e al sesso.
Il sesso visto come peccato da punire, nel giallo all’italiana ancor prima che nello slasher statunitense: la trasposizione filmica di un contrappasso di matrice cattolica, che è probabilmente il marchio più radicato nella cultura arcaica del Belpaese, quello che affonda in maniera organica anche nelle viscere dello spettatore più smaliziato.
A questo si vanno ad aggiungere chiari riferimenti al territorio d’elezione scelto da Zampaglione, icone di Genere e mai citazioni di un preciso film, come quella scelta come immagine grafica dell’omicida oscuro, nemesi della donna eroica e bivalente, e le musiche, curate anche questa volta dagli Alvarius [Francesco Zampaglione e Andrea Moscianese], più che valide per accompagnare la discesa negli inferi della protagonista, e un importante “intruso”: l’elemento paranormale, insito nel nome del club privato e nel suo misterioso gestore.
La visione molto personale che Zampaglione vuole dare al suo giallo all’italiana è accentuata dal suo volersi impiegare anche come operatore di ripresa, unica via per ricreare in maniera naturale le atmosfere, i movimenti e le giuste inquadrature.
Un ritorno accorato e integro ad un Genere fieramente made in Italy, che non cerca superflui movimenti d’avvicinamento al thriller e all’horror, ma che nel suo essere orgogliosamente “giallo” si fa spazio a colpi d’ascia all’interno della cinematografia italiana ed internazionale, segnando un altro punto a favore nel pallottoliere di Zampaglione.
Luca Ruocco
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TULPA
Regia: Federico Zampaglione
Con: Claudia Gerini, Nuot Arquint, Ivan Franek, Michele Placido, Michela Cescon, Crisula Stafida
Uscita in sala in Italia: /
Sceneggiatura: Giacomo Gensini, Federico Zampaglione da un soggetto di Dardano Sacchetti
Produzione: IDF – Italian Dream Factory
Distribuzione: Bolero
Anno: 2012
Durata: 82′