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RAPACITA’ di Eric von Stroheim

creed1Diamo il via quest’oggi ad una nuova rubrica del nostro InGenere Cinema [e siamo già pronti per vararne un’altra, Horrorscopio, questo fine settimana]. Uno spazio gestito dal nostro redattore Lorenzo Paviano [critico e sceneggiatore cinematografico] dal titolo Restricted Movies.

Restricted Movies, che avrà cadenza bisettimanale,  è, negli intenti del curatore, il nostro sguardo verso il cinema più controverso e censurato, dai “capolavori maledetti” ai sottogeneri dell’exploitation più estrema.

Si comincia dal film Rapacità di von Stroheim.

[LR]

Originario di Vienna, Eric von Stroheim [il von fu una sua invenzione] può vantare il merito di essere ricordato come il primo regista maledetto della storia del cinema. Il nostro era ancora un giovane autore quando, agli inizi degli anni Venti [periodo in cui le cesoie della censura non avevano ancora fatto la loro simpatica comparsa a Hollywood], iniziò a lavorare in America e si impose all’attenzione del pubblico per una serie di pellicole dalla carica erotica quasi impensabile per l’epoca [Femmine folli del ’22 su tutte]. Storie visionarie, barocche e a limite della morbosità, in cui il regista portò in scena alcuni tra i personaggi più affascinanti e, allo stesso tempo, perversi del cinema muto americano. greed4Per un certo periodo la sua fama fu quasi pari a quella del sommo Chaplin, così Stroheim decise di dare il via libera alle sue spericolate fantasie di grandezza, iniziando a progettare il film che lo consegnerà agli annali del cinema.

Greed [in Italia Rapacità] verrà infatti ricordato come il suo capolavoro per eccellenza [nonché uno dei titoli-scandalo del cinema muto], sebbene abbia rappresentato il punto di partenza del suo crescente declino come autore.

La vicenda prende spunto dal romanzo McTeague di Frank Norris: nella San Francisco di fine Ottocento un ex minatore dai modi rudi si ritrova sposato con una donna che vive esclusivamente per il denaro. Una volta appresa la notizia che la consorte ha vinto una grossa cifra alla lotteria, l’uomo decide di ucciderla e fugge con il bottino verso il deserto della Death Valley. Il cugino [nonché ex fidanzato] di lei inizia a braccarlo, fino al più pessimista dei finali possibili. Tutto il film è girato nei luoghi descritti nel romanzo con una ricerca di realismo quasi maniacale, compresa la mitica Death Valley dove si svolge la stupenda scena finale. Stroheim, fedele alla sue ossessive manie di grandezza, pretese di ricostruire l’intera città di San Francisco, facendo letteralmente saltare il budget della casa di produzione [la MGM di Irvin Thalberg, che all’epoca deteneva lo scettro del potere a Hollywod].

greed3Ma il problema maggiore era che, originariamente, la durata del film si avvicinava alle dieci ore [!] e il regista, a malincuore, si trovò costretto ad effettuare una massiccia serie di tagli, fino a ridurlo ad una versione di più o meno quattro ore, da dividere in due proiezioni separate. A questo punto intervenne lo stesso produttore, che tolse il film dalle mani di Stroheim e lo affidò ad altri, facendolo uscire in una versione di poco più di due ore [disconosciuta dal regista], che al botteghino si rivelò un fallimento.

Pur essendo una delle opere più mutilate della storia del cinema, Greed rispecchia tutto il crudo verismo che è alla base della poetica di Stroheim, in totale antitesi con il concetto di cinema hollywoodiano [dove la Settima Arte era principalmente il mezzo per trasmettere un’immagine pura e rassicurante dei gloriosi Stati Uniti]. Attraverso i tre protagonisti, il regista scava invece nelle pulsioni più malsane dell’essere umano, rappresentandone ogni peccato nella maniera più diretta e spietata possibile, quasi fosse una sorta di patologia [vediamo addirittura la moglie del minatore che ogni sera, come un rituale, sparge il denaro sul letto].

greed2Ambientazioni piovose e crepuscolari e personaggi antieroici fanno da contorno ad una delle più spietate parabole sull’avarizia umana che il cinema ricordi, culminante con un finale senza speranza dai toni decisamente beffardi. Il senso di morte e disperazione che circonda i due duellanti negli ultimi minuti, immersi in un paesaggio vastissimo e desolato, è la sintesi perfetta del film e, probabilmente, di tutta la filmografia di Stroheim. Solo alla fine degli anni Novanta è stata realizzata una versione restaurata della pellicola che si aggira intorno alle quattro ore di durata.

Lorenzo Paviano

RAPACITA’

4 Teschi

Regia: Eric von Stroheim

Con: Gibson Cowland, Zasu Pitts, Jean Hersholt

Sceneggiatura: June Mathis, Eric von Stroheim

Produzione: Irvin Thalberg [MGM]

Distribuzione: /

Anno: 1924

Durata: 140′ c.a. [versione restaurata 240′ c.a.]

InGenere Cinema

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