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HATCHET – La trilogia

hatchet2Non li fanno più gli slasher di una volta…

A farne ne fanno, anche tanti, e dal punto di vista dello splatter, l’effettistica moderna [quando si parla di uno slasher con dietro un impianto produttivo degno di nota] ha permesso una resa realistico-esasperata-spettacolare [dipende dalle scuole di pensiero] molto molto migliore rispetto a quella tipica degli anni ’70 e ’80.

E allora? Allora è probabile che il gioco sia durato abbastanza o che noi spettatori dello slasher che fu non riusciamo a guardare più con il giusto sguardo verso il Genere, vedendolo ora, a distanza di anni, come monotono, ripetitivo…

hatchet6Ma forse c’è qualcos’altro: forse è proprio lo slasher contemporaneo ad aver smarrito la bussola e la voglia di stupire, rifugiandosi nell’estremizzazione grafica consentita dal progresso dell’effettistica e, in primis, proprio nel suo ricalcare in tutto e per tutto i grandi classici [e i grandi villain] del passato.

Un esempio contemporaneo di saga slasher, di stampo vagamente parodistico ma molto legato al classismo, è quella varata con l’Hatchet di Adam Green, del 2006.  

La totalità della saga [finora una trilogia] è ambientata in una palude della Louisiana, territorio ameno e boschivo che, oltre a far da habitat perfetto ad una sfilza di alligatori, è anche “luogo infestato” da uno spettro armato, una leggenda metropolitana davvero poco ectoplasmatica conosciuta con il nome di Victor Crowley.

hatchet7Il primo punto pienamente rispettato è quello di creare un mito attorno alla figura del villain di turno, legando il tutto a tragici avvenimenti del suo passato. In questo caso, la vita di Victor Crowley era iniziata sotto una cattiva stella già dal concepimento, quando la moglie malata del boscaiolo, prima di spirare, trova la forza per maledire l’unione di suo marito e dell’infermiera di colore che l’aveva avuta in cura per anni, e con essi  la loro progenie bastarda.

La storia di Crowley si articola nell’arco dei primi due capitoli, basandosi su un breve accenno nel film capostipite e un lungo e curato flashback nel secondo, Hatchet 2, sempre firmato da Adam Green, nel 2010, per Dark Sky Films [produttrice dell’intera trilogia].

La maledizione della donna tradita, o un non fortuito impasto di geni, regala a Victor un aspetto deforme, soprattutto nel volto ributtante e macrocefalo, e una mentalità assai problematica con cui dovrà rapportarsi il protettivo padre che, dopo aver perso la consorte, perderà anche l’amante, proprio a causa del parto.

HATCHET III / Director BJ McDonnell / Photo: Skip BolenMa le smanie difensive del genitore, non salveranno dalle angherie dei suoi coetanei e dal loro tragico sbocco: durante una nottata di bagordi, tre teppisti decidono di incendiare la baracca di legno abitata dai Crowley. In pieno panico, il boscaiolo inizia a prendere ad accettate la porta, per liberare il figlio deforme dalle fiamme ma, sfortunatamente, gli ficca l’ascia proprio al centro della faccia, uccidendolo [apparentemente].

Da quel momento in poi, però, Crowley [spettro, zombi o creatura immortale che sia] aveva iniziato un preciso e ultra-splatter lavoro di ripulitura della sua zona di caccia, da qualsiasi presenza umana.

I tre film della saga di Hatchet ne sono un esempio: organizzati con una scansione temporale molto stretta, che fotografa tre consecutive notti nell’ambiente palustre, sono, infatti, l’estremizzazione della scarsità di trame drammaturgicamente articolate tipica di gran parte dei titoli appartenenti a questo filone.

hatchet12Ma qui casca l’asino: se il primo Hatchet, infatti, si era dimostrato un omaggio particolarmente interessante allo slasher che fu, i due capitoli successivi sono unicamente una ripetizione [in crescendo] di quel che era accaduto nel primo film di Green.

Come per la saga di Halloween [e per tanti altri slasher], questa saga si lega ad un periodo dell’anno ben circoscritto, e ad una festività, quella carnevalesca, che nella cittadina limitrofa alla palude si festeggia con esternazioni sessuali particolarmente accese [ragazzine disinibite che mostrano a destra  e a manca le proprie forme, e ragazzi infoiati mai sazi del guardare].

In Hatchet due ragazzi allontanatisi dalle strade festanti, insieme ad una coppia di modelle hard e il loro presunto talent scout, due coniugi sovrappeso, una guida del tutto improvvisata e una ragazza silenziosa e misteriosa, si avventureranno nella palude per un tour notturno.

hatchet3Cadranno tutti sotto i colpi di scure, e fra le mani della mostruosa entità, tranne una: la giovane sconosciuta, MaryBeth [l’affascinante Tamara Feldman sostituita nei capitoli successivi dall’assai meno convincente Danielle Harris] che, si scoprirà, è legata a doppio filo con il  villain, in modo da non scardinare una altro dei topoi tipici dello slasher che vuole che la scream queen di turno abbia una relazione di sangue con l’uccisore.

E pur se in Hatchet MaryBeth non è una diretta consanguinea del mostro, il loro legame risulterà comunque sanguigno: il padre di lei, infatti, era stato, da bambino, uno dei tre ragazzi che avevano accidentalmente causato la morte di Crowley. E Il primo capitolo della trilogia si era proprio aperto con l’uccisione di Samson Dunston e di suo figlio, cacciatori di frodo di alligatori, macellati nottetempo dal deforme assassino. E per continuare con i legami con il sacro slasher il cacciatore notturno è affidato al corpo attoriale di messer Robert Englund, ossia l’iconico Freddy Krueger, in un cameo d’eccezione.

hatchet4E rimanendo nel campo dell’interpretazione, l’attore che per l’intera trilogia vestirà i panni di Victor Crowley altro non è che Kane Hodder. Chi è? Semplicemente l’interprete dell’altro killer seriale Jason Voorhees nei capitoli VII e VIII della saga di Venerdì 13 e dei successivi Jason va all’inferno  e Jason X – Morte violenta.

Proprio a Jason [che poi sarà citato meta cinematograficamente all’interno della saga], e alla sua natura di ragazzino deforme, prima, e di incontrollabile macchina di morte, poi, sembra guardare maggiormente l’ideatore della saga di Hatchet e del suo protagonista negativo.

Fin qui non male: un buon intrattenimento e un po’ di caldo per il cuore degli appassionati. Ma il meccanismo inizia a cigolare già nel secondo, facendo ripensare al film capostipite solo come ad un lungo incipit di una storia ciclica e infinita.

hatchet8Messi a tacere i componenti della prima spedizione, eccetto la sua nemesi, Crowley riceverà la visita, la notte successiva, di un altro gruppo: quello dei mercenari al soldo del Reverendo Zombie [il Tony Todd di Candyman], la mente dietro alle escursioni notturne in palude e il proprietario di un negozio/museo in stile Capitan Spaulding del dittico La casa dei 1000 corpi/La casa del diavolo di Rob Zombie [e se già l’assonanza tra il cantante-regista e il reverendo sarebbe bastato come prova dell’apparentamento, nel terzo capitolo, Hatchet 3, firmato da BJ McDonnell nel 2013, farà la sua bella comparsa proprio Sid Haig nei panni del fratello rimbambito del personaggio interpretato da Englund].

Il Reverendo vuole, in verità, unicamente eliminare le credenze negative che infestano la zona, ma ne ricaverà soltanto il trapasso, suo e dei suoi compari, che subito lo seguiranno all’Inferno. Unica superstite, anche stavolta, MaryBeth che, però, in compenso, sarà sicura di aver ucciso Crowley, portandone via lo scalpo dopo averlo maciullato fra i denti di una motosega extralarge e fucilato in pieno volto con doccia di sangue tutt’altro che purificatrice.

hatchet9Il bodycount del primo capitolo, otto vittime, viene oltrepassato nel secondo, che conta dieci cadaveri.

Prima di passare al terzo, e ancora più monotono capitolo, va registrato anche il tentativo di spiegare l’apparente immortalità di Victor Crowley [replica di quella dei suoi colleghi più blasonati]. Il ragazzone deforme, infatti, secondo il Reverendo Zombie sarebbe, dopo morto, divenuto un “replicatore”; un’anima in pena [con un bel po’ di carne attorno allo spirito], bloccato nell’infinita reiterazione della notte di violenza in cui perse la vita.

E il pensiero di Zombie è quello di poter porre fine all’esistenza della mostruosa entità fornendogli la possibilità di vendicarsi dei ragazzi, ora adulti, che gli incendiarono il capanno [almeno di quelli ancora in vita].

La soluzione si rivelerà fallace, e con finale ad accetta [una chiusa accessoria a tema, quindi, che caratterizza tutti e tre gli episodi fornendo sempre un punto di domanda sull’effettiva fine dei giochi], il discorso sarà ripreso nel terzo capitolo, che vede proprio la ragazza allontanarsi con lo scalpo e recarsi in una stazione di polizia a denunciare il fatto.

La vittima sarà, però, scambiata per la carnefice, e messa sotto chiave. Si da, così, il via alla terza spedizione. Arrivano i nostri! Il nuovo gruppo di avventurieri sarà costituito dalla polizia locale e da alcuni soldati S.W.A.T., per poi includere anche la solita MaryBeth e una giornalista curiosa, esperta in tradizioni popolari locali.

HATCHET III / Director BJ McDonnellProprio la donna costringerà la ragazza a tentare ancora una volta a porre fine all’esistenza del “replicatore” consegnandogli, come suggeritole da una sacerdotessa voodoo, le ceneri del corpo del suo amato padre.

Il tasso gore non accenna, fortunatamente, ad acquietarsi, tentando di supplire alla triplice copia della trama con un esagerato bodycount: diciannove morti ammazzati, e sangue e frattaglie sparse un po’ ovunque.

Uccisioni a mani nude, con accetta, armi contundenti improvvisate, levigatrici a nastro… tutto colore, ma la sostanza manca, fin dal capitolo precedente.

Anche in questo caso, nonostante il procedimento voodoo, eseguito in maniera non proprio rituale, sembrerebbe aver dato dei frutti, il finale ad accetta vorrebbe far pensare a qualcosa di ancora aperto.

Il primo Hatchet è distribuito in Italia in DVD, in un’edizione prima di extra, da  OneMovie – 01 distribution.

Luca Ruocco

InGenere Cinema

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