Con Battle of the Year – La vittoria è in ballo, nelle sale nostrane a partire dal 5 dicembre sotto il segno della Warner Bros., Benson Lee dimostra come e quanto sia semplice sottrarre a un’opera cinematografica qualsiasi vena o velleità autoriale, narrativa e drammaturgica, per portare sul grande schermo nient’altro che uno spudorato e più che evidente strumento di promozione di questo o quell’altro marchio. Il come non è difficile da intuire, alla pari del quanto: chiudere più contratti possibili, così da tramutare quello che dovrebbe essere un film in uno spot a passo lungo, utile a pubblicizzare uno o più prodotti presenti in commercio. Fatto questo, non resta altro che inserire i suddetti sponsor nelle pagine della sceneggiatura prima e nella messa in quadro poi, nella speranza che trovino la migliore e più armoniosa collocazione, al fine di permettere alle due anime di fondersi.
Insomma, quello che anni addietro era bollato immediatamente come pubblicità occulta, persino perseguibile in termini giudiziari, ora grazie alle leggi vigenti, tutto ciò ha assunto contorni e regolamentazioni di tutt’altra natura.
Se da una parte, tale regolamentazione ha fornito alle produzioni nuove possibilità economiche e finanziarie, dall’altro nei peggiori dei casi ha generato veri e propri “prodotti cinematografici”, che nulla hanno a che spartire con quello che comunemente è associato alla Settima Arte.
Il film diretto da Lee è uno di questi, ossia uno spot a tutti gli effetti, camuffato nemmeno tanto abilmente in una pellicola destinata alle sale, nella quale trovano sterminate praterie di pixel a disposizione, una serie di griffe conosciute a livello internazionale come Sony, Braun, Red Bull e Puma. Ognuna di queste si fa largo a spallate inquadratura dopo inquadratura, attirando con il rispettivo logo, impresso in maniera invasiva e sistematica, l’attenzione dello spettatore di turno, con il solo scopo di promuovere i prodotti del momento. A pagare il prezzo più alto è il progetto stesso nella sua interezza, snaturato, depotenzializzato e venduto al migliore offerente neanche fosse un’asta. Il risultato artistico viene di conseguenza fagocitato, per non dire annientato, per assumere definitivamente le sembianze di una campagna pubblicitaria. Per cui abbozzare uno straccio di analisi critica a riguardo, degna di essere definita tale, diventa compito arduo, al quale però non ci sottraiamo.
Battle of the Year è facilmente riconducibile al ricco filone del dance movie pre e post adolescenziale, che poche soddisfazioni ha dato nell’ultimo decennio, almeno da quando precedenti come Step Up [e relativi sequel], Save the Last Dance o A Time for Dancing, hanno fatto la loro comparsa. Da quel momento, operazioni analoghe hanno iniziato a proliferare soprattutto dalle parti di Hollywood [Ballare per un sogno, Honey o Street Dance] esiti solo di rado degni di nota. Il film di Benson Lee si allinea in tutto e per tutto al modus operandi del suddetto filone. Ne riprende lo schema drammaturgico in maniera fedele, e con esso i temi, gli stilemi e le tipologie di personaggi che lo animano, affiancando al tutto anche una bella dose di retorica e morale che è tipica dei film a sfondo sportivo. Ne scaturisce uno sviluppo prevedibile, che nessuno spazio concede all’originalità, al disegno dei personaggi stessi e alle dinamiche che si vanno a instaurare. La successione degli eventi appare dunque scontata, troppo semplice da leggere per una platea che ha oramai imparato a decodificare il linguaggio visivo e narrativo che questo genere di film ripropone ciclicamente.
Liberamente ispirato al documentario Planet B-Boy, il film racconta la storia di un gruppo di ballerini e dei loro allenatori chiamati a rappresentare gli Stati Uniti all’ultima edizione della Battle of the Year in Francia, in quel di Montpellier, sperando di vincere la competizione dopo anni di sconfitte contro i più bravi e preparati b-boys del mondo. Ci catapulta nel mondo della breakdance, della filosofia che la pervade, del ritmo che lo scandisce, della musica che lo muove e dei passi che lo caratterizzano. Trascina nel cuore di una competizione come la BOTY [nata in Germania agli inizi degli anni Novanta], definita dagli addetti ai lavori come l’Olimpiade del B-Boying, al seguito di un team a stelle e strisce nel quale non mancano attriti, divergenze e manie di protagonismo. Compito del coach [interpretato da Josh Holloway, ossia il Sawyer di Lost] creare un gruppo affiatato e al tempo stesso dare a se stesso una seconda possibilità per ricominciare dopo una brusca frenata. Di conseguenza, si finisce con il trovarsi al cospetto del più classico, per non dire logoro, percorso di riscatto collettivo e personale, che passa attraverso la danza e l’amicizia. Un percorso nel quale, stranamente, non c’è il minimo spazio per la sottotraccia sentimentale.
Per questi motivi l’interesse nei confronti di film simili, almeno sul versante del racconto e delle argomentazioni sollevate, è ridotto ai minimi storici. Al contrario, l’unico motivo d’interesse diventa a questo punto l’aspetto coreografico, o come nel caso della pellicola del regista americano, il contributo che la ripresa stereoscopica fornisce alla fruizione. In tal senso, tra le numerose sequenze di ballo presenti, poche rubano lo sguardo, con un 3D che solamente in rare occasioni [vedi la battle finale con il fortissimo e imbattuto team sudcoreano] si dimostra capace di innalzare il tasso spettacolare. Ciò che resta è pertanto un prodotto del quale, tanto drammaturgicamente quanto tecnicamente, non se ne sentiva affatto la mancanza.
Francesco Del Grosso
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BATTLE OF THE YEAR – LA VITTORIA É IN BALLO
Regia: Benson Lee
Con: Josh Holloway, Josh Peck, Chris Brown, Laz Alonso, Caity Lotz
Uscita in sala in Italia: giovedì 5 dicembre 2013
Sceneggiatura: Brin Hill, Chris Parker
Produzione: Contrafilm
Distribuzione: Warner Bros.
Anno: 2013
Durata: 109′