Il film conclude il trittico [e non trilogia, come specificato dall’autore] che ha come soggetto l’opera di grandi artisti del passato , partendo da Hieronymus Bosch [per Il giardino delle delizie], passando da Pieter Bruegel [per quanto riguarda I colori della passione] e infine, archiviando i due pittori, tratta secondo un’ottica fortemente contemporanea la Divina Commedia di Dante Alighieri.
Onirica, tuttavia, non si presenta soltanto come una delicata quanto monumentale rilettura dell’immortale capolavoro della poesia ma è a tutti gli effetti un affresco del mondo di oggi e una constatazione cinematografica della vita umana , condannata alla solitudine e alla ricerca dell’essere altra da sé.
Adam [Michal Tatarek] lavora in un ipermercato e conduce una vita semplice e solitaria, ma ne possiede un’altra, parallela, nel mondo onirico, nel quale si abbandona fin troppo spesso per chi lo circonda.
Il protagonista cade addormentato continuamente [in autobus come nel magazzino del luogo di lavoro] proiettando sé stesso in sogni danteschi, nei quali insegue quella esistenza altra da sé già citata in precedenza.
Soltanto dopo che l’uomo va a fare visita alla zia Xenia [unica persona con la quale si tiene in contatto] si scopre tutta la verità che avvolge il personaggio principale: Adam , in un tragico incidente automobilistico ha perso l’amico Kamil e la fidanzata Bosia, e a causa del trauma [e forse dell’inconscio senso di colpa per essere rimasto illeso] ha abbandonato una promettente carriera universitaria di docente di letteratura.
Xenia è una letterata specializzata nella traduzione di poesie persiane e, nel dialogo madre del film, cita quei riferimenti letterari per afferrare il tesissimo filo conduttore che tiene in piedi l’opera [in primis la teoria dell’esistenza di Martin Heiddeger] e, in qualità di figura reggente della vicenda, rappresenta l’umanità espressa al massimo della propria potenzialità di amore e “carità”.
Onirica dunque è anche una profonda riflessione sulla Polonia contemporanea del regista, e perciò riguarda [attraverso la continua attività onirica del protagonista] i conflitti e le caratteristiche di questo particolare paese ; il conflitto e la riflessione sul cattolicesimo si accompagnano al ricordo e allo scontro con particolari eventi storici, sociali e di cronaca [fra i più importanti l’inondazione che colpì il paese nel 2010 e il misterioso schianto dell’aereo e la morte dei novantasei passeggeri membri dell’èlite della nazione, nello stesso luogo che era stato teatro dell’uccisione di altrettanti personaggi di rilievo durante la dominazione sovietica].
La tragedia nazionale così aggrava la tragedia personale di Adam, che nei propri sogni incontra il padre, gli amici e la fidanzata deceduta. Il protagonista si isola così dall’opprimente realtà [e dalle finzioni della società rappresentate dal luogo del supermercato e dai programmi televisivi] grazie all’ascolto dei versi della Commedia di Dante Alighieri [recitati da Massimiliano Cutrera, e lasciati in lingua italiana in tutte le versioni del film] .
Il finale così, restando fedele al resto, è sospeso fra allegoria onirica e fredda realtà contemporanea, tanto contingente e drammatica quanto meritevole di fuga da parte dei membri sconvolti della società, lasciando un concreto barlume di speranza per chi è in condizioni di coglierlo.
E’ palese che il film sia intriso di vari e ricchi riferimenti colti, ma è anche vero che ciò che più lo rende un’opera da ricordare è la bellezza del contrasto fra l’oggi e il passato [relegato oramai alla dimensione del sonno ma sempre in perpetuo cambiamento nei confronti di chi lo ricorda, senza mai però cedere nulla della propria sontuosità e valore immortale], e non in ultima istanza la conclusione [basata sul mito di Orfeo ed Euridice] della storia d’amore fra Adam e Basia.
Il film è allora un viaggio dantesco nel mondo contemporaneo che ha tuttavia tralasciato in gran parte il Purgatorio per dedicarsi alle altre due dimensioni estreme ed opposte della vita dell’uomo [e della sua morte] per poi constatare che il confine non è poi così netto, e che nessun essere umano é indicato per determinare l’indeterminabile.
I riferimenti strettamente cinematografici, in parte anche negati dalle parole del regista [tranne quello a 8 ½ di Federico Fellini, del quale infatti Lech Majewski ha pubblicato uno studio fotogramma per fotogramma], a Andrej Tarkovskij e a Film Blu di Krzysztof Kieslowski [e anche a tutto il resto della cinematografia polacca e russa] permeano tutto il film, anche se il regista dimostra una particolarissima sensibilità verso le tecniche di S.G.I e computer grafica [impiegata in grande misura nelle scene oniriche, tranne che nella scena in cui il padre di Adam spinge un aratro trainato da buoi sul pavimento del supermercato, per far emergere da sotto le mattonelle della fertile terra].
Il simbolismo personale di Majewski [citato più volte nel film] emerge da ogni inquadratura, tracciando in questo modo la visione autoriale di un mondo industrializzato e solido ma soggetto alla crudeltà della natura e delle contingenze, popolato da uomini ancora più fragili e soggetti a ciò che li circonda loro malgrado.
I difetti [tali forse soltanto per chi conosce fin dal periodo scolastico l’opera di Dante] risiedono forse in alcune ovvietà contenutistiche del film, ma limitate ad alcuni passaggi e ampiamente giustificati dallo svolgersi delle dinamiche fra le due dimensioni esistenziali del protagonista, le quali tendono sempre più ad allontanarsi l’una dall’altra all’aggravarsi della situazione terrena nella richiesta della trascendenza [l’interrogazione sulla dimensione divina è intelligentemente rimandata esplicitamente alla teodicea, nella scena del confessionale].
Simile in certi tratti a Holy Motors [2012] di Leos Carax e a numerosi altri film [ma diversissimo per il sistema di simboli e richiami sopracitati], il film si configura come la conclusione di un trittico cinematografico in cui il richiamo all’arte del passato [parte integrante della biografia del regista] non funge solo da sfondo, ma è il filo conduttore di una ricerca sulla contemporaneità [espressa soltanto nel terzo film, come summa di tutta la ricerca precedente di Majewski, e non solo nel cinema].
Il regista tiene molto a ricordare la propria affezione all’arte italiana di tutti i tempi e non solo, realizzando così un film degno di nota e importantissimo per numerosi aspetti, ma che non deve soltanto essere letto come una sterile rivisitazione della Divina Commedia [anche perché quest’ultima è “solamente” il più importante riferimento, che può essere colto nella sua interezza guardando attentamente anche gli altri due film del trittico], ma come un ricco e ricercato compendio sulla condizione umana [direbbero alcuni “postmoderna”], meritevole di una attenta analisi in chiave filosofica che questo poliedrico cineasta [e non solo] ha effettuato secondo quei canoni estetici assoluti mutuati dal quel glorioso passato che vive nella letteratura, nella pittura, e in tutte le arti che il regista ha per tutta la vita studiato e rielaborato in chiave cinematografica.
–
ONIRICA [Field of dogs]
Regia: Lech Majewski
Con: Michal Tatarek, Elzbieta Okupska , Jacenty Jedrusik, Jan Wartak
Uscita in sala in Italia: giovedì 17 aprile 2014
Sceneggiatura: Lech Majewski
Produzione: Angelus Silesius
Distribuzione: CG Home Video
Anno: 2013
Durata: 102 ‘