Il migliore amico è la propria madre… questa la frase simbolo di quello che è diventato [a ragione] il padrino degli psicotici sul grande schermo, ovvero quel Norman Bates che ha il volto del pluri-celebrato Anthony Perkins. Un volto entrato nella Storia della Settima Arte… un po’ come tutto ciò che ruota attorno a questa autentica pietra miliare del Maestro Hitchcock.
Già di per sé lo script [tratto dall’omonimo ed efficacissimo romanzo di Robert Bloch] si rivela totalmente al di fuori dagli schemi narrativi classici: a cominciare dalla protagonista [o presunta tale] che muore a metà film e proseguendo con una serie di personaggi/macchiette delineati [per stessa ammissione e volontà di Hitchcock] con una caratterizzazione pari allo zero. Con l’unica eccezione, ovviamente, del nostro Norman, sul quale si regge l’intera struttura drammaturgica della pellicola.
Eppure, raccontano le cronache, il pubblico si accalcò davanti alle sale e il film ebbe al botteghino un’accoglienza strepitosa, alimentata dal curioso aneddoto secondo cui Hitchcock stesso inviò un opuscolo ai gestori dei cinema per vietare l’ingresso del pubblico dopo l’inizio della proiezione.
Per spiegare il successo che ha avuto e continua ad avere questo titolo, basterebbe citare le parole spese in merito dal cineasta/cinefilo Francois Truffaut [tra i massimi estimatori di Hitchcock, che gli concesse tra l’altro un’intervista di oltre due giorni]: in Psyco del soggetto mi importa poco, dei personaggi anche: quello che mi importa è che il montaggio dei pezzi del film, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnico possano far urlare il pubblico.
La prima inquadratura che ci viene mostrata è già un piccolo gioiello di regia: un carrello che parte dal cielo e arriva alla finestra di un albergo, dove troviamo la protagonista [una splendida e quanto mai sexy Janeth Leigh] intenta in effusioni con il suo amante. Dato che i sogni vanno sempre coronati, lei, all’insaputa dell’uomo, pensa bene di rubare una grossa somma presso l’agenzia immobiliare dove lavora, immaginando una romantica fuga d’amore.
Ben presto, però, si pente del gesto e si ripromette di rimediare al malfatto il giorno successivo. Decide così di passare la notte in un motel gestito dal timido e solitario Norman Bates, appassionato di tassidermia, che vive nel posto insieme alla vecchia madre, di cui sentiamo solo la voce provenire dalla propria stanza. La giovane viene però assassinata da un misterioso killer armato di coltello, che la soprende sotto la doccia.
L’amante e la sorella di lei si metteranno così sulle tracce della scomparsa, aiutati da un detective privato. Fino ad uno dei finali più terrificanti e geniali di sempre. Osteggiato da una buona fetta della critica per l’eccessiva crudezza di alcune immagini, il film venne inizialmente bloccato dalla commissione censura, in quanto affermava che durante la scena della doccia si vedesse un capezzolo dell’attrice. Hitchcock, per tutta risposta, rimandò il montato al mittente senza operare nessun taglio e riuscì [incredibilmente] ad ottenere che venisse distribuito nella sua durata integrale. Avendo il regista prodotto il film in totale autonomia e indipendenza [e in questo, insieme a Orson Welles, rappresentò l’unico caso di autorialità riconosciuta ad Hollywood], seguì personalmente tutta la lavorazione passo per passo, reparto dopo reparto, scegliendo per la compsizione musicale il fido Bernard Hermann, che optò per un’azzeccatissima partitura composta di soli archi. La pellicola ottenne quattro nomination agli Oscar [regia, fotografia, scenografia e Janet Leigh come Miglior Attrice], senza vincerne nessuno. Può vantare ben tre seguiti [ad onor del vero piuttosto modesti], un remake [identico nelle inquadrature e totalmente inutile] firmato da Gus Van Sant e, più recentemente una serie tv.
Tra le innumerevoli curiosità impossibile non ricordare la genesi della già citata scena della doccia e della morte del detective privato, che viene colpito dalla lama dell’assassino per poi cadere all’indietro dalle scale: la prima [ormai scolpita nella memoria collettiva e copiata a più non posso] è stata frutto di sette giorni di riprese e settanta posizioni diverse di Macchina [per un totale di quarantacinque secondi di montato!]; la seconda, quasi stabiliante per gli anni, fu ottenuta da Hitchcock sovrapponendo ad uno sfondo in movimento l’attore Martin Balsam, seduto su una sedia con la base snodabile, mentre muove le braccia e si agita davanti ad uno schermo trasparente, dando così l’effetto della caduta. Semplicemente un genio?… Semplicemente Sir Alfred.
Lorenzo Paviano
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PSYCO
Regia: Alfred Hitchcock
Con: Anthony Perkins, Janet Leigh, John Gavin, Vera Miles, Martin Balsam
Sceneggiatura: Joseph Stefano
Produzione: Alfred Hitchcock
Distribuzione: Paramount
Anno: 1960
Durata: 109′ c.a.