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OPERA MANENT 03: DON BACKY

Foto 1 Don BackyTra i pregi dell’artista protagonista della terza puntata di Opera Manent, vi è senz’altro la generosità, unita alla voglia di mettersi sempre in gioco, sostenendo, in diversi modi, il cinema e il teatro indipendente.

L’artista che abbiamo intervistato, nella sua carriera ha ricoperto diversi ruoli: compositore, musicista, cantante, attore, scrittore, fumettista.

Stiamo parlando di Aldo Caponi, in arte Don Backy! Tutt’ora attivo in campo musicale e nella scrittura, Don Backy ha alle spalle una importante carriera cinematografica, che lo ha portato a collaborare con registi importanti, in ruoli sia comici che drammatici, dimostrando di avere anche delle elevate doti attoriali. E come non pensare al capolavoro di Bava, il thriller Cani arrabbiati, nel quale interpreta un ruolo molto difficile, quello di un criminale spietato e squilibrato: Bisturi.

Ogni volta che si rivede quel film, si ha difficoltà a riconoscerlo, proprio a causa della particolare prestazione che Don Backy ha dato al personaggio, vestendolo di cattiveria, smorfie, gesti e sguardi perfidi. Noi abbiamo avuto il piacere di incontrarlo diverse volte in questi anni, e ogni volta parlare con lui ha significato non solo parlare con un artista in continuo movimento, instancabile, ma soprattutto con una persona perbene, disponibile, innamorato del suo passato, nonostante le difficoltà incontrate.

Mettiamo quindi per un attimo da parte la musica, la sua prima passione, e immergiamoci in questa intervista, nella quale Don Backy ci fa vivere un po’ l’ambiente del set cinematografico come lo ha vissuto lui stesso, con un pizzico di incoscienza e leggerezza che non guasta mai. E chissà se, prima o poi, potremo rivederlo al cinema,  in un ruolo importante, magari interpretando un personaggio cattivo, che riesca a intimidirci…

Foto 2 Don Backy[Gilda Signoretti]: Nella tua carriera, sei stato musicista, cantante, scrittore e attore. La fama è arrivata con le canzoni, e la musica è sempre stata tua compagna di vita. Il cinema però ti ha visto più volte recitare in diversi ruoli, passando da storie comiche ad altre drammatiche. Oggi vogliamo parlare con te esclusivamente della tua carriera cinematografica. Hai recitato in oltre 20 film. Ci racconti come e quando ti sei avvicinato al cinema?

 

[Don Backy]: É accaduto casualmente, grazie alla mia performance sanremese del 1967 con l’Immensità. Il regista Gianni Puccini mi vide in televisione e volle che fossi uno dei 7 fratelli Cervi, in I sette fratelli Cervi, 1968, il film che stava preparando in quel momento. Precedentemente le esperienze avute, erano state una partecipazione ne Il Monaco di Monza, di Sergio Corbucci, con Totò [1963] e un paio di musicarelli. Raccontare nel dettaglio quegli incontri, costerebbe diverse pagine. Per questo le ho rinchiuse nella pentalogia Memorie di un Juke box [1939/2012] www.donbacky.it .

[GS]: Hai avuto l’onore di essere diretto da registi affermati come Bruno Corbucci, Carlo Lizzani, Alfonso Brescia, e il compianto Mario Bava. Con quale regista ti sei trovato particolarmente bene sul set?

 

[DB]: Tutti si sono dimostrati molto affabili e comprensivi nei miei confronti. Ciascuno però con la propria personalità e modo di approcciarsi. Lizzani, poco loquace, mai interveniva in quel che facevo, forse ritenendolo ben fatto. Puccini era buono d’animo e mi osservava sempre con attenzione, quando ero in scena. Corbucci, il più distaccato. Bava, un compagnone sempre pronto alla battuta ridanciana, anche lui mi lasciava libertà d’interpretazione. Igi Polidoro, invece, era uno che elaborava sempre insieme a me le scene che avrei dovuto fare; Franco Rossetti, un po’ sottovalutato, si divertiva alle battute estemporanee, che ci scambiavamo io e Renzo Montagnani; e poi Bruno Corbucci, Alfonso Brescia, un bonaccione simpatico, che girava un film in 15 giorni, mostrando di divertirsi più di coloro che lo avrebbero visto.  Tutti gli altri, nella norma.

1968 - Satyricon[GS]: “Cani arrabbiati” di Bava è probabilmente il film nel quale hai dato il tuo meglio. Hai infatti recitato egregiamente, e il ruolo del cattivo, sorprendentemente, ti si addice davvero bene. Ci racconti un po’ del periodo delle riprese del set, aneddoti e ricordi particolari? E il tuo rapporto con il maestro Bava?

 

[DB]: Una volta, nel 1964, il giornalista Fulvio A. Scocchera, della rivista musicale Ciao Amici, titolò l’intervista che gli diedi, con la frase “Vorrei essere un gangster”, illustrata da una foto, dove, seduto su una sedia a dondolo, mi nettavo le unghie con un lungo coltello a molla. (visibile sul 1° volume, “Questa è la Storia…” (1955/1969)) Era la mia risposta a una domanda precisa, che mi aveva rivolto. Evidentemente mi si addice quel ruolo in maniera naturale. Il periodo delle riprese fu di grande sofferenza. Almeno 5 persone, sempre chiuse nell’auto di scena per più di un mese, con 40° gradi all’esterno e 50° all’interno, grazie anche ai faretti che ci illuminavano e al periodo [mese di agosto]. Quando ci fermavamo e uscivamo fuori, nei 40°, ci sembrava fresco! Allora Bava, vedendoci distrutti, veniva da noi e ci cantava, sulla musica de La Cavalcata delle Valchirie: “Attaccati al caxxo, attaccati al caxxo, attaccati al caxxo, attaccati al ca…”, per sottolineare che quel mestiere non era fatto solo di pajettes e lustrini.

[GS]: Avendo ricoperto sia ruoli drammatici che comici, questi ultimi soprattutto con il regista Alfonso Brescia, in quale ruolo ti sei trovato più a tuo agio?

 

[DB]: Non facevo distinzioni di ruolo. Per me, recitare è sempre stato un divertimento, qualcosa di connaturato con la mia persona. Oggi, se dovessi rifare un film di quelli, forse ne sceglierei due: Satyricon di Gian Luigi Polidoro” e Una cavalla tutta nuda di Franco Rossetti. Quest’ultimo, per l’ambientazione [colline senesi, meravigliose in quel periodo] e perché è stato il 1° film, tratto dal Decamerone di Boccaccio, che ha dato la stura a tutta quella serie di “decamerotici”, anche se nessuno lo sa.

[GS]: Perché e quando ti sei allontanato dal cinema? E cosa ha significato per te il tuo lavoro sul set?

 

[DB]: É stato un divorzio graduale e consensuale, nel senso che, man mano che diminuivano le richieste, io – che non avevo messo le basi per la carriera [era solo un gioco] – pure non feci nulla per incentivarle. In quel periodo avevo per agente un ragazzo senza potere contrattuale, il quale si era ritrovato a esserlo grazie a Gianni Puccini, che a lui si era rivolto per rintracciarmi. Quando Volonté mi propose di far parte della sua stessa agenzia [la 1° in Italia], avendo perorato la mia causa per Banditi a Milano di Carlo Lizzani, io accettai, ma fui irremovibile nel voler dividere la percentuale spettante all’agenzia, a metà tra la nuova e quel ragazzo, che, pur non avendo fatto nulla per cercarmi quel film, pure mi aveva seguito con costanza. E nonostante non avessi alcun contratto con lui, mi sembrava giusto dargli la sua spettanza, prima di lasciarlo. Questo mi mise in contrasto con la nuova agenzia, che non ne voleva sapere. Quindi la cosa morì lì. Siamo uomini o caporali?

1967 I sette fratelli Cervi[GS]: Sei tornato al cinema, per un breve contributo, in Pane e tulipani. Sei poi riapparso in un ruolo d’attore nel film Impotenti esistenziali. Ci parli del tuo ritorno al cinema? Pensi che tornerai ancora sul set, se te lo chiedessero? E in quale Genere vorresti recitare?

 

[DB]: Sì, sono state due apparizioni estemporanee, compresa una terza, in un film in lavorazione, Oklim, che tra molti sacrifici finanziari e non, un regista fiorentino, Milko Cardinale, sta faticosamente portando a termine. Ecco, anche lì, come in Pane e Tulipani, interpreto me stesso. Non so se tornerò più a fare del cinema, ma non ne farò una malattia. Mi diverte tanto girare anche questi piccoli camei, per poter respirare di nuovo l’aria del set, che comunque rimane sotto la pelle. E poi, sono diventato molto pigro e con i capelli bianchi, potrei fare soltanto il ruolo di un vecchio gangster in pensione, che vuol provare a se stesso di essere ancora in grado di mettere in atto il colpo del secolo. Oppure, di un vecchio commissario di polizia, che conduce un’indagine per conto proprio e la spunta con l’esperienza vs la tecnologia..

[GS]: Sei un assiduo spettatore cinematografico, oppure no? Che Genere ami vedere al cinema? Qual è il film più bello che hai visto ultimamente?

[DB]: Sono un assiduo spettatore di cinema, ma…. in televisione. Non vado più al cinema, perché le delusioni di quelli che vedo in tivù, mi sconsigliano di rischiare. Li aspetto sui canali satellitari e solitamente mi deludono. In quel caso, mi dico di aver fatto bene a non andarci. Può essere o sembrare un discorso sciocco, ma mettiamoci anche la mia pigrizia e il gioco è fatto. Film discreti se ne vedono alcuni in tivù, ma anche tragici. Uno da suicidio è stato Melancholia, credo di Von Trier, una roba da spararsi negli zebedei. Il migliore ri-visto ultimamente, Poveri ma Belli: un capolavoro.

don-backy-in-una-scena-del-film-semaforo-rosso-cani-arrabbiati-158831[GS]: Tornando indietro nella tua carriera cinematografica, quale film  tra quelli interpretati non rifaresti, e di quale, invece, conservi ricordi migliori?

[DB]: Pensando di voler fare una carriera, mi sarei premurato di cercare un’agenzia all’altezza e sono certo che loro non mi avrebbero mai fatto entrare nei cast dei film di Brescia. E forse avrebbero fatto bene. Per me, però, erano dei passatempi in sottordine al mio mestiere di cantautore, e quindi andavano tutti bene. No, non c’è un film che non rifarei. E riguardo a quelli che rifarei, ho detto poc’anzi, che sicuramente Satyricon e Una cavalla tutta nuda, e aggiungo Cani arrabbiati, nonostante tutto [Tra l’altro, questo titolo lo suggerii io, visto che all’inizio era Semaforo rosso].

[GS]: Continui a cantare e girare l’Italia. E continui a scrivere fumetti e libri, sia legati alla tua carriera musicale che, invece, completamene slegati da questa. Quali sono i tuoi progetti futuri?

 

[DB]: Sì, mi piace il mio mestiere e provo ancora molta soddisfazione a tenere concerti. La mia memoria, il mio fisico e la mia voce, mi consentono di sentirmi all’altezza. Nei periodi di stanca, la mia passione è scrivere libri. A parte quelli pubblicati della serie Memorie di un Juke box, sto elaborandone 5, che io chiamo “giallastri”. Una serie di raccontini divertentissimi, ciascuno con inizio e fine, ma legati in maniera cronologica, avendo un unico risvolto finale. Poi, ho intenzione di ripubblicare il mio primo libro [sono il primo cantautore in Italia ad aver pubblicato un volume]: Io che miro il tondo [Feltrinelli, 1967], perché lo ritengo il 1° nonsense, ancora oggi all’avanguardia nel genere. Chi vivrà, vedrà.

Gilda Signoretti

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