Una donna [Antonia Liskova] si risveglia all’interno dell’abitacolo di un’auto; legata. Non ricorda niente delle ore precedenti, soprattutto non ricorda dove si trova, né come è arrivata in quel posto.
In the Box, dentro il box: sì perché il “box” del titolo non è una misteriosa scatola, un contenitore o un luogo figurato, ma un “box” vero e proprio, un box auto che la donna non sembra aver mai visto.
All’interno del box, un’altra auto coperta da un telo, oltre a quella in cui è imprigionata la protagonista, e un tubo che inizia a scaricare monossido di carbonio all’interno dell’abitacolo-prigione.
Niente… o quasi: nei primi minuti di film, la donna dimostra molta abilità, intuito e istinto di sopravvivenza. Riesce a liberarsi dal nastro adesivo che gli lega i polsi facendo a pezzi lo specchietto retrovisore, poi, per uscire dall’auto prima di aver respirato troppo monossido, sfonda a calci un finestrino e poi il parabrezza. Non male.
Se non fosse che poi, per il resto del film, la donna si dimostra molto più fragile di quello che questi primi minuti non dimostrino, scivolando spesso e volentieri in interminabili pianti isterici o, peggio ancora, accorate lacrime malinconiche.
E tra un piano di un tipo e uno dell’altro, la protagonista scopre di essere stata imprigionata In the Box da uno sconosciuto che gioca a fare Jigsaw; un uomo che lei, inizialmente, pensa sia uno degli scagnozzi del suo compagno, un narcotrafficante un po’ stizzito dal fatto che la donna stia tentando di allontanare da lui loro figlia, cercando di salvarla da una vita da fuorilegge.
Ma il gioco si palesa in poco tempo: il folle rapitore conosce sì a menadito lei e i suoi cari, ma non ha niente a che fare con il suo uomo. E’ che, probabilmente, dopo aver visto l’intera saga torture, proprio non riusciva a resistere all’istinto di provare a diventare l’emulo italiano dell’Enigmista, e così inizia a rapire gente che da tempo vive in maniera liminale, tra il bene e il male, e inizia a blaterare discorsi inerenti la loro mancanza di un “tenace attaccamento alla vita”.
Proprio a Saw guarda Giacomo Lesina nel mettere in piedi la sua trappola lowbudget, tralasciando, però, il lato torture dell’esperimento per provare a spingere con maggiore intenzione i pedali dell’angoscia e del pietismo: all’interno dell’abitacolo della seconda auto, quella di cui sin dall’inizio del film il rapitore continua a sottolineare la presenza con poco misteriosi “La salvezza è nell’auto.”, sono presenti alcuni gadget che consentiranno a In the Box a raggiungere la durata di circa 80’. Una pistola con un solo colpo [per lasciare la valle inondata dalle lacrime dalla protagonista, quando la forza e la tenacia fossero state ormai esemplari estinti], una bibbia [con sottolineato un versetto della vicenda di Abramo e Isacco], una videocamera e… Un secondo personaggio, poco più di un figurante, ma che riuscirà a spingere la donna oltre il limite dell’eticamente corretto.
Ah! Nella prima auto, la donna recupera anche un altro oggetto fondamentale: uno telefono di ultima generazione con cui per tutto il tempo potrà dedicare i suoi pianti più disperanti al suo rapitore, alla sorella, alla figlia piccola… e ad un ispettore di polizia davvero poco simpatico e rassicurante.
In the Box non riesce a domare il Genere [o sotto-Genere] preso a modello, scontrandosi con le sue stesse regole che, armi a doppio taglio, ne causano il totale malfunzionamento e il davvero scarso livello di fruizione.
Il senso di immobilità drammaturgica si trasforma in breve in insofferenza, nonostante la breve durata.
Ancor peggio fa il davvero alto livello di prevedibilità del tutto, che accompagna, con un senso di “già visto” costante, lo spettatore fino alla chiusa.
Luca Ruocco
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IN THE BOX
Regia: Giacomo Lesina
Con: Antonia Liskova, Noccolò Alaimo, Jonathan Silvestri
Uscita in sala in Italia: giovedì 23 aprile 2015
Sceneggiatura: Germano Tarricone
Produzione: Michelangelo Film, Una Vita Tranquilla, Produzione Straordinaria
Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà
Anno: 2014
Durata: 81’