I vertici della politica italiana rappresentano un’enorme, nauseante menzogna.
La Chiesa è il potere che governa il paese. La Democrazia Cristiana è la massima espressione di una morte fisica e interiore [spirituale?] di chi lo governa. Questa l’equazione che salta alla mente dopo la visione del capolavoro maledetto di Elio Petri.
Sequestrato quasi subito dalle sale, dopo l’uccisione di Aldo Moro, per decenni è scomparso dalla circolazione, finendo per sprofondare nell’oblio del dimenticatoio.
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia [che, probabilmente non a torto, definì il film espressamente pasoliniano], racconta la vicenda di un gruppo di membri appartenenti alle varie correnti della DC [ecclesiastici, affaristi, banchieri, politici] che si riuniscono come ogni anno in una specie di castello/fortezza per dedicarsi ad una serie di pratiche spirituali.
Obiettivo di facciata: espiare tutte le loro colpe per i peccati annuali commessi. Obiettivo reale: riorganizzare il partito e i poteri nell’ottica di possibili, imminenti mutamenti [non a caso erano gli anni del compromesso storico tra DC e Partito Comunista].
Mentre i personaggi si dedicano ad una serie di colpi bassi gli uni verso gli altri, all’improvviso uno del gruppo viene trovato morto: sarà solo il primo cadavere di una lunga scia di delitti all’apparenza senza alcun movente. Nel frattempo, fuori dall’edificio imperversa un’orribile epidemia…
Ritmo lento, atmosfere gelide e una regia, in pieno stile Petri, mai statica e sempre funzionale alla descrizione emotiva dei personaggi. Tra tutti impossibile non ricordare l’onorevole Voltrano [che valse a Ciccio Ingrassia un Nastro d’Argento come Miglior Attore Non Protagonista], Don Gaetano [prete viscido e scaltro con il volto di Marcello Mastroianni] e il Presidente. Quest’ultimo interpretato da un [come sempre] immenso Gian Maria Volonté, che riuscì a ricalcare in maniera inceccepibile una serie di dettagli tipici dell’atteggiamento [anche nelle movenze] e del lessico di Aldo Moro, a cui appunto il suo personaggio è palesemente ispirato [sebbene, per ovvie ragioni, non venga mai chiamato per nome].
Logicamente il film fece imbestialire sia democristiani che comunisti, ricevendo pochi consensi anche da pubblico e critica. Ma è proprio attraverso la sua sfrenata furia anticlericale e antisistema che Petri riesce a dipingere la classe dirigente di allora con una spietatezza e una veridicità probabilmente mai eguagliate.
La pellicola segnò anche l’epilogo del fortunato connubio artistico tra il regista e Volonté: dal 1967 al 1976 quattro titoli e quattro pietre miliari nella storia del cinema, italiano e non solo [in ordine cronologico: A ciasuno il suo, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, La classe operaia va in paradiso e, appunto, Todo Modo].
Restaurato dalla Cineteca di Bologna e dal Museo del Cinema di Torino in collaborazione con Surf Film, il film è stato recentmente distribuito in DVD da CG Home Video.
Recupero imprescindibile per ogni cinefilo che si rispetti.
Lorenzo Paviano
–
TODO MODO
Regia: Elio Petri
Con: Gian Maria Volonté, Marcello Mastroianni, Ciccio Ingrassia, Mariangela Melato, Renato Salvatori
Sceneggiatura: Elio Petri, Berto Pelosso
Produzione: Daniele Senatore per Cinevera
Distribuzione: PIC
Anno: 1976
Durata: 125′ c.a.