Tra le novità cinematografiche previste per gennaio 2016 rientra l’ultima fatica di Danny Boyle: Steve Jobs. Il regista, in occasione della sua visita in Italia, ha presentato il film a Roma in conferenza stampa.
Dopo il film autobiografico di Michael Stern su Jobs, un altro film dedicato al genio informatico americano si affianca, e si tratta di un film di ben altro tipo. Boyle non vuole un film autobiografico, ma fa una scelta diversa, di certo coraggiosa: realizza un film dall’aspetto strutturale molto vicino ad una piéce teatro, con scene quasi sempre spoglie e alcuni attori [sempre gli stessi per tutto l’arco narrati] in movimento su un ideale palco. Perché in fondo é realmente un palco il luogo più vissuto di questo film, quello che attende Jobs in continuo procinto di iniziare le conferenze che ne segnarono la carriera in continua ascesa, e ancor più i dietro le quinte.
Boyle realizza un film molto personale, originale nella sua costruzione. L’attenzione è posta proprio sul backstage, ovvero sui rapporti di Jobs con il suo staff, sulla sua personalità, sui suoi turbamenti.
Boyle evidenzia in particolare l’anaffettività di quest’uomo, divenuto uno dei più ricchi del mondo, che grazie al suo intuito e alla sua intelligenza ha dato nuovo impulso al mondo informatico, rinnovandolo e rivoluzionandolo. Dal film traspare però un certo distacco di Jobs nei confronti del denaro: riesce a gestirlo senza abusarne, tanto da arrabbiarsi quando la sua ex compagna Chrisann [Katherine Warerson] vende la casa che lui le aveva comprato e intestato alla figlia Lisa [Perla Hany-Jardine].
Steve Jobs é un film molto parlato: i dialoghi non sono incentrati, come si potrebbe pensare, sulle questioni inerenti l’informatica che tanto hanno circondato la vita di Jobs e gli interessi della Apple, ma sui suoi litigi continui al lavoro e sulle lunghe discussioni in merito al rapporto con la figlia, non voluta, non amata, e mantenuta a fior di dollari.
Il finale risulta forzato, come se Boyle avesse voluto per forza chiudere il film con un tocco di umanità, quella che, appunta, non traspare da tutta la visione di Steve Jobs. Solo solo tre i momenti cruciali sui quali si incentra il film: il 1984, l’anno del lancio sul mercato Macintosh da parte di Apple; il 1988, anno in cui Jobs viene estromesso dalla Apple dopo una durissima riunione interna; e il 1998, l’anno del riscatto e della rivincita, poiché Jobs torna in Apple e dimostrerà di avere ancora grandi idee. Il problema è che questi tre anni il racconto sembra sempre voler rimanere approssimativo rimbombando in un grande loop in cui la struttura delle cose che accadono risulta di volta in volta sempre la stessa. Si ha come la sensazione che ci siano dei vuoti nel corso della narrazione, proprio a causa di salti temporali e alla volontà di guardare con distacco il lavoro di Jobs.
Incredibile come sempre Micheal Fassbender, un attore capace sempre di trasformarsi e di essere credibile. Figura affatto secondaria nel film è quella della segretaria del protagonista, Joanna Hoffman [Kate Winslet], che a volte si comporta come una sorta di grillo parlante nei confronti del capo, invitandolo più volte a prendersi le proprie responsabilità di padre. Ma Jobs è cinico, e a lui non interessano i rapporti inter-familiari; solo con Joanna pare stare a suo agio, tanto da chiederle come mai non ci sia stata tra loro una storia d’amore. Ad uscirne davvero male è la compagna di Jobs, una donna svogliata, per nulla responsabile nei confronti di sua figlia e interessata solo al denaro che chiede con arroganza all’ex-compagno, quasi come per vendicarsi del suo distacco, con la scusa di dover mantenere la figlia, quella figlia concepita prima del periodo di ascesa della Apple. Jobs ebbe diffcoltà a riconoscerla, tanto che andò spesso in tribunale, accettando poi di contribuire al suo mantenimento.
Dispiace che in fin dei conti Steve Jobs sia un film noioso e ripetitivo, e non solo a livello scritturale [la sceneggiatura è firmata da Aaron Sorkin], ma anche a livello visivo, anche a causa del troppo utilizzo di location simili [palco, camerino, studio, e di nuovo palco, camerino, studio], pur rimanendo un esperimento molto personale e un modo assai autoriale di presentare al pubblico un biopic tanto diverso da quelli che continuamente affollano le sale cinematografiche.
Gilda Signoretti
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STEVE JOBS
Regia: Danny Boyle
Con: Micheal Fassbender, Kate Winslet, Perla Hany-Jardine, Steve Wozniak, John Sculley, Katherine Warerson
Uscita in sala in Italia: 21 gennaio 2016
Sceneggiatura: Aaron Sorkin
Distribuzione: Universal Pictures Italia
Produzione: Cloud Eight Films, Decibel Films, Management 360, The Mark Gordon Company, Scott Rudin Productions
Anno: 2015
Durata: 122′