Due giovani ragazze vengono rapite da un individuo mascherato che le rinchiude in una stanza e le droga fino a ridurle in uno stato di semicoscienza. Assistito da altri due complici che filmano continuamente la scena, inizierà a torturarle con gli strumenti e le modalità più assortite. Il tutto è destinato ad una sala di montaggio che assembla e impacchetta video snuff per i loro clienti. Fine della storia.
Chi conosce il marchio Guinea Pig sa benissimo che di fronte ad un prodotto come questo non è certo il caso di aspettarsi copioni costruiti tra momenti di grande pathos e colpi di scena.
Chi non lo conosce può continuare ad ignorarne l’esistenza, dato che siamo di fronte alla classica saga only for fans. E in questo caso i cosidetti fans si racchiudono in una schiera alla ricerca esclusiva di immagini sempre più spinte e disturbanti.
Pornografia della violenza nuda e cruda, senza costruzione narrativa né particolari meriti prettamente cinematografici. Nell’ottica descritta, questo sequel/omaggio a stelle e strisce rispetta pienamente il canovaccio e ci propina l’ennesima vicenda scritta probabilmente su un fazzoletto di carta e confezionata ad hoc per il solito, fedelissimo gruppetto di maniaci voyeuristici.
Il regista/sceneggiatore/produttore Stephen Biro è anche fondatore dell’etichetta Unearthed Films [attivissima nell’ambito dell’underground più estremo], che appunto distribuisce il film ed è stata la prima ad aver acquistato in Occidente i diritti della saga originale nipponica.
Da sincero estimatore di quest’ultima, il papà di tale progetto offre quindi al suo pubblico esattamente quello che richiede, riuscendo però a donare alla pellicola quel quid in più che la discosta dalla massa degli shock-movies più amatoriali e dementi a cui, sulla carta, potrebbe appartenere.
Il giochino metafilmico del finto snuff ha ampiamente fatto il suo tempo, ma Biro sa giocare questa carta con intelligenza e immerge il tutto in una gustosissima atmosfera quasi vintage, con riprese in Super 8 alternate al Video 8, capaci di donare al film quella patina retrò che profuma tanto di anni Settanta/Ottanta. Il reparto fotografia è curato da Jim Van Bebber [autore del piccolo cult indipendente Deadbeat at Dawn e del più noto The Manson Family], che riesce a ricreare alla perfezione un’atmosfera pregna di marciume e squallore, indispensabile per la tipologia di prodotto che si vuole ottenere. Simpatico anche il suo cameo in sala di montaggio, con un divertentissimo richiamo [frecciata?] al putiferio scatenato dall’attore Charlie Sheen dopo aver assistito alla visione del secondo capitolo [Flower of Flesh and Blood] della serie originale.
Ed è proprio l’episodio in questione che sembra aver maggiormente influenzato questa versione 2015, già a partire dal sottotitolo ma soprattutto nella messa in scena e nei personaggi dei tre carnefici, questa volta, però, stranamente dotati di una minima caratterizzazione. C’è quello che sembra essere a sua volta una vittima ricattata [costretto quindi a compiere nefandezze], quello che impartisce ordini e detta i tempi e infine il torturatore gelido e sadico oltre i limiti [proprio come il samurai del secondo capitolo giapponese]. Quest’ultimo interpretato dal musicista Eight The Chosen One, per l’occasione camuffato sotto un’inquietante maschera da caprone che richiama nelle fattezze la figura pagana di Baphomet.
Azzeccata anche la scelta dell’accompagnamento musicale, che da una parte va a tradire l’alone di realismo da cui il film vorrebbe essere pervaso, ma dall’altra supporta le immagini in modo oggettivamente funzionale. Gli FX [decisamente old style] potrebbero apparire un tantino farlocchi all’occhio moderno, pur risultando efficacissimi nel loro sapore quasi anacronistico. Dopo un’oretta abbondante di smembramenti, amputazioni e altre amenità, il pubblico navigato crede di aver assistito a qualcosa di assolutamente brutale e perverso ma comunque niente che esca dai ranghi del già visto. A questo punto conviene prepararsi e tenere i nervi saldi, perché il regista decide di piazzare un ultimo, insostenibile cazzotto nello stomaco. Un’unica ripresa condensata in meno di un minuto che non mostra niente ma lascia solo immaginare l’inimmaginabile, qualcosa che non vorremmo mai ci venisse mostrato e che temiamo di dover vedere da un momento all’altro. Paradossalmente è qui che la pellicola sfodera davvero gli artigli e ferisce senza mezze misure. Un epilogo ferocissimo che può turbare [e non poco] la sensibilità di qualunque spettatore. Sicuramente consigliato agli aficianados del Genere.
Lorenzo Paviano
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AMERICAN GUINEA PIG: BOUQUET OF GUTS AND GORE
Regia: Stephen Biro
Con: Caitlyn Dailey, Ashley Lynn Caputo, Scott Gabbey, Eight The Chosen One, Rogan Russell Marshall, David Hood, Jim Van Bebber
Sceneggiatura: Stephen Biro
Produzione: Stephen Biro
Distribuzione: Unearthed Films
Anno: 2014
Durata: 73′