[InGenere Cinema]: Sig. Keaton, “Il caso Spotlight” è una celebrazione del giornalismo alla vecchia maniera che pian piano sta scomparendo per varie ragioni, ad esempio per motivi economici o per via di internet. Sta diventando un mestiere più complicato, da un certo punto di vista. Cosa ha provato e cosa significa per lei interpretare un giornalista al giorno d’oggi, in questo momento di passaggio?
[Michael Keaton]: È stata una vera fortuna, una benedizione. Ho interpretato un giornalista per tre volte nella mia carriera e personalmente nutro un interesse molto profondo per il giornalismo. Leggo i giornali, seguo tutti i programmi televisivi di approfondimento. Su internet non seguo le notizie con la stessa frequenza. Quando mi è stato proposto questo copione, l’ho trovato immediatamente molto interessante e ben scritto, con un ottimo cast. Amo i film di Tom McCarthy, li ho visti tutti tranne uno e il tema del giornalismo abbinato anche al soggetto dei casi di abuso da parte di sacerdoti sui minori, in particolare nell’arcidiocesi di Boston, sono stati un motivo che hanno suscitato il mio interesse e che mi hanno spinto ad accettare la parte.
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Sig. Robinson, in Italia il grande giornalismo di inchiesta, quello che merita il premio Pulitzer come è toccato al team del Boston Globe, è morto. Sta succedendo la stessa cosa in America? E perché? Cosa pensa che l’America stia perdendo con il grande giornalismo che avete rappresentato?
[Walter “Robby” Robinson]: Il giornalismo d’inchiesta negli Stati Uniti è come se fosse in uno stato terminale in questo momento. La diffusione del web ha privato i giornali dei fondi necessari per svolgere questo lavoro e tanti impieghi sono andati perduti. Negli Stati Uniti, come immagino anche in Italia, gli editori dei giornali sono dei folli a fare questo, perché il motivo per cui la gente acquista un quotidiano e continua a leggerlo è proprio il giornalismo d’inchiesta, eppure sono pronti a tagliare i fondi. Il motivo per cui i lettori vogliono che prosegua è perché è necessario chi ci sia qualcuno che spinga tutte le istituzioni ad assumersi le proprie responsabilità, come nel caso della Chiesa Cattolica. Se non siamo noi giornalisti a farlo, chi lo può fare? Se noi non continuiamo a fare giornalismo d’inchiesta e non spingiamo le istituzioni a fare questo, vuol dire che la democrazia muore e la gente non avrà più la possibilità di informarsi.
[MK]: Mi permetto di fare un esempio: a Pittsburgh, in Pennsylvania, la mia città d’origine, il quotidiano locale ha una sezione dove non vengono approfondite notizie di questo genere, non mi risulta che facciano un particolare lavoro investigativo. A Flint, nel Michigan, c’è stato un grosso caso di inquinamento da piombo dell’acqua, che è arrivato a provocare, a lungo andare, dei danni cerebrali ai bambini, che si sono ritrovati con delle difficoltà di apprendimento a causa di questo. C’è probabilmente una persona sola che ha indagato su questo caso, Erin Brokovich, che sostiene che le città coinvolte in questo caso siano quasi un centinaio e probabilmente Pittsburgh è una di queste. Ora, se ci fosse stato un team giornalistico investigativo a indagare e approfondire su questo caso, non sarebbe inconcepibile immaginare che questa crisi spaventosa poteva essere fermata. Non ho prove che Pittsburgh sia una città coinvolta in questa pazzesca crisi dell’acqua, ma è probabile che lo sia.
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[InG]: Sig. Keaton, come si è preparato per interpretare questo ruolo? Ha letto giornali o altro?
[MK]: Interpretare Robby è stato molto facile. Ho trascorso moltissimo tempo con lui parlando di tantissime cose, non soltanto dell’inchiesta che fece allora con il team Spotlight, ma della vita in generale, di tanti altri casi che lui ha approfondito e seguito nella sua carriera. Io sono uno tipo curioso di natura e quindi ho assorbito tutto quello che mi raccontava. Sono anche un appassionato del giornalismo di tutto il mondo e gli ho fatto tantissime domande sulla sua storia personale, sulla sua famiglia, su come gioca a golf e ho cercato in qualche modo di cogliere l’essenza della persona, oltre che del giornalista, aggiungendo poi qualcosa di mio in particolare. Come dicevo prima, ho anche una certa familiarità con le redazioni dei giornali, avendo interpretato per tre volte il ruolo di giornalista e, ripeto, è anche un mio interesse personale. Devo dire che oggi mi sento frustrato da quello che vedo in televisione, perché anche i programmi di approfondimento sono diventati abbastanza orribili, purtroppo, e immagino che sia una situazione che esiste anche in Italia.
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[InG]: Sig. Keaton, l’argomento affrontato dal film è naturalmente noto già da molto prima, grazie ai giornali e ad internet, però sicuramente il film lo mette ancora di più in rilievo. Qual è l’impatto che avrà con il pubblico italiano?
[MK]: Sono convinto che il film avrà un forte impatto in Italia, come in tanti altri paesi. Non riesco a immaginare che non possa provocarlo con una tematica di questo tipo. Ho partecipato ad una serie di proiezioni e ho incontrato il pubblico alla fine del film. Ad una di queste un uomo si è avvicinato ringraziandomi, dicendomi che era uno dei “sopravvissuti”. Era un uomo adulto che non aveva mai confessato a nessuno di aver subito degli abusi da parte di un sacerdote. Comunque sia, credo che il film non porti a puntare il dito contro la religione in generale. Io rispetto chiunque abbia fede, ed è un film che va al di là della tematica che tratta. Io stesso ho ricevuto un’educazione molto cattolica e se c’è un aspetto che mi rende particolarmente triste, è che a causa di tutti questi casi di abusi e di molestie c’è gente che ha perduto la fede e si è allontanata dalla Chiesa Cattolica.
Provengo da una famiglia con una madre assolutamente devota e praticante, che non ha mai perso una messa, tranne nei giorni di malattia. Questo è il dato che più mi rattrista e rispetto i punti di vista di chiunque, il credo religioso di tutti quanti. La situazione che viene mostrata nel film non è una situazione che riguarda solo l’arcidiocesi di Boston, riguarda tanti altri paesi del mondo e suscita inevitabilmente un interesse nei fedeli. E susciterà un particolare interesse nei fedeli italiani, visto che l’Italia è la sede del Vaticano. Devo dire che questo Papa mi piace molto, trovo che stia facendo un lavoro immenso e che stia spingendo un enorme masso in cima a una collina. Ci sono però delle tematiche che vanno al di là di questo, come l’abuso di potere di chi lo esercita in modo illecito nei confronti di chi non ce l’ha. È il caso, per esempio, delle forze dell’ONU, che dovrebbero garantire la pace in paesi molto poveri, come in Africa, dove in qualche modo contribuiscono a casi di abusi, proprio loro che dovrebbero essere lì a tutelare. E le popolazioni, le persone che non hanno potere, che hanno bisogno di essere difesi, arrivano ad esserne complici. Quindi, l’impatto della tematica del film va al di là del tema religioso stesso. Per quanto mi riguarda io sono semplicemente un attore e ho avuto la fortuna di interpretare questo ruolo. Sono i giornalisti i veri eroi di questa storia, perché quello che hanno fatto, e quello che continueranno a fare in tanti altri casi, è eroico. Noi siamo qui a godere dei loro frutti e forse possiamo dare anche noi il nostro piccolo contributo.
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[InG]: Sig. Robinson, dato in questo momento si trova a Roma, ha pensato di andare a Santa Maria Maggiore a fare visita al Cardinale Law, l’arcivescovo che non ha denunciato i sacerdoti coinvolti negli scandali?
[WR]: Il cardinale Law non ha più parlato con un rappresentante della stampa dal 2002. Penso di essere l’ultimo reporter con cui abbia voglia di parlare.
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[InG]: Che effetto le ha fatto vedere Michael Keaton come suo interprete? Qual è il suo giudizio, come si è visto sullo schermo?
[WR]: Sono onorato di essere stato interpretato da quello che considero essere uno dei più grandi attori del mondo. Quando ho scoperto che sarebbe stato lui a interpretare me, sono andato letteralmente in estasi. Nel 1994 ero il redattore locale del Boston Globe e lui in quell’anno ha interpretato un redattore di cronaca locale in “Cronisti d’assalto” di Ron Howard. Ho apprezzato tantissimo la sua interpretazione, l’ho trovata assolutamente perfetta in ogni minimo dettaglio. E quando ho saputo che avrebbe interpretato me, non potevo sperare di meglio. È stato per me un grande onore. Ha colto ogni mia minima sfumatura per potermi incarnare al meglio, dal tono della voce alla mia gestualità, al mio modo di muovermi, di camminare, al mio modo di lavorare. Ha fatto sì che la mia immagine risultasse realistica. Questo vale anche per tutti gli altri attori che hanno incarnato i miei colleghi del team Spotlight.
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[InG]: Il film esce in Italia durante il Giubileo. Sig. Robinson, lei che ha vissuto questa situazione, come pensa si stia comportando oggi la Chiesa Cattolica con questo nuovo Papa?
[WR]: Come tutti io nutro moltissime speranze in Papa Francesco e rispetto quello che sta cercando di fare. Una delle primissime cose che ha fatto quando è diventato papa, è stato privare i vescovi e i cardinali delle limousine, cercando di far prestare loro attenzione a quello che sono i bisogni e le esigenze dei fedeli. Teniamo in considerazione il fatto che una delle limousine più grandi e una delle ville più immense era quella assegnata al cardinale Law e a tanti altri cardinali americani.
La Chiesa è diventata sempre di più una sorta di società clericalista, che esiste per il beneficio dei vescovi e dei sacerdoti in generale e non per i fedeli. Il Papa sa benissimo che la situazione è questa e sta cercando piano piano di modificarla, di prendere delle misure per cambiare e per convincere tutto il clero a occuparsi maggiormente dei bisogni dei fedeli e mi auguro che questo possa portare a una diminuzione considerevole del numero degli abusi sessuali operati ai danni di minori. Questa è la mia opinione e anche quella dei “sopravvissuti” di queste violenze. Nonostante tutti i passi che sta compiendo Papa Francesco, per il momento non ha ancora compiuto un atto decisivo e sostanziale per modificare la situazione. Quando ha fatto visita negli Stati Uniti, ha lodato il coraggio dei cardinali, dei vescovi americani e queste sue lodi sono state colte come un’offesa da parte di molti, perché i vescovi sono coloro che di fatto resistono al cambiamento e che operano al cambiamento solo quando hanno una pistola puntata alla tempia. Quindi, molte cose devono ancora essere compiute, malgrado tutto quello che Papa Francesco sta già facendo.
Luca Pernisco
Roma, 23 gennaio 2016