Oggetti del desiderio o ideali compagni di avventure immaginate, i giocattoli si trasformano, all’interno dell’oscuro gioco al contrappasso messo in piedi dagli alfieri del cinema horror, in una delle tante incarnazioni della Nera Signora; baloccati surrogati di morte che nascondono al meglio, dietro un’apparente innocuità, una ferocia e una spietatezza da freddo serial killer.
Ne è esempio inanimato e latente, nella nostra cinematografia di genere, l’utilizzo che Dario Argento fa di un pupazzo in Profondo Rosso, nella scena in cui Giordani [Glauco Mauri], dopo aver tentato di chiamare il pianista Marcus Daly [David Hemmings] per svelargli l’identità del killer, è aggredito in camera da una marionetta meccanica, che l’uomo riesce a fracassare con un coltello, senza sapere, però, che l’oggetto inanimato altro non era che premonizione dell’omicida che, nascosto dietro la tenda, sta per sferragli l’attacco mortale.
La bambola, di per sé concretizzazione dell’animato che si fa inanimato, della persona che diventa oggetto, ritorna a muoversi autonomamente, a vivere di vita propria, brillando del riflesso della luce del male.
Nel mortale gioco delle parti, quando Pinocchio si fa essere senziente, ma votato al male, le persone [gli adulti in primis] diventano cose, indifese e incoscienti, pedine di un macabro gioco dell’oca.
La bambola compie a passo svelto il percorso evolutivo-esistenziale che da simbolo della spensieratezza dell’infanzia la incarna in icona lugubre del trapasso.
Stanchi di accontentarsi di spazzole e biberon, i pupazzi iniziano a brandire coltelli e altre armi contundenti.
Toysploitation, questo è il termine, neanche troppo abusato, che sta a indicare il sottofilone horror che ha per protagoniste proprio le bambole omicide e, anche se quella di Chucky è di certo la prima saga cinematografica a tornare alla mente avvicinandosi a questo argomento, tentando di ricostruire una sorta di albero genealogico dei pupazzi demoniaci, si arriverà alla certezza del fatto che la famosa Bambola Assassina non soffrirà la solitudine all’interno del girone infernale in cui sarà ospitata.
Bambole, burattini, marionette, giocattoli, statue di cera… fino ad arrivare a demoniaci cartoon, tutti posseduti dal germe del Maligno o, in taluni casi, da un barlume di “spietata purezza” che li eleva al di sopra del giusto e dello sbagliato, battezzandoli novelli angeli sterminatori di una umanità che non merita sconti.
Fanno parte di questa fazione di piccoli spietati giustizieri i fantoccetti del Dolls [1987] di Stuart Gordon, che nonostante preceda di un anno La bambola assassina, non ne ha raggiunto la fortuna commerciale, pur diventando un vero classico.
Prodotto da Charles Band, che con il Maligno in miniatura pare aver firmato una sorta di patto sodale, concretizzazione di un’ossessione vitale, ancor prima che filmica, come può essere considerata quella di Guillermo del Toro per le dark&ghost-stories del periodo infantile, Dolls vede l’arrivo di una sgangherata famiglia [padre incapace distratto, figlia piccola piuttosto sveglia e nuova compagna dell’uomo che è il tipico stereotipo della matrigna antipatica e piena di sé], seguita a ruota da un terzetto altrettanto particolare di autostoppiste volitive e sfrontate e dal loro accompagnatore timido e un po’ bamboccione, nella vecchia casa di due anziani: un fabbricante di giocattoli e sua moglie.
Un temporale improvviso e davvero potente, e la situazione disastrata delle strade, costringono entrambi i gruppi ad accettare l’ospitalità dei due vecchietti.
Il dispiegarsi del mondo del piccolo popolo di bambole, potenzialmente costruite a mano dall’anziano artigiano all’interno di quello reale, avviene in maniera lenta e organica: inizialmente mescolando le “visioni” dovute alla scatenata fantasia della piccola Judy [particolare e sui generis, ad esempio, è la vendetta dell’orsetto di peluche lanciato via nella pioggia dalla matrigna, che in un sogno ad occhi aperti della bimba ritorna sotto forma di grande orso bruno feroce travestito da orsacchiotto giocattolo], o ancora sminuite dagli adulti che continuano a trovare alibi banali [topi…] ai rumori, alle vocine e alle risate che sembrano infestare ogni angolo della casa.
L’imprinting emotivo con le bambole viventi del vecchio artigiano avviene con due degli sventurati visitatori: la bambina [Carrie Lorraine], come è giusto che sia, e il timido avventore [Stephen Lee], graziato dalla furia dei bambolotti omicidi proprio grazie al fatto di non esser mai riuscito a maturare e ad abbandonare il suo spirito infantile.
Il tutto sembra aver inizio con l’ingresso in scena di Scarabocchio, un bambolotto con uno strano cappello da giullare, che il padrone di casa regala a Judy, e che con lei sembra instaurare da subito un rapporto d’amicizia molto intenso, mentre le altre bambole che abitano il palazzo fanno la conoscenza, tutt’altro che piacevole, dei loro nuovi ospiti, e dei loro marcati difetti che li condurranno a morte certa.
Durante quella che gli stessi anziani padroni [in realtà due stregoni] definiscono sarcasticamente come “la notte più lunga del mondo”, nessuna pietà sarà mostrata verso i quattro adulti più cinici e disincantati, facendo schizzare a quattro [su un totale di sei ospiti] il bodycount del film, per poi svelare nella chiusa che, per contrappasso, i quattro deceduti sono stati trasformati a loro volta in fantocci viventi.
Le pratiche omicide sono le più disparate, così come i tipi di bambole utilizzate per la messa in scena [di porcellana, di plastica, di pezza, burattini, peluche…], e vanno da una prima ragazza trascinata sul pavimento da qualcosa di piccolo ma molto forte, per poi essere ripetutamente sbattuta con la fronte su uno scalino, a bambole armate e pronte a sferrare morsi, alla scena in cui la giovane matrigna viene assalita, nel letto, da alcune bambole che cercano di segarle i piedi, fino alla tragica fine della seconda autostoppista fucilata da un gruppo di soldatini giocattolo.
Il fatto che le bambole dei due stregoni, una volta rotte, mostrino all’interno delle loro teste dei piccoli teschi, e che i malcapitati siano costretti a trasformarsi infine in bambole, lascia supporre che i bambolotti conservati in quella casa siano stati un tempo degli umani.
Del 1989, e sempre della fucina Full Moon, è Puppet Master: Il burattinaio, per la regia di David Schmoeller e la sceneggiatura dello stesso Charles Band.
1939: dopo aver nascosto le sue creature, il burattinaio Andre Toulon [William Hickey] si suicida nella sua stanza dell’Hotel Bodega Bay, per sfuggire a due sicari che vogliono carpirgli il segreto rito egizio con cui è riuscito a dare vita ai suoi burattini.
Dopo il salto temporale, il discutibile studioso occultista Neil Gallanger ha sposato l’attuale proprietaria dell’hotel, Megan, con il solo fine di impadronirsi dei burattini animati nascosti ancora al suo interno e decifrare il segreto magico.
L’improvviso e inatteso suicidio di Gallanger chiama a raccolta nell’hotel un gruppo di sensitivi, fino a qualche tempo prima suoi collaboratori: Frank, suo compagno di studi sulle dottrine egizie; Diana, un’indovina; Corissa, una lussuriosa medium che riesce a ricostruire la storia di un oggetto con il solo contatto fisico; e Alex, che ha il dono dei sogni premonitori.
L’inserirsi del gruppo di maghi all’interno della storia sospende il tutto in un’atmosfera irreale, tra l’onirico e il visionario, mentre la vicenda inizia a prendere le giuste venature horror proprio con l’avvento dei burattini viventi, anche in questo caso creati facendo molta attenzione a diversificarli l’uno dall’altro: fa capolino dalla bara di Gallanger un tozzo bambolotto microcefalo armato di arpione, mentre un burattino con cappello a punta di trapano sarà più volte protagonista di sortite ai danni dei protagonisti umani. Si aggiungono una bambola con movenze sexy capace di vomitare sanguisughe, un’altra con la faccia bianca e neutra che gira armata di uncini e coltelli, e un burattino che, per cambiare espressione del viso, fa ruotare vorticosamente le tre parti in cui è divisa la sua testa.
Anche in questo caso le creature animate [dalla magia egizia] si ergono al di sopra del bene e del male, assecondando inizialmente le brame di Gallanger, interessato a tenere per sé il segreto magico per arrivare a conquistare la vita eterna, per poi, una volta palesata la vera natura del loro nuovo padrone, non perdere occasione di ribellarsi ferocemente.
Puppet Master: Il burattinaio ha dato origine ad una lunga saga, che finora ha gemmato ben nove sequel, girati da vari registi e ambientati in diverse epoche storiche, fino al Puppet Master: Axis of Evil del 2010, di David DeCoteau.
E nella saga di Puppet Master c’è anche il tempo per rivangare il passato e per un medley delle migliori scene dei capitoli precedenti. Nel primo caso parliamo di Retro Puppet Master [1999] di Joseph Tennent che, di sicuro, non è uno dei migliori capitoli della saga creata da Charles Band, anzi, si dimostra scevro da qualsiasi orpello horror, per vestirsi di un’aura fantastico-romantica, che punta al noioso.
É il 1944, e l’anziano Andre Toulon [Guy Rolfe] racconta ai suoi pupazzi animati i fatti che lo fecero avvicinare alla sacra arte magica egizia per donare la vita a cose inanimate.
La scena è estremamente familiare, con il Puppet Master e le sue piccole marionette animate riuniti interno al fuoco, e il ricordo in sordina che parte subito dopo il ritrovamento della testa di uno di un puppet defunto: il Ciclope.
Subito dopo il salto temporale all’indietro [tralasciando una capatina nel passato remoto, fino all’antico Egitto, che mostra il ratto della formula magica del dio Sutekh, con tanto di risveglio di tre mummie-schiave che si mettono alla ricerca del maltolto], la storia si sposta a Parigi, durante la Prima Guerra Mondiale, e il giovane Andre Toulon gestisce un avanguardistico teatrino di marionette, in cui una sera capita una bellissima donna, Ilsa, di cui Andre si innamora.
Sarà proprio tramite Ilsa, che Afzel, il vecchio stregone che s’era appropriato della formula egizia, entrerà nella vita di Toulon, dopo essere stato aggredito. Prima di morire, Afzel dovrà passare ad un altro Master “il segreto della vita”, e sceglie come suo successore proprio il giovane marionettista.
Attraverso la formula magica e il sangue di persone appena decedute in cui intingere la punta di un anello rituale, Tulon riesce a trasformare i suoi pupazzi in esseri viventi, che difenderanno lui e la donna del suo cuore dai tre inviati di Sutekh, che da mummie avvolte nelle classiche bende sono ora diventati esteticamente una sorta di gentlemen inglesi.
Le bambole si avventano unicamente contro le tre guardie del dio egizio, che continuano a perdere millenaria polvere ad ogni colpo di arma da fuoco o contundente.
Di poco migliore, ma solo per il potpourri di intere sequenze estratte dagli altri capitoli della saga è Puppet Master Legacy [2004].
La storia che fa da cornice è solo un pretesto: Peter, il ragazzino protagonista di Puppet Master III – Toulon’s Revenge, ora è un uomo adulto, ed è diventato il nuovo Puppet Master. Una bella bruna si insinua nella sua proprietà, decisa a eliminare i burattini e ad appropriarsi dei buratti e dell’antica formula egizia.
Tramite il consulto di testi redatti da Toulon e di sue registrazioni, il film prende tangenti differenti aggrappandosi a stralci dei passati film, partendo proprio da un buon trancio di Retro Puppet Master.
Charles Band fa un lavoro cronologico per tentare di dare un ordine alla saga del burattinaio, ma il capitolo non regala nulla di nuovo a chi l’ha pedissequamente seguita.
Migliora, ma solo perché pesca a piene mani da capitoli più gore friendly di Retro, il tasso splatter che racchiude scene come quella del soldato nazista alla guida della camionetta di guerra che viene perforato dalla schiena fino all’addome dal classico pupazzo con la testa a punta di trapano, o le varie incursioni-sparatorie del pupazzo pistolero con sei braccia, senza dimenticare le viscide apparizioni della bambolotta dalla cui bocca sgusciano lente delle nere sanguisughe.
All’interno della saga anche uno spin-off che ingloba ai burattini animati dalla magia egizia, altri piccoli giocattoli assassini della famiglia Band: i Demonic Toys. Il capitolo, terzo della saga dei Toys [di cui parliamo più avanti] e nono di quello dei Puppet, è Puppet Master VS Demonic Toys di Ted Nicolaou, del 2004.
Nel film, Robert, pronipote di Andre Toulon, e sua figlia Alexandra, ereditati burattini e formula magica, decidono di riparare e riportare in vita, per l’ennesima volta, bambole e pupazzi.
Di bambole possedute nientemeno che dallo spirito malvagio del diretto primogenito di Satana si parla in Dolly Dearest – La bambola che uccide, del 1992.
La vicenda ruota attorno ad una fabbrica di bambole costruita su un terreno attiguo ad un sito di scavi archeologici, in Messico. La fabbrica, rimasta intonsa dall’improvvisa scomparsa dell’ultima proprietaria, con tanto di bambole conservate in maniera perfetta sugli scaffali, viene acquistata da un rampante americano deciso a lanciare sul mercato la bambola del secolo!
L’uomo si trasferisce in Messico insieme alla moglie e ai due figli: un bambino un po’ nerd, appassionato di archeologia [Chris Demetral], e una bambina dolce e smielata [Candy Huston] che affoga in brodo di giuggiole appena scopre la sfilza di bambole messe in fila sulle mensole.
Proprio mentre la bambina inizia ad impostare il classico morboso rapporto ossessivo con la bambola, il film di Maria Lease inizia a dispiegare per bene il secondo binario della sua drammaturgia: il sito archeologico adiacente alla fabbrica, infatti, inizia ad inviare ad i suoi vicini di casa macabri messaggi.
Scambiato inizialmente per una tomba maya, il sepolcro perfettamente conservato nel ventre della terra, riporta sulla lastra lapidaria e sui fregi murali iscrizioni di origine “sanzia”, una popolazione sviluppatasi attorno alla leggenda, mai appurata, di aver dato ospitalità sino alla morte al figlio del Diavolo: un essere malvagio con il corpo da infante e la testa di capra [più avanti, nel film, scoperchiato il sepolcro, lo spettatore avrà anche modo di osservare il corpo mummificato dello scherzo di natura].
In poco tempo si inizia ad intuire che la creatura diabolica, disturbata dal suo sonno eterno dagli scavi, aveva iniziato a diffondere i suoi malefici influssi tutto intorno, per trovare, infine, placida dimora proprio nei corpi plastificati delle bambole, della grandezza simile a quella di una bambina di cinque anni, costruite nella vicina industria.
La fascinazione che sin dall’inizio la bimba protagonista subisce proprio da parte della sua Dolly, si manifesta con la compulsiva voglia di tenerla sempre al suo fianco e di impostarci continui discorsi apparentemente univoci, per poi palesare la sua natura maligna con i violenti rifiuti opposti dalla bambina nei confronti del simbolo della croce, della profonda religiosità di una cameriera e della benedizione della casa da parte di un prete cattolico. In breve queste stranezze si concretizzano in una reale possessione: la bambina inizia a disegnare scene incomprensibili, a parlare lingue sconosciute o ad usare voci innaturali e ad essere molto violenta, in particolare nei confronti della madre. Anche le bambole iniziano a mostrarsi via via più vive e, da espressioni sempre più accigliate e maligne, passano a muoversi e a compiere omicidi: la cameriera sarà folgorata con la corrente elettrica in una vasca piena d’acqua, mentre uno degli operai della fabbrica cadrà, stroncato da un attacco cardiaco, dopo aver subito delle sevizie con una macchina da cucire.
Mentre i genitori dei due bambini continuano a dimostrarsi sempre più inefficienti, a metter le cose a posto ci penserà il fratellino nerd che, diventato in breve tempo gran conoscitore della cultura “sanzia” ed archeologo a tempo perso, prima spara un colpo di fucile alla bambola/ossessione della sorella, apostrofandola con un meraviglioso “Gioca con questo, puttana!”, e poi fa esplodere baracca e scavi con la dinamite. Un personaggio che, per quanto decisamente irreale, regala al pubblico una serie di diversivi, involontariamente comici.
Luca Ruocco
Estratto dal saggio omonimo scritto da Luca Ruocco per il volume Chucky: Guida alla saga della Bambola Assassina, edito da EUS Edizioni [www.eusbooks.it]