America,1630: una famiglia puritana assai timorata di dio viene allontanata dalla propria comunità ed è costretta a ritirarsi ad una vita di solitudine e sacrificio, in una vecchia fattoria vicina ad un grande bosco del New England.
Il lavoro da fare è tanto e le giornate dei due coniugi, e dei loro figli, rimbalzano tra preghiera, fatica e paura. Sì, perché proprio il bosco che incomincia alle spalle della loro nuova abitazione diventa subito lo spauracchio dai due adulti. Ai figli è vietato avvicinarsi alla boscaglia dove, si dice, abiti una malvagia strega.
Un giorno il più piccolo della famiglia scompare davanti agli occhi di Thomasin, la sorella quattordicenne. Vani sono i tentativi di ritrovarlo, e dopo qualche giorno il padre si convince che il figlio sia stato rapito e divorato da un lupo. Ma questo suo pensiero è solo un velo trasparente appoggiato alla meglio sul terrore e sui reali pensieri che credo misto a superstizione ha iniziato a seminare negli animi dei protagonisti.
Dopo quel fatto la realtà della famiglia inizia a cambiare, per degenerare e capovolgersi di lì a poco: i due coniugi iniziano a litigare; la madre non riesce a nascondere il rancore provato verso Thomasin [che ha smarrito il suo ultimo figlio ma che è anche quasi una donna e, quindi, è pronta a usurparne il posto in società]; Caleb, di 12 anni, sulla soglie della pubertà inizia a guardare verso la sorella maggiore con gli occhi del desiderio carnale; i due gemelli, ancora bambini, giocano sempre più spesso in modo strano e misterioso, canticchiando filastrocche che vedono protagoniste il nero caprone di proprietà della famiglia.
La paura della strega è, come storia ci insegna, paura della morte, della povertà, del non compreso, dell’inaccettabile e la famiglia non è che la riduzione in piccolo di una società piagata dalla cecità dell’inquisizione. Il dio scongiurato dal capofamiglia, invece di regalare protezione e amore ai suoi adepti, sembra divertirsi a spargere tra loro terrore e odio, o semplicemente non esistere, lasciando i protagonisti a giocare con sé stessi.
Robert Eggers racconta una storia oscura che si macchia di orrore solo di tanto in tanto, un orrore misterico agli antopodi del Genere, che ne colora il finale epifanico, ma che va cercato con attenzione e mente aperta nel resto del film.
La strega del bosco, che esista o meno, che abbia ucciso il bambino rapito per sbriciolarne le ossa e cospargere la sua pelle nuda con il suo sangue o che sia solo una spaventosa immaginazione dei protagonisti più giovani di The Witch, fattasi via via più concreta e ossessionante, non è il centro del film, che invece mira a mostrare con quanta facilità possa smontarsi dall’interno, auto-distruggersi, un nucleo sociale. Uno sfaldarsi immotivato e senza ritorno, che trova sviluppo [se felice o meno non ci è dato realmente di saperlo] solo nell’ingresso della piccola Thomasin, futura donna, futura madre [futura strega?], all’interno di un nucleo sociale diverso [né migliore, né peggiore]. La futura donna può farlo solo quando il suo nucleo di origine è del tutto dissolto e lei è, finalmente, spaventata, libera, adulta.
Il film, che – torniamo a specificare – non è un horror e non va cercato con sete orrorifica, è quindi anche un racconto di crescita, di passaggio, ed è costruito con una bella cura estetica, da film storico, non ricercando lo shock del colpo di scena, ma cumulando silenzi e sospetti [c’è un bel momento in cui chiunque, tra i protagonisti potrebbe essere la strega del titolo]. E poi ci sono i simboli che sembrano nascondersi ovunque, nei luoghi, negli animali, ma che forse sono solo nella penna di chi racconta o nell’occhio di chi guarda.
Luca Ruocco
–
THE WITCH
Regia: Robert Eggers
Con: Anya Taylor-Joy, Ralph Ineson, Kate Dickie, Harvey Scrimshaw, Ellie Grainger, Lucas Dawson, Julian Richings
Uscita in sala in Italia: giovedì 18 agosto 2016
Sceneggiatura: Robert Eggers
Produzione: Daniel Bekerman, Lars Knudsen, Jodi Redmond, Rodrigo Teixeira, Jay Van Hoy
Distribuzione: Universal Pictures
Anno: 2015
Durata: 90’