13 settembre 2016: Ken Loach è a Roma per presentare il suo nuovo film, Io, Daniel Blake, fresco vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes. Il sottoscritto è accreditato per partecipare alla conferenza stampa che si terrà nell’elegante e formale cornice dell’Hotel Bernini di Piazza Barberini. Arrivo con un certo anticipo. Mi ristoro al buffet offerto dalla distribuzione italiana del film e poco prima di prendere posto nella sala dove avrà luogo l’incontro, decido di andare in bagno. Mai decisione fu più fortunata.
La toilette è piccola e discreta, ci sono due lavandini e due porte che celano ciò che potete benissimo immaginare. Una porta è chiusa, intuisco che il bagno sia occupato e mi dirigo all’altra. Espletate le mie esigenze, procedo con il lavarmi le mani. In quel momento la porta chiusa si apre, palesando Ken Loach in persona.
Il regista inglese si avvicina a me per lavarsi le mani e gentilmente mi saluta, visto che lo sto fissando: “Salve”, mi dice e io: “Salve! Questo è davvero un incontro straordinario, forse per via della location. Sembra un film di Fassbinder”.
Loach ride e aggiunge: “Già, molto intimo, direi…” A quel punto non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di parlare di cinema – e del suo ultimo film – con uno dei pochi cineasti che ha vinto la Palma d’Oro due volte. “Stamattina ho visto il suo ultimo film” ho detto, “mi è parso bellissimo e durissimo. Credo che lei sia il solo a raccontare questo periodo storico così com’è, scuro e con poche speranze”. Loach sorride, mentre un po’ goffamente cerca di prendere del sapone liquido dal dosatore automatico: “beh…grazie mille” mi dice, “ciò che provo a fare è di dare voce e risalto alle storie che vedo e sento tutti i giorni, ma che ormai non interessano più molto”.
Si sciacqua le mani sotto l’acqua fresca e continua a parlare con me. “Dopotutto, il cinema resta il modo migliore per porre attenzione sulle cose…” s’interrompe e mi chiede: “dove ti sei asciugato le mani?”. “Ho usato un fazzoletto di carta” ho risposto, ma non credo mi abbia compreso a giudicare dalla sua espressione perplessa. Improvvisamente, avvista un asciugatore elettrico che giaceva attaccato alla parete dietro di me. Sorride e con passo un po’ incerto si avvicina alla macchina, continuando, tuttavia, a rivolgersi a me: “è un film a cui tengo moltissimo…”. In quel momento preme il pulsante che attiva l’asciugatore che parte facendo un vero baccano. Sfortunatamente, il Maestro parla con un tono di voce davvero molto basso e quel rumore sovrastava le sue parole. Risultato? ho osservato Ken Loach parlare per un minuto circa senza riuscire a sentire nemmeno una parola di ciò che stava dicendo. Non trovando il coraggio di chiedergli di alzare la voce ho annuito ringraziandolo ancora una volta. Ma prima che esca, ho avuto l’ardire di chiedergli un selfie – sì, ho chiesto a Ken Loach se potevamo farci un SELFIE. Sic! -. Lui sorride divertito e mi chiede: “ma qui dentro?”, e io: “perché no? Altrimenti, nessuno crederà che l’ho incontrata”. Ride di gusto: “Okay, ma prendi pure l’asciugatore”. Come avrei potuto rifiutare :). Scatto e gliela mostro. “Perfetta” mi dice e prima di uscire aggiunge: “ci vediamo alla conferenza?”, e io “certo, mr. Loach”.
A questo punto, non resta che procedere con il report della conferenza.
Sigla!
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[InGenere Cinema]: Si sta perdendo il valore dell’essere cittadino…
[Ken Loach]: Proprio così. Dobbiamo riappropriarci di questo termine, del termine “cittadino”. In tutt’Europa la priorità è il “capitale” e non le persone. L’interesse del “capitale” è quello di rendere i lavoratori vulnerabili e dargli la colpa per la propria disoccupazione. Forse il tuo CV non è corretto o semplicemente non dovevi arrivare in ritardo all’ultimo colloquio. In realtà, i posti di lavoro non ci sono e il precariato è un grande affare per le società che posso disporre dei lavoratori come e quando preferiscono.
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[InG]: Quanta solidarietà c’è tra i lavoratori oggi?
[KL]: È un punto fondamentale. I lavoratori si devono sostenere, in Gran Bretagna così come in Italia. Abbiamo iniziative solidali per tutto: dai senzatetto, agli anziani, fino ai bambini e ai disabili. Queste categorie sono le più esposte e la gente ha compreso che la risposta è la solidarietà. Tuttavia, non c’è motivo per continuare a vivere in questo modo. Il tessuto sociale è assolutamente logoro e bisogna fermarsi, altrimenti si spezzerà. Dopotutto, una piccola speranza sembra esserci: ad esempio, nel mio Paese, il Partito Laburista ha eletto un segretario davvero di sinistra. Ciò ha fatto aumentare gli iscritti e se la prossima settima e vincerà le primarie, assisteremo a veri cambiamenti nel partito.
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[InG]: Quanta responsabilità ha la burocrazia nelle disfunzioni della nostra società e che lei racconta in questi film?
[KL]: Il governo sa benissimo quello che fa e la complessità burocratica è architettata ad arte. Per intrappolarti. Lo sa talmente bene che addirittura c’è una quota mensile di sanzioni che ogni impiegato della pubblica amministrazione in Inghilterra deve fare, per conservare il proprio lavoro. Nel film ho lavorato con ex dipendenti dei centri di collocamento che hanno lasciato il posto perché non sopportavano la crudeltà di questo modo di fare.
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[InG]: Cosa pensa della Brexit e si sente mai antico per il cinema che fa?
[KL]: Sì, molto antico! [ride]. Soprattutto quando vengo in Italia, forse per i miei vestiti, penso. Tuttavia, ora mi sento meno antico rispetto agli ultimi 50 anni, perché c’è un grande fermento giovane a sinistra. Grazie anche ai social media, che si stanno mostrando molto utili alla nostra causa.
Su Brexit, beh, al momento non abbiamo ancora lasciato l’Europa. Dunque, non ho riscontrato grandi cambiamenti, a parte del crollo della sterlina. Le previsioni sono negative, tuttavia, soprattutto per il lavoro, esponendo i lavoratori a nuovi tagli dei salari e ad un aumento della precarietà. Purtroppo questa Unione Europe non è al fianco dei lavoratori e come tale è guidata dalle grandi aziende contro il pubblico e gli investimenti in questi senso.
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[InG]: Cosa avrebbe votato il suo protagonista a questo referendum?
[KL]: Daniel è un operaio, mentre la maggior parte dei voti per l’uscita sono arrivati dalla classe media. Tuttavia, è pur vero che anche la classe operaia ha votato per l’uscita come protesta. Perché non si sentono più rappresentati. È questa la grande sfida per progressisti: recuperare queste persone, ridandogli ascolto e voce.
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[InG]: C’è un erede di Ken Loach nel cinema moderno?
[KL]: Non c’è mai carenza di talento in questo mondo. Ho incontrato moltissimi registi capaci, ma non sono loro a decidere che film fare, ma sfortunatamente sono gli investitori. Noi abbiamo avuto la possibilità di crescere ed essere sovversivi anche perché la classe dirigente si sentiva molto sicura di sé. Oggi si sentono minacciati e quindi è molto difficile fare buon cinema.
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[InG]: Quanto è difficile trovare lavoro dopo i 50?
[KL]: Molto difficile. Anche per una persona in saluta di quell’età. Per Daniel è ancora più difficile perché è malato. Davvero un missione impossibile. Finché la politica non tornerà a occuparsi della gente, purtroppo sarà sempre peggio.
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[InG]: Ha sentito della polemica nata al Festival di Venezia? Crede anche lai che i Premi debbano dialogare con le esigenze del pubblico?
[KL]: L’importanza dei premi per me è assolutamente evidente. Io ne sono un esempio vivente. Moltissimi miei film hanno trovato riscontro grazie ai riconoscimenti ottenuti nei Festival. Addirittura la Palma d’Oro per Il vento che accarezza l’erba ha significato una vittoria di tipo politica nei confronti del governo che negava gli accadimenti raccontati nel film. Dunque, sono i premi che permettono a certo cinema di trovare una via per arrivare al pubblico. Il contrario mi appare senza senso.
Paolo Gaudio
Roma, settembre 2016