Tutto ebbe inizio dieci anni fa, con quello che potremmo definire come lo scisma del cinepanettone, che vide gli indivisibili Massimo Boldi e Christian De Sica prendere strade separate e il vecchio Aurelio De Laurentiis perdere il monopolio della comicità al cinema in Italia. Tale evento, fu salutato con soddisfazione dall’intellighenzia tricolore che registrava l’emancipazione del pubblico da un prodotto cinematografico ripetitivo, volgare e decisamente scollato dalla realtà degli italiani. Tuttavia, nessuno mai si sarebbe immaginato che la natura di questo tipo di cinema fosse poco incline all’estinzione. Infatti, così come l’Idra di Lerna, mostro della mitologia greca al quale l’amputazione di una testa ne faceva ricrescere altre due, anche il cinepanettone si è moltiplicato, proponendo emuli, dissimili e progetti comici che hanno invaso la programmazione delle nostre sale.
La collocazione naturale di queste pellicole è a Natale, ma da qualche anno è molto interessante registrare che la finestra distributiva che va da novembre alla prima settimana di dicembre, risulti ancora più appetibile per distributori e esercenti che di questo tipo di prodotto non riescono proprio a fare a meno.
Il 2016 non fa certo eccezione, presentando ben tre film – tre veri incubi, a parere di chi scrive – che provano a conquistare il pubblico del ‘film di Natale’, prima di Natale.
Sigla!
QUEL BRAVO RAGAZZO di Enrico Lando
Ad aprire questa galleria mostruosa, troviamo lo stand-alone [per usare un termine informatico caro anche ai Marvel Studios] di Herbert Ballerina, comico televisivo e radiofonico, spalla di Maccio Capotonda.
Cosa succede se un potentissimo boss mafioso sta per morire e vuole lasciare il comando della sua spietatissima cosca a un figlio che non ha mai riconosciuto? Ma, soprattutto, cosa succede se quel figlio è un innocuo, ingenuo e goffo ragazzotto di trentacinque anni che fa il chierichetto e che è vissuto in un orfanatrofio di un paesino del Sud Italia? Questi gli interrogativi alla basa di Quel bravo ragazzo, diretto da Enrico Lando, regista dei Soliti Idioti e di Pio & Amedeo. Il riferimento al cinema di Scorsese è soltanto nel titolo, l’ambizione di far satira sulla mafia è in ritardo almeno di venticinque anni – ovvero dai tempi di Johnny Stecchino – e l’inventiva comica si riduce alla reiterazioni della medesima gag per circa novanta minuti. Il personaggio di Ballerina non riesce mai a essere dissacrante o irriverente come ci si potrebbe aspettare dall’autore dell’irresistibile fake trailer L’uomo che usciva la gente.
Troppo esile per il cinema, la comicità di Luigi Luciano [il vero nome di Herbert] scade troppo presto nella prevedibilità dell’equivoco, del malinteso che alimenta situazioni imbarazzanti e che mostra tutti i limiti di Ballerina a confronto con il lungometraggio. Delude, inoltre, il cliché che viene applicato per descrivere la mafia: il film sembra quasi essere ambientato prima della strage di Capaci, prima del maxi processo e prima ancora del pentitismo che portò all’arresto del Capo dei Capi, Totò Riina. Una visione fuori tempo massimo che non tiene presente nemmeno dell’attuale filmografia del Genere crime, che ad osservare Quel bravo ragazzo, è ferma ai tre capitoli de Il Padrino.
LA CENA DI NATALE di Marco Ponti
Ci risiamo: Marco Ponti lo ha fatto di nuovo. Come se non fosse bastato Io che amo solo te, il regista torinese, torna sul luogo del delitto con La cena di Natale, adattamento di un romanzo di Luca Bianchini come il precedente disastro.
Questa volta, i personaggi banali, vuoti, scontati e fasulli, interpretati da Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti e Michele Placido sono alle prese – udite, udite – con la cena di Natale. Quale sarà il dramma che scuote e lacera l’anima di personaggi così complessi?
Escludendo il disagio di dover partecipare alla cena del 24 – che in realtà “a Polignano non si porta”, almeno così si affannano a ripeterci per tutto il film – resta il solito campionario da romanzo rosa di quarta serie che va dal tradimento, all’ansia di diventare genitori, all’amore negato, sottaciuto, proibito. Il tutto condotto con l’ormai peculiare assenza di gravitas di cui è capace Ponti.
Il film sembra scivolare con la stessa intensità di una rivista di gossip, nella quale il perbenismo e l’ipocrisia sono le fondamenta di una vicenda che persiste nella memoria degli spettatori giusto il tempo di voltare pagina.
Si fa davvero difficoltà a ricordare un momento degno di nota, una scena capace di provocare una qualsivoglia emozione, o più semplicemente una battuta che regali un sorriso. Assolutamente, il vuoto. Proprio come il precedente. Almeno, da questo punto di vista, Ponti, si sta dimostrando un cineasta coerente, il quale propone un’idea di cinema che mette al centro della sua poetica la banalità.
Forse, tra trent’anni, queste due pellicole saranno rivalutate e descritte come capisaldi una sorta di avanguardia post moderna cinematografica. O più probabilmente, spariranno senza lasciare nessuna traccia del loro passaggio. Per il momento, La cena di Natale, si candida ad essere inserito tra i film più brutti della stagione. Anche queste sono soddisfazioni.
UN NATALE AL SUD di Federico Marsicano
E qui si raggiunge il sublime. Uno dei massimi esponenti del Genere – il cinepanettone, s’intende – segna il punto più basso della sua lunghissima carriera.
Massimo Boldi con Un Natale al Sud riesce nell’impresa di editare e distribuire un film completamente privo di narrazione, trama, costruzione dei personaggi e degli eventi raccontati. Talmente contraddittorio e sconclusionato da escludere il Natale da quella che dovrebbe essere una commedia ambientata durante le feste (sic!).
E questo non è niente: tra pasticche allucinogene, amori virtuali, matrimoni in crisi, equivoci prevedibili, pacchiane insensatezze, sfacciati product placement e una linea narrativa senza alcun riscontro – ogni evento è scollato dal precedente – il film sfonda il muro del logico per entrare in una sorta di mondo parallelo in cui lo spettatore medio dovrebbe essere cieco, sordo e dovrebbe aver battuto la testa prima di entrare in sala per poter “apprezzare” cotanti sforzi.
Tralasciando il campionario di scorregge, defecazioni e altri sintomi tipici di indigestioni e mal di pancia, ciò che trasmette imbarazzo e tristezza è la performance di Boldi. Colpisce come quello che un tempo era un leone della farsa, oggi appaia in forte difficoltà, incapace di fare il 10% di quello che faceva un tempo. Assolutamente immobile per tutto il film, si trascina da una gag all’altra mostrando una stanchezza che va oltre la sua età – 71 anni suonati – che ci mostra un comico oltre il viale del tramonto. Sarà interessante vedere come il pubblico risponderà a questo disastro e se questo sarà l’ultimo atto del buon vecchio Cipollino.
Paolo Gaudio