Chi ha già avuto modo di confrontarsi con il cinema di Fabio Mollo ritroverà nella sua nuova fatica dietro la macchina da presa dal titolo Il padre d’Italia tutta una serie di elementi ricorrenti e riconoscibili. Nel suo secondo lungometraggio di finzione, nelle sale a partire dal 9 marzo con Good Films, il regista calabrese torna infatti su temi a lui cari, che in modalità random si sono affacciati nell’opera prima Il Sud è niente, ma anche nelle prove sulla breve distanza [Al buio e Giganti] e in quelle documentaristiche come Vincenzio da Crosia: dalla ricerca dell’identità all’accettazione, dai legami familiari alla paternità, fino al tema del viaggio e della crescita.
Al centro del racconto troviamo due anime in cerca di qualcosa o di qualcuno, due esseri agli antipodi che si scontrano per poi incontrarsi. Il tutto passa proprio per un viaggio di conoscenza, fisico ed emozionale, alla scoperta dell’altro e in primis di se stessi. Ne Il padre d’Italia veniamo catapultati al seguito di Paolo, un trentenne che conduce una vita solitaria, quasi a volersi nascondere dal mondo. Il suo passato è segnato è segnato da un dolore che non riesce a superare. Una notte, per puro caso, incontra Mia, una prorompente e problematica coetanea al sesto mese di gravidanza, che mette la sua vita sottosopra. Spinto dalla volontà di riaccompagnarla a casa, Paolo comincia a un viaggio al suo fianco che porterà entrambi ad attraversare l’Italia e a scoprire il loro irrefrenabile desiderio di vivere.
Per questo road movie, Mollo ha avuto a disposizione due interpreti di grande valore, reduci entrambi dalle performance più riuscite delle rispettive carriere: da una parte Isabella Ragonesi con Sole cuore amore e dall’altra Luca Marinelli con Lo chiamavano Jeeg Robot e Non essere cattivo. Ovviamente hanno dato il proprio contributo alla causa, anche se in misura inferiore rispetto al loro effettivo potenziale intrinseco, poiché impossibilitati a esprimerlo a pieno sullo schermo (riuscitissima la scena della prova dell’abito da sposa nella boutique di Napoli) a causa di personaggi non perfettamente delineati e a fuoco. Impariamo a conoscerli strada facendo, mentre il camion che li trasporta da Nord a Sud macina km su km, attraverso azioni, parole, ricordi e pensieri che riaffiorano dal passato. Ma tutto questo magma non è sufficiente a farne un ritratto convincente e solido, tale da spingere lo spettatore di turno a una catarsi, o quantomeno a un avvicinamento. E nel mezzo spunta la prova magnifica e intensa di Anna Ferruzzo, qui nei panni di Nunzia, madre di Mia. Nelle scene che la vedono protagonista nei passaggi che precedono l’epilogo, l’attrice regala momenti di fortissima intensità e potenza espressiva. Il suo personaggio, l’interpretazione della Ferruzzo e il contributo che entrambi danno al film, sono senza dubbio gli elementi più riusciti dell’intera operazione, insieme alle accensioni musicali in stile Xavier Dolan. La scena della cucina con lo scambio di sguardi e di parole che madre e figlia si scagliano addosso è quanto di più forte l’opera riesce a offrire alla platea.
Quello della messa a fuoco è un problema generale dell’intera opera, non solo della costruzione dei personaggi che la animano, che si riflette purtroppo anche nella drammaturgia e nell’architettura del racconto. Prese singolarmente le one line funzionano, ma il loro accumulo genera nello script e del racconto una saturazione tale da non consentire alla materia narrativa di raggiungere un pieno equilibrio. Mollo e la compagna di scrittura Josella Porto, infatti, mettono davvero tantissima carne al fuoco, talmente tanta da impedire alle one line di svilupparsi sino a trovare la propria quadratura del cerchio e completezza. L’affrontare un numero considerevole di tematiche e metterle tutte nel medesimo pentolone non aiuta e nemmeno arricchisce la drammaturgia, ma come in questo caso la appesantisce e non la valorizza. Di conseguenza, lo spettatore finisce con il non avere perfettamente chiaro su cosa concentrarsi, perché l’accento viene messo su troppe cose. In poche parole, il vero problema di Il padre d’Italia sta nell’indecisione e nell’abbondanza dei temi trattati e delle one line aperte senza essere chiuse. Una maggiore chiarezza negli intenti e nelle scelte narrative, unita a un disegno più chirurgico dei personaggi, avrebbero sicuramente fatto del bene al tutto. Ciò che resta è un film fatto di lampi di genuinità e di coraggio, ma non abbastanza maturo dal riuscire a controllare e sviluppare tutto quello che la scrittura chiama in causa.
Francesco Del Grosso
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IL PADRE D’ITALIA
Regia: Fabio Mollo
Con: Luca Marinelli, Isabella Ragonese, Anna Ferruzzo
Uscita sala in Italia: giovedì 9 marzo 2017
Sceneggiatura: Fabio Mollo, Josella Porto
Produzione: Bianca Film, Rai Cinema
Distribuzione: Good Films
Anno: 2017
Durata: 93’