Ci sono alcuni incontri più speciali di altri. Non c’è che dire. Avere la fortuna di ascoltare un uomo di cinema così capace, coraggioso e competete è davvero un piacere per chi, quest’arte, la ama da tutta la vita. Paul Verhoeven è venuto a Roma per accompagnare la sua ultima straordinaria opera, Elle, illuminando i cuori e le menti dei tanti presenti alla conferenza stampa. Noi c’eravamo e questo è il report di un incontro così speciale.
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[InGenere Cinema]: Il film non è finito nella cinquina come miglior film straniero, è una pellicola troppo eversiva per gli americani?
[Paul Verhoeven]: Ovviamente possiamo solo formulare delle ipotesi. Di sicuro, credo che il terzo atto del film sia stato male digerito dagli americani. Pensa che abbiamo avuto molti problemi a proporlo in USA o a trovare una attrice americana interessata al progetto. Il problema è politico, naturalmente.
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[InG]: Violenza sulle donne, trattata anche con una certa ironia. Quanto questo proviene da lei e quanto era già presente nel romanzo.
[PV]: Questo tipo di ironia è presente nel romanzo. Il quale racconta questa vicenda, passando da scene di violenza esplicita a scene di quotidianità banale. Questo è stato l’aspetto che mi ha colpito maggiormente. Non è un thriller e questo mi entusiasmava, perché mostrava la vita così com’è. La vita non è un Genere cinematografico e questo film non doveva iscriversi a nessun Genere. Il cinema sta esagerando a classificare ogni pellicola, mentre, la vita non si fa incasellare, ma al contrario, mescola tutto insieme. Male, bene, violenza, sesso e noia.
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[InG]: Le donne nei suoi film sono spesso controverse e tormentate, è così che le piacciono?
[PV]: Nel caso di Elle, il carattere della protagonista era già descritto così nel libro. Tuttavia, non credo che si possa definire tormentata. Come del resto anche quello della protagonista del mio precedente film, Black Book. Mi piace molto pensarla come una sopravvissuta che rifiuta di essere una vittima: quando racconta ai suoi amici di aver subito una violenza, ad esempio, si esprime con un ambiguo: “credo” di essere stata violentata. Come se quello che le è accaduto non potesse davvero ferirla. Addirittura, nel terzo atto, comincia a frequentare il suo nemico. Mi sembra un atteggiamento quasi evangelico: ama il tuo nemico.
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[InG]: Lo definirebbe un film femminista? In fondo, gli uomini fanno una pessima figura.
[PV]: Sicuramente lo è, ma lo era anche il libro. Queste donne mollano gli uomini e vanno a vivere insieme. Loro vanno avanti senza uomini. Era tutto nel romanzo e io ho semplicemente seguito ciò che avevo a disposizione e che trovavo molto interessante.
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[InG]: Ci parla del suo rapporto con Isabelle Huppert e quello che ha con il cinema americano.
[PV]: In Europa c’è senza dubbio molta più libertà rispetto agli USA. Tuttavia, in principio abbiamo provato a realizzare Elle in America. Io ero coinvolto e solitamente lavoro in California dove vivo. Isabelle era già coinvolta, ma il nostro desiderio era quello di farlo in lingua inglese. Dopo tre mesi di ricerca abbiamo compreso che non saremmo mai riusciti a farlo da quelle parti. Tornati in Francia, con grande umiltà, ci siamo rivolti a H. che ha accettato senza battere ciglio. Non ha messo mai in discussione lo script e le sue scene. Lei non desidera ricevere la simpatia del pubblico e del resto anch’io.
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[InG]: Come mai ha deciso di ambientare tutto nel modo dei videogame?
[PV]: Questo aspetto differisce dal romanzo, in effetti. Nel libro, la protagonista, è a capo di un gruppo di venti scrittori che si occupavano di sviluppare film e serie per la TV. A me appariva un po’ noioso mostrare il lavoro di queste persone, seduti intorno ad un tavolo a chiacchierare. Così un giorno, era a pranzo con mia figlia e lai mi suggerì di ambientare tutto in una società che produce videogiochi. Ne parlai con lo sceneggiatore che si rivelò un esperto in materia e grande consumatori di videogames. Da lì la cosa era fatta.
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[InG]: Ultimamente Hollywood ha riportato sul grande schermo tutti i suoi più grandi successi, si aspetta un remake americano anche per questo film?
[PV]: Non saprei… sicuramente non nei prossimi quattro anni! [ndr.: il regista allude all’attuale inquilino della Casa Bianca]
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[InG]: Ho trovato questo personaggio immorale. Inoltre, mi piacerebbe sapere, come crede si siano evoluti i suoi personaggi femminili della sua filmografia?
[PV]: Potremmo definirla amorale, ma a me questo aspetto, la morale intendo, non mi tocca. Non c’è amoralità nei miei film, e nella vita spesso tendiamo a nascondere desideri e impulsi del tutto normali in virtù della moralità comune. Ad esempio, trovo impossibile che un uomo possa avere rapporti solo e soltanto con una persona. È innaturale e folle. Eppure la nostra società ce lo impone. Tuttavia, noi sappiamo che la verità sta altrove. Questa non è amorale o immorale, è solo la vita vera.
Per quanto riguarda i personaggi femminili, ciò che posso dire e che con il passare del tempo mi accorgo di essere più interessato alle donne rispetto agli uomini. Ammiro le donne. E il mio prossimo film avrà due protagoniste donne: due suore nella Toscana del medioevo. Il titolo è Blast Virgin.
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[InG]: Riprenderà anche i suoi progetti su Gesù e su Hitler?
[PV]: Blast Virgin è un avvicinamento alla pellicola su Cristo che sto sviluppando da tempo, basata sul vangelo di Marco. Mentre non c’è un biopic su Hitler, è tutto un altro film su un personaggio femminile tratto da Brecht.
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[InG]: Si sarebbe mai immaginato che la scena dell’interrogatorio di Basic Instint, avrebbe regalato al cinema una delle sue immagini più iconiche?
[PV]: No, assolutamente. Anche perché quella scena l’abbiamo girata di corsa in dieci minuti. Pensa che l’avevo perfino dimenticata. Poi al montaggio me la sono ritrovata davanti gli occhi e mi è preso un colpo. Dissi al montatore: “Ma cos’hai montato?”. E lui mi rispose: “Quello che hai girato!”. Mai avrei immaginato un effetto così dirompente sul pubblico. Inoltre, quella idea è basata su una storia vera: c’era una mia collega dell’università che non indossava mai le mutande, e spesso le chiedevamo di accavallare le gambe…
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[InG]: Che cinema dobbiamo aspettarci dall’America di Trump?
[PV]: Basta vedere il fenomeno LaLa Land. Un cinema di pura evasione, che fa riferimento ad un’epoca d’oro, e che suscita sentimenti positivi. Io spero che il cinema hollywoodiano mantenga sempre alto il livello.
Paolo Gaudio
Roma, marzo 2017