Tutto quello che volevate sapere su Dylan Dog, ma non avete mai osato chiedere. Potremmo descriverlo anche così il bel documentario, Dylan Dog – 30 anni di incubi di Luca Ruocco e Marcello Rossi, i quali da veri esperti, ci raccontano i primi trent’anni di vita dell’indagatore dell’incubo edito da Sergio Bonelli Editore e amato in tutto il mondo. In occasione della nuova messa in onda su Studio Universal [in onda sul digitale terrestre sulla piattaforma Mediaset Premium], ogni sabato di giugno in seconda serata, abbiamo fatto due chiacchiere con gli autori che sono di casa sulle pagine del nostro sito.
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[Paolo Gaudio]: Un documento per raccontare i trent’anni dell’indagatore dell’incubo: dall’osservatorio di due esperti, com’è invecchiato il personaggio Bonelli in questi anni?
[Luca Ruocco]: Dylan ha vissuto di certo un lungo momento di stanca. Un momento editoriale e creativo in cui la presenza dell’indagatore dell’incubo nelle edicole e sugli scaffali delle librerie era dato un po’ per scontato. Cristallizzato come quel fenomeno culturale che era stato a inizio anni 90 e che, ovviamente, non poteva continuare ad essere… non allo stesso livello! Stiamo parlando di un fumetto che è diventato fenomeno e simbolo generazionale… Non ne esistono molti! Forse proprio per non destabilizzare troppo Dylan e il suo mondo, le storie hanno cominciato ad avere una serie di proposte e situazioni standard. La qualità degli albi era spesso piacevole, a volte buona, ma si sentiva un po’ l’assenza di un rinnovamento, di un adattarsi ai tempi [del mondo, delle proposte editoriali, del pubblico che si è ovviamente rinnovato]. È quello che sta facendo la gestione Recchioni… e la cosa interessante è che nei piani dell’attuale curatore il rinnovamento sia cominciato facendo una sorta di downgrade. Ne paliamo bene in Dylan Dog – 30 anni di Incubi e vi rimando lì. Aggiungo solo che, piacciano o meno, le continue proposte, le virate e le scelte degli ultimi anni hanno riportato Dylan Dog sulle bocche di tanti, su quotidiani, eventi, festival, siti web, e via dicendo… Direi che questa parte del lavoro sta venendo su bene, no?
[Marcello Rossi]: Si potrebbe rispondere che il personaggio “sta invecchiando molto bene” dal momento che continua a essere tra i fumetti più venduti in Italia. In trent’anni di storia editoriale è inevitabile ci siano stati momenti alti e bassi dal punto di vista creativo, ma, soprattutto grazie al lavoro svolto per farlo entrare nella sua fase 2, gli albi continuano a catturare l’attenzione dei lettori e non solo dei “maniaci dylaniati” che comprerebbero qualunque cosa. E il rinnovamento non è finito, come accenniamo nel documentario l’investigatore dell’incubo si accinge ad entrare nella sua fase 3.
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[PG]: Nel vostro doc si racconta l’ascesa di questo fumetto horror italiano attraverso l’esperienza di molti dei protagonisti di questo successo: quali scelte avete dovuto operare nella ricerca dei vostri ospiti e quanto vi è mancata la possibilità di intervistare Tiziano Sclavi?
[LR]: Abbiamo concordato gli interventi dei nostri ospiti con Studio Universal [in onda sul digitale terrestre sulla piattaforma Mediaset Premium] e, ovviamente, con Sergio Bonelli Editore. Ovviamente avremmo avuto il piacere di raccogliere le testimonianze di tanti altri protagonisti della storia dell’Old Boy, ma dovevamo confrontarci anche con la durata del documentario che avrebbe dovuto aggirarsi intorno ai 30 minuti. Siamo comunque riusciti ad avere le testimonianze autorevoli di Angelo Stano e Claudio Villa, importantissimi perché saliti sul carro di Dylan proprio dal primo numero [uno come disegnatore, l’altro come ideatore grafico del personaggio e primo copertinista]. Per fotografare bene l’evoluzione del personaggio non potevamo capitare in mani migliori del direttore editoriale SBE Michele Masiero. In ultimo, era essenziale avere il punto di vista di Roberto Recchioni che è al timone della testata tuttora. E questo solo rimanendo sulla Sergio Bonelli Editore. Non siamo riusciti ad incontrare e intervistare Tiziano Sclavi… Era una cosa che avevamo messo in conto, avendo letto tanto di e su Tiziano. Ma nel documentario abbiamo un’interessante intervista inedita realizzata per un progetto scolastico a Milano. Non ti nascondo che, personalmente, sogno un incontro con Tiz, ho imparato a scrivere grazie a lui… Speriamo vada meglio al prossimo giro!
[MR]: Gli intervistati erano comunque in cima alla nostra “wish list”, per cui, malgrado siano solo una parte del lungo elenco di nomi che avevamo selezionato all’inizio, riescono a dare la giusta prospettiva al documentario, sia nella parte storica, che in quella che approfondisce le tematiche del personaggio. Sapevamo fin dall’inizio che sarebbe stato praticamente impossibile raggiungere Sclavi: ci abbiamo comunque provato. Ci consola il fatto che abbiamo colto l’occasione per mostrare una sua intervista storica proveniente dagli archivi della Bonelli che altrimenti difficilmente avrebbe mai visto la luce.
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[PG]: Voi due siete grandi conoscitori del mondo di Dylan Dog, tuttavia, lavorando al doc, cosa avete scoperto che non sapevate del fumetto Bonelli?
[LR]: Avevo letto tanto dei Dylan Dog Horror Fest, ma non vi avevo mai partecipato. Sono riuscito a viverli almeno in parte proprio grazie ai materiali, foto e video, dell’archivio Bonelli. Ma, come puoi immaginare, anche le cose che un collezionista può già conoscere prendono mille altri colori quando vengono raccontate da chi queste cose le ha fatte e vissute in prima persona!
[MR]: Prima del documentario avevo sempre vissuto il fenomeno solo da semplice lettore, senza mai approfondire troppo le vicende editoriali dietro le quinte, per cui per me è stata una continua scoperta. Cosa che ha reso il lavoro ancor più interessante.
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[PG]: Qual è il vostro modo di lavorare? Mi incuriosisce sempre il modus operandi di due registi che lavorano insieme allo stesso film.
[LR]: Abbiamo lavorato insieme ad uno scheletro narrativo che facesse da base alla raccolta di testimonianze e materiale d’archivio. Su quello abbiamo sviluppato delle interviste che potessero andare a arricchire i diversi livelli di sviluppo del nostro lavoro. Ovviamente tutto è cresciuto proprio grazie agli interventi raccolti! Il lavoro poi si è sviluppato con una precisa selezione delle parti da inserire nel montaggio che abbiamo orchestrato insieme, prima di passare il lavoro al montatore Roberto Baldassarri che ha realizzato anche le belle animazioni dalle tavole che di volta in volta gli proponevo. Ecco, Dylan Dog – 30 anni di incubi, personalmente è stato anche una bella scusa per tornare a sfogliare albi che, magari, non leggevo da anni.
[MR]: Contrariamente ad esempio a un documentario classico che si basa su una sceneggiatura vera e propria, un documentario come il nostro, basato quasi esclusivamente sulle interviste, essenzialmente si costruisce per sottrazione. Visionando il materiale girato abbiamo selezionato punto per punto qual era l’intervento o gli interventi che meglio riuscivano a descrivere un determinato passaggio. Per cui un primo montaggio è nato semplicemente dalla selezione di una serie di risposte. A seguire c’è stato un lungo lavoro di rifinitura per amalgamare il tutto al meglio, e fornire le giuste coperture visive a quanto veniva detto dagli intervistati.
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[PG]: Come vi siete imbattuti in questo fumetto? La prima volta che avete letto Dylan Dog, insomma…
[LR]: Ci sono arrivato presto, intorno ai 9 anni, con gli albi di amici un po’ più grandi. Sono andato avanti così per un paio di anni. Il primo albo che, però, ricordo di aver acquistato personalmente è stato una prima ristampa de Il buio, l’albo 34 scritto dal grande Claudio Chiaverotti e disegnato da Dall’Agnol. È una storia a cui sono ancora molto affezionato.
[MR]: Io sono approdato a Dylan Dog in età più matura (almeno spero), durante gli anni universitari. Era la grande passione di una delle mie prime fidanzate, passione che mi ha catturato immediatamente, tanto che mi sono messo a raccogliere e collezionare gli arretrati, cosa che lei non faceva. Per fortuna poi sono uscito dal tunnel del collezionismo.
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[PG]: Quale numero di Dylan Dog indichereste come il migliore? O semplicemente, qual è il vostro preferito?
[LR]: Domanda davvero impossibile. Non posso darti il titolo del miglior albo di Dylan. Posso darti qualche titolo che tutti dovrebbero leggere: Memorie dall’Invisibile, Golconda, Storia di Nessuno, ad esempio. Tra gli Speciali, invece, sono molto affezionato a La casa degli uomini perduti.
[MR]: Il mio preferito rimane l’albo firmato da Tiziano Scalvi Tre per zero. Dopo tanti anni, è uscito nel 1997 e non l’ho riletto di recente, ricordo ancora nitidamente alcune scene e alcune battute. È una di quelle storie che ti resta dentro.
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[PG]: In un’epoca di cinecomic, Dylan Dog appare come un fumetto molto complesso da adattare. I precedenti sono da dimenticare e i fan film non possono certamente soddisfare l’appetito dei tanti ammiratori, nonostante i buoni risultati. Vedremo mai le avventure di Dylan al cinema?
[LR]: Dopo la sonora delusione di Dylan Dog – Il film di Munroe spero davvero che, un giorno, noi fan [e Dylan per primo] saremo vendicati! Bramiamo vendetta per quell’affronto.
[MR]: Non so se sarà mai possibile un adattamento fedele al cinema, lo stesso Groucho (senza il quale Dylan Dog non è Dylan Dog) pone evidenti problemi di copyright. Personalmente considero Dellamorte Dellamore il miglior adattamento cinematografico di Dylan Dog. Lo so, non è proprio lui, ma ci va davvero vicino.
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[PG]: Luca, tu sei anche un bravissimo sceneggiatore, quali fumetti adatteresti per un reboot cinematografico di Dylan Dog se potessi?
[LR]: Ti ringrazio per il “bravissimo”. Secondo me non si tratterebbe di adattare un albo in particolare. Bisognerebbe portare al cinema un personaggio ben definito e già molto cinematografico! Così come i comprimari… indispensabili. Ma, soprattutto, si tratterebbe di portare su grande schermo un certo modo di pensare, una poetica che è stata capace di affascinare lettori di generazioni diverse. Dylan Dog non è solo un indagatore del paranormale… è un personaggio strutturatissimo, anzi oserei dire una persona! Ha un credo preciso e una poetica che, se traditi, possono unicamente mandare all’aria qualsiasi progetto filmico. Voglio solo ricordarti che il Dylan di Munroe è riuscito a dire, a occhi stretti e viso serio, una frase come “Non ci serve un piano, solo pistole più grandi!”… Non so se mi spiego!?
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[PG]: Michele Soavi ne avrebbe voluto fare una serie televisiva con Stefano Dionisi, c’è più rammarico o sollievo rispetto a questo progetto?
[LR]: Michele Soavi è un bravissimo regista. Tra l’altro ha firmato Dellamorte Dellamore, l’adattamento del romanzo di Sclavi, che è un piccolo cult film. Secondo me poco compreso qui in Patria. E per un progetto di serie avrebbe senso riprendere le storie dagli albi, o almeno ispirarcisi. Secondo me ci avrebbe potuto regalare qualcosa di bello.
[MR]: Sollievo assolutamente no, senz’altro rammarico. Sono uno degli estimatori del suo lavoro, per cui avrei accolto a braccia aperte una sua trasposizione televisiva. Non senza un po’ di trepidazione, certo, ma sarebbe senza dubbio stato un esperimento interessante.
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[PG]: Ci sono nuovi progetti in cantiere che vi legano a Studio Universal e a Sergio Bonelli Editore, o al mondo dei fumetti?
[LR]: Speriamo di lavorare di nuovo sia con Studio Universal che con Sergio Bonelli Editore! E abbiamo qualche proposta in cantiere… Ma è presto per parlarne. Per quando riguarda il mondo del fumetto, collaboro da un po’ con la Bugs Comics, giovane e attenta casa editrice, in veste di sceneggiatore. Per ora abbiamo portato in fumetteria e libreria due collane; magazine a storie brevi e auto-conclusive: Mostri e Alieni. Ma non ci fermeremo certo qui!
[MR]: L’esperienza di Dylan Dog è stata molto positiva, anche come riscontro di pubblico, tanto che il documentario e la rassegna horror ad esso legata verranno replicate su Studio Universal. In quel caso il fattore scatenante è stata proprio la ricorrenza del trentennale, ma non ci dispiacerebbe ripetere l’esperienza con qualche altra testata.
http://www.studiouniversal.it/site/schedafilm.php?cod=3077793
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Paolo Gaudio
Roma, giugno 2017