Non aprite quella porta è il monito più famoso del cinema horror di tutti i tempi.
Non aprite quella porta è anche un consiglio che, ovviamente, nessuno dei giovani protagonisti dei vari capitoli delle saghe ha deciso di seguire, finendo [come si sa] fra le braccia [le lame, le motoseghe…] della famiglia Sawyer. Famiglia degenere per eccellenza, questa, in cui tutti, dai genitori ai figli, al nonno, sono infettati da una follia inspiegabile, un istinto omicida che non si può placare, una rabbia animalesca e furiosa.
Il consiglio di non aprire quella porta, però, è suonato a vuoto anche nelle orecchie di produttori e registi che, nell’epoca d’oro dei remake, hanno più volte bussato a casa Sawyer.
A farlo questa volta sono Alexandre Bustillo e Julien Maury, filmaker francesi autori dell’ottimo home invasion À l’intérieur [del 2007], al loro primo film americano. E come è andata?
Così così, in verità c’è assai più di negativo che di positivo.
Leatherface ha alla base il desiderio di creare un altro prequel, dopo il Non aprite quella porta – L’inizio [2006], questa volta con l’intento di focalizzarsi sulla figura del folle assassino armato di motosega e bardato con una maschera fatta con la pelle strappata dai volti delle sue vittime.
Il progetto è proprio quello di ritornare alle origini, alla fanciullezza e alla giovinezza di Leatherface, un po’ come aveva fatto Rob Zombie con il suo Halloween – The Beginning. Non male… come non male è l’ingresso all’interno del microcosmo malato della famiglia di omicidi: brusco e violento come ci si sarebbe aspettato.
Il passaggio successivo vede il buon Leatherface, ancora lontanissimo dal diventare il villain protagonista di tanti incubi su pellicola, finire in un istituto di igiene mentale, dove lo ritroviamo dopo un balzo di 10 anni.
Seguendo le regole della struttura, che vuole che i suoi ospiti debbano assumere un’altra identità per essere allontanati dalla loro vita precedente, nessuno [spettatore compreso] dovrebbe sapere più chi sia il Sawyer rinchiuso lì dentro. Di certo uno di quelli che finiscono, volenti o nolenti, a mettere in piedi una violenta evasione, lasciandosi tanto sangue alle spalle e portandosi dietro come ostaggio una giovane e inesperta infermiera.
Il gioco dell’”Indovina chi?” parte subito, e i registi avrebbero voluto far rimbalzare i sospetti degli spettatori tra un evaso violento e iperteso, un depresso che ogni tanto cede a qualche crisi di violenza e un ragazzone quasi autistico, ma pericoloso. Ma il gioco non funziona… e quello che sarebbe il colpo di scena per eccellenza del film arriva così lieve da passare quasi inosservato.
Proprio questa leggerezza inoffensiva fa sì che la trasformazione del protagonista in Leatherface avvenga in modo immotivato e inspiegabile, da un momento all’altro. E questo, che piccolo particolare non è, mina al funzionamento della storia che, pur piccola, avrebbe avuto almeno il funzionamento regolare di un innocuo film d’intrattenimento.
C’è qualcosa che funziona, e ci piace sottolinearlo e riportarlo in chiusa: un occhio attento, quello dei due registi, all’eccessivamente macabro che tende i tentacoli verso la sponda dell’osceno, pur non riuscendo ad arrivarci. Diversi i momenti riusciti su questo versante: la scena di letto tra due degli evasi che mescola bene erotismo, deformità e necrofilia in odore di citazione di Nekromantik, ferite e qualche omicidio, e un momento che vede per protagonista un’enorme carcassa animale all’interno di un pozza di fango e sterco. E’ qui che riconosciamo Bustillo e Maury!
Peccato non sia bastato per regalare a Leatherface la stessa empatica giovinezza che Zombie riuscì a dare a Michael Myers!
Luca Ruocco
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LEATHERFACE
Regia: Alexandre Bustillo, Julien Maury
Con: Lili Taylor, Stephen Dorff
Uscita in sala in Italia: giovedì 14 settembre 2017
Sceneggiatura: Seth M. Sherwood
Produzione: Christa Campbell, Lati Grobman, Carl Mazzocone, Les Weldon
Distribuzione: M2 Pictures
Anno: 2017
Durata: 98’