Correva l’anno 1980 quando un certo Ruggero Deodato si conquistò l’appellativo [da cui non riuscì più ad emanciparsi] di Moniseur Cannibal, firmando quel Cannibal Holocaust che si impose come un vero e proprio punto di non ritorno all’interno della cosiddetta cinematografia proibita.
E’ a partire da questo titolo che venne infatti coniato il termine cannibal-movies, ad indicare pellicole con ambientazioni tropicali dove la civiltà occidentale veniva a contatto con un universo selvaggio e primitivo, popolato da bestie feroci e, appunto, indigeni antropofagi. Nonostante l’opera di Deodato abbia sempre rappresentato [soprattutto tecnicamente] un qualcosa di monumentale e quasi inarrivabile per gli epigoni che ha generato, finì per stabilire una serie di codificazioni che si riscontreranno in tutti le pellicole di questo Genere, durato comunque per un periodo relativamente breve [all’incirca dalla fine dei Settanta a metà degli Ottanta].
Immagini ai limiti dello splatter, nudità [spesso condite con una scena di stupro] e agghiaccianti scene snuff con reali uccisioni di animali [tristemente celebre la testuggine gigante fatta a pezzi in Cannibal Holocaust] erano gli elementi cardine che il pubblico doveva aspettarsi da queste visioni. Come precursore del filone cannibalico andrebbe citato Il Paese Del Sesso Selvaggio di Umberto Lenzi [1972], che comunque si delineava per lo più come un prodotto all’insegna dell’intrattenimento avventuroso, con scene di violenza fugaci e piuttosto soft.
Lo stesso Lenzi si addentrò definitivamente nel Genere otto anni dopo con Mangiati Vivi!, in cui il tasso di shock era assai più elevato e il film poteva a tutti gli effetti inserirsi in questo filone.
Carta che ritentò l’anno successivo con Cannibal Ferox, firmando quello che è diventato un autentico must per tutti i fanatici dell’eccesso [sebbene il regista abbia quasi sempre dichiarato di non amare troppo questi suoi lavori]. Prendendo in parte le distanze dall’alone socialmente impegnato [e piuttosto furbetto] di Cannibal Holocaust, la pellicola si muove sui binari della pura e genuina exploitation, senza fronzoli e senza compromessi. La finta morale sui selvaggi resi ancora più brutali dalla violenza dell’uomo bianco è comunque presente, ma il tutto è appena abbozzato per lasciare spazio ad una sequela di violenze assortite [e qualche siparietto a sfondo sexy] che preludono il trucidissimo climax finale, in grado di appagare anche il più integralista tra i maniaci del gore.
La trama [da cui sembra aver attinto a piene mani Eli Roth per il suo deludente Green Inferno del 2013] è presto detta: una studentessa americana si reca in Amazzonia con il fratello e un’amica per dimostrare che il cannibalismo è solo un’invenzione del colonialismo bianco. Durante la spedizione si imbattono in due cercatori di smeraldi che hanno sadicamente torturato e ucciso alcuni indios del posto, scatenando la furia vendicativa degli altri. Massacro finale in cui ce n’è praticamente per tutti i gusti, con almeno due scene diventate cult: Giovanni Lombardi Radice [già evirato in precedenza] a cui viene divorato il cervello e, soprattutto, Zora Kerowa con dei ganci che le trafiggono i seni e la tengono sospesa nel vuoto. Le commissioni censura ci andarono giù pesante, epurando in alcuni casi la pellicola delle scene più atroci e arrivando a vietarne la distribuzione in più di trenta paesi. Al di là di questi aspetti, non si può negare al film un suo fascino nella messa in scena e un ritmo godibilissimo, nonostante un cast piuttosto fiacco. Da vedere obbligatoriamente nella versione uncut.
Lorenzo Paviano
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CANNIBAL FEROX
Regia: Umberto Lenzi
Con: John Morghen [Giovanni Lombardo Radice], Lorraine De Selle, Zora Kerowa, Robert Kerman, Danilo Mattei, Perry Pirkanen
Sceneggiatura: Umberto Lenzi
Produzione: Luciano Martino, Mino Loy
Distribuzione: Medusa Distribuzione
Anno: 1981
Durata: 93’ [versione censurata 86’]