Lazzaro è un giovane contadino. Non ha ancora vent’anni e sorride alla vita. Anzi, la sua bontà pura e spontanea lo fa a volte sembrare una persona stupida e ingenua, di cui è facile approfittare. Incapace di pensare male del prossimo, Lazzaro non può fare altro che credere negli esseri umani.
È la sua bontà che lo spinge ad approcciarsi al mondo in modo aperto e sereno, un modo che gli uomini da sempre ignorano.
Insieme ad un folto gruppo di contadini, una vera e propria comunità rurale fatta di uomini, donne, anziani e bambini, lavora al servizio della Marchesa Alfonsina de Luna, una nobile possidente ormai decaduta che continua a sfruttarli mantenendoli fuori dal tempo e dal mondo reale.
Lascia perplessi la scelta della giuria di Cannes di assegnare il premio per la miglior sceneggiatura a un film che ha forse proprio nella scrittura un punto debole o che comunque non assegna ad essa un’importanza principale, essendo per sua natura ondivago, quasi indeciso, fuori dagli schemi e in qualche modo fuori dal tempo.
Apparentemente sembra dover raccontare la vita di una comunità che si ritrova a vivere in una situazione assurda, poi quella di Lazzaro, poi quella di un’amicizia.
Apparentemente siamo di fronte a un film che affonda le radici in un tipo di cinema italiano che ha gli esempi più riconoscibili in Olmi e Pasolini, a tratti sembra ammiccare ad un flebile realismo magico e poi torna a raccontare in maniera “verista” non più la campagna, ma una metropoli contemporanea e indifferente.
La vera intenzione di fondo, come dichiarato dall’autrice, è quella da un lato di raccontare “il passaggio da un medioevo materiale a un medioevo umano” e dall’altro di raccontare un’amicizia.
Il film viaggia libero, sereno, rimanendo costante e a tratti fastidiosamente uguale a se stesso, un po’ come il suo protagonista, per tutta la durata.
Ma il vero problema è che Lazzaro Felice si inserisce in un filone di cinema d’essai che presenta sé stesso come arte con la A maiuscola, un cinema per pochi, come se raggiungere la massa fosse una colpa, una macchia da cancellare.
È un film che cerca ed esige dallo sguardo dello spettatore una purezza e una meraviglia fanciullesche come condizione primaria per poter entrare in contatto con quel mondo, con quei personaggi e le loro storie, che presenta i suoi contenuti come in un tema da scuola elementare [“raccontare la possibilità per gli uomini di essere buoni”].
È un tipo di cinema che si fregia del suo essere indispensabile, necessario addirittura, come se fosse un prete gentile e alla mano dal quale andare a confessarsi ed espiare la colpa per aver fatto troppe maratone di serie tv.
È un cinema che ha la presunzione di portare il cambiamento mettendo in mostra la sua unicità, come una gemma preziosa su una bancarella piena di gioielleria da quattro soldi, quando invece è un genere che ha gli stessi cliché di un film d’azione medio.
E c’è anche chi inneggia alla rinascita del cinema italiano, ad un capolavoro, quando invece si tratta del vecchio che si spaccia per nuovo.
Egidio Matinata
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LAZZARO FELICE
Regia: Alice Rohrwacher
Con: Adriano Tardiolo, Alba Rohrwacher, Luca Chikovani, Agnese Graziani, Sergi Lopez, Tommaso Ragno, Natalino Balasso, Nicoletta Braschi
Uscita in sala in Italia: giovedì 31 maggio 2018
Sceneggiatura: Alice Rohrwacher
Produzione: tempesta / Carlo Cresto-Dina, Rai Cinema, Amka Film Productions, Ad vitam production, KNM, Pola Pandora
Distribuzione: 01 Distribution
Anno: 2018
Durata: 125’