Al Teatro Sala Umberto dal 3 al 22 dicembre torna in scena quello che è conosciuto per essere stato nei lontani anni 80 il primo musical italiano: La piccola bottega degli orrori, testo made in USA del 1982 ispirato al film del 1960 Little shop of horror, da cui a sua volta è stato tratto l’omonimo remake del 1986.
Una storia così affascinante da essere stata affrontata in tutte le salse quella che vede protagonista il semplice fioraio Seymour [un Giampiero Ingrassia che torna a interpretarlo a trent’anni esatti dal suo debutto nel musical] alle prese con una pianta carnivora decisamente fuori dagli schemi [interpretata qui dalla splendida Vekma K, drag queen italiana di fama internazionale].
Per chi non conoscesse la trama: siamo negli anni ’60 e Seymour lavora nel negozio di fiori del signor Mushnik insieme ad Audrey, la sua giovane collega. Quando Mushnik decide di chiudere il negozio per la poca clientela, Audrey gli consiglia di esporre la strana piantina che possiede Seymour. La pianta attira nuovi clienti, ma presto si scoprirà che si nutre esclusivamente di sangue e corpi umani per vivere e crescere. Il povero Seymour si troverà di fronte a un dilemma: uccidere la gente per nutrire la pianta e diventare ricco e famoso oppure rimanere una nullità per il resto dei suoi giorni mantenendosi la coscienza pulita?
Gli attori in scena funzionano tutti, chi più chi meno: Giampiero Ingrassia è calato appieno nella parte nonostante la differenza d’età con l’originale Seymour, che è credibile proprio perché viene spesso sottolineata [“Il non-più giovane Seymour” cit.]; Belia Martin è bella e brava, interpreta un’insolita Audrey sudamericana carica di significato sociale, che porta sulla scena le spinose questioni di immigrazione e difficoltà di integrazione oltre alla tematica della violenza sulle donne; Fabio Canino, che nel ruolo dell’avido Mushnik si cimenta per la prima volta in un musical, deve competere con i suoi colleghi esperti del settore e ne esce un po’ sottotono e poco centrato nelle intenzioni, ma diamo lui comunque i meriti di aver saputo affrontare a testa alta un genere così complesso; efficace Emiliano Geppetti, nonostante corra troppo spesso il rischio di cadere nel macchiettistico è un bravo caratterista, l’unico in scena che interpreta più di un personaggio e lo sa fare con cognizione di causa. Menzione doverosa alle tre coriste Giovanna d’Angi, Stefania Fratepietro e Claudia Portale quasi sempre in scena per tutti i 140 minuti di spettacolo, che ci meravigliano con doti canore eccezionali e cambi d’abito degni della prima serata del Festival di Sanremo.
Il testo funziona, le battute [che ogni tanto purtroppo scivolano in una comicità da bagaglino] animano una sala generosissima e suscitano più volte applausi a scena aperta, le canzoni sono ben interpretate e non c’è nulla da eccepire sulla capacità musicale dei protagonisti.
Ahinoi, però, viene dato troppo poco spazio al vero talento sulla scena, Vekma K, purtroppo costretta da copione all’immobilità per quasi tre quarti dello show per poi essere liquidata in breve tempo nel rapidissimo secondo atto, tanto che si rimane a bocca asciutta di non esserselo goduti neanche lontanamente appieno quel talento canoro e recitativo. Vekma K ha una presenza scenica così importante da mettere gli altri attori in secondo piano anche quando è immobile, anche solo con un battito delle sue lunghissime e coloratissime ciglia finte: è magnetica, prorompente, entusiasmante e squisitamente kitch. È l’unica che incarna pienamente il vero spirito de La piccola bottega degli orrori, se solo la regia di Piero di Blasio ci avesse dato l’opportunità di vederla all’azione come più ci saremmo meritati [lei e noi].
Ed è proprio sulla regia che è doveroso soffermarsi, perché è qui che rintracciamo la nota dolente dello show. Assistiamo a uno spettacolo sicuramente godibile e divertente, ma che assomiglia più a un qualunque musical firmato Disney che a quello che dovrebbe essere La piccola bottega degli orrori. È evidente la volontà di imbonire il tutto, di renderlo più politicamente corretto, family friendly, spogliato di ogni caratteristica disturbante [se non per alcune rare e piacevoli eccezioni]. Le morti vengono liquidate con poco in un secondo atto che dovrebbe essere carico di significati e che invece è eccessivamente breve rispetto a un primo atto spesso ridondante; alcune volte vediamo la pianta nutrirsi dei personaggi a cui ci eravamo affezionati addirittura a porte chiuse [grazie a una scenografia che ci consente di entrare e uscire rapidamente dal negozio di Mushnik] senza permetterci di stare male e di immedesimarci nella frustrazione etica del povero Seymour. La pianta non assume fino in fondo la valenza malvagia che realmente la caratterizza e soprattutto non viene posto risalto sullo spessore psicologico della vicenda e sulla manipolazione che Seymour subisce da questa creatura mostruosa e aliena.
Ne esce fuori una piccola bottega degli orrori patinata, tirata a lucido da tutto il macabro e il creepy che la storia ha intrinseco in sé e che è la vera forza del testo e di ogni rappresentazione che ne consegue. La piccola bottega viene spogliata del genere e rivestita secondo l’etichetta per essere presentabile a una cena di Natale, a un pranzo in famiglia, a un ambiente che – a nostro modesto parere – proprio non le si addice.
Irene Scialanca
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Regia: Piero di Blasio
Cast: Giampiero Ingrassia, Fabio Canino, Belia Martin, Vekma K, Emiliano Geppetti, Giovanna d’Angi, Stefania Fratepietro, Claudia Portale
Drammaturgia: Testi e libretto di Howard Ashman, Musiche di Alan Menkel
Teatro e date: Teatro Sala Umberto [Roma], 3/22 dicembre 2019