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RUDI – La serie web: Intervista al regista Lillo Venezia

[Tutte le foto sono di Carlo Foschi]

La storia del cinema di Genere ha da sempre trovato proprio nella figura dello zombi una sorta di utile specchio deformante su cui riflettere le proprie storture, rendendole ancora più visibili e plateali.

E’ successo qualcosa di simile anche con altri mostri, ma con i morti viventi è successo molto di più e molto meglio. Con i living dead che, affrantisi grazie a George A. Romero dalle tradizioni popolari haitiane, diventano i ritornanti [è il caso di dirlo] di un lungo discorso fatto di cinema, incubi, analisi sociale e politica.

Di questi cadaveri viventi abbiamo esempi illustri anche in Italia e su più livelli, anche nel cinema indipendente. E ora fuoriesce dal loculo anche una webserie, Rudi, che ha per protagonista proprio un morto vivente perfettamente senziente e quasi piacevole alla vista, se non si bada troppo ai rivoli di sangue che, di tanto in tanto vengo giù da due bubboni che gli sporgono dalla fronte.

L’Apocalisse zombi di Rudi, però, prende una svolta differente rispetto a quelle che abbiamo già avuto modo di vedere n sala.

Ne parliamo con Lillo Venezia, regista che su InGenereCinema.com abbiamo già incontrato qualche anno fa per il suo lungometraggio Villa, e che di Rudi ha curato regia e sceneggiatura del secondo e del terzo episodio e ha firmato la co-regia del primo.

[Luca Ruocco]: Ciao Lillo.  Come sei entrato a far parte del progetto creato di Rudi?

[Lillo Venezia]: Ciao Luca, mi ha contattato il co-regista del primo episodio Piernicola Arena che collaborava già con il creatore di Rudi, Vincenzo Malara e mi ha chiesto se volevo far parte del progetto. L’idea in sé nasce dall’intuizione di Vincenzo di portare lo zombi fuori dai contesti classici. Come sai, sono un appassionato del Genere e, come puoi immaginare, quest’idea di vedere uno zombi provare dei sentimenti o essere anche alle prese con problemi quotidiani [come trovare un lavoro] ha subito solleticato la mia fantasia e ho accettato, praticamente a scatola chiusa.

[LR]: A livello di racconto, Rudi si focalizza sul momento subito successivo a quella che, in altri universi narrativi, potrebbe essere definita l’“apocalisse zombi”. Nella vostra serie, addirittura, l’umanità è riuscita in qualche modo a trovare una soluzione al morbo e a ipotizzare un reinserimento degli ex-infetti. Da regista e autore della serie, a cosa vi siete maggiormente ispirati durante la lavorazione? Gli spunti narrativi e registici che ti sono tornati più utili venivano dal cinema dei living dead o da altre fonti?

[LV]: Due energie sono confluite in questo progetto, quella di Vincenzo, legata a una narrazione drammatica e da sketch e la mia, frutto di una proposta di regia fedele a certi canoni di Genere con una venatura gotica. Dato l’imprinting iniziale di Rudi, di zombi diverso e perché no, simpatico, soprattutto grazie all’interpretazione fantozziana [inteso positivamente come complimento per l’attore] e empatica di Christian Terenziani, non ho voluto sfruttare suggestioni dirette del cinema dei living dead ma senz’altro alcuni degli stilemi degli autori di riferimento sono emersi inconsciamente, sia in scrittura che per la mise-en-scene.

[LR]: Rudi si muove su più fronti e su più livelli differenti: dall’intrattenimento al cinema con impegno sociale, dalla commedia al drammatico, passando per l’horror. Quanto è complicato e quanto soddisfacente a livello creativo, orchestrare un prodotto con così tanti fili da seguire e da far seguire?

[LV]: Credo sia stata la cosa più difficile. Da un lato serviva un’evoluzione orizzontale dei personaggi che non potevano rimanere, oltre l’episodio pilota, in quelle caratterizzazioni da sit-com a sviluppo verticale. Dall’altro, l’alternanza tra i vari registri [comico, grottesco, drammatico, d’azione, di genere, sociale etc.] doveva essere introdotta gradualmente per evitare uno scollamento tra i vari episodi ma fare evolvere le situazioni, sul piano narrativo e i personaggi, su quello emotivo. E’ stata, però, anche la sfida più bella in fase di scrittura ma soprattutto in fase di lavoro con gli attori. Christian, Marianna Folli, Giuseppe Sepe, Giulia Trivero, Donatella Allegro e Lino Guanciale formano un gruppo di interpreti molto eterogeneo. Con ognuno di loro ho impostato e, a volte negoziato, un metodo di lavoro ad hoc. Quindi, grazie a loro, ho imparato tantissimo.

E così ho capito come d’ora in avanti proverò a lavorare. Il risultato sarà una priorità ma sarà la seconda priorità, dopo il processo. I mezzi prima del fine. Davanti a tutto ci deve essere un gruppo di persone che sono a proprio agio mentre lavorano. Non possiamo fare film che criticano lo status quo o propongono una nuova idea di vita e di cinema, positiva, socialmente utile se poi, ipocritamente, poniamo in essere quel tipo di dinamiche sul set. Prima l’uomo, poi il regista, poi il film. L’elemento umano deve essere centrale e l’elemento umano nel prodotto filmico è l’attore perché ci mette la faccia anche non metaforicamente. L’esito naturale di questo mio modo di vedere il cinema corrisponde al primato dell’attore. Tutto il resto [inquadrature, fotografia, sound design, costumi, etc.] è volto alla valorizzazione della performance attoriale che è il veicolo dell’emozione. Se l’attore esce bene, l’emozione esce bene e arriva allo spettatore.

Sono stato molto fortunato perché i reparti interessati hanno lavorato a corroborare questo roller-coaster emozionale che volevo che Rudi divenisse nei due episodi.

La fotografia di Piernicola Arena ha colto sin dai nostri discorsi iniziali le atmosfere che volevo per Rudi e le ha tradotte, a mio avviso, in un look strepitoso. Appena ti trovi davanti a un cambio di scena, il feel del grading e dei tagli di luce coinvolge in un’attitudine di visone che volevo per vivere la storia in quel momento.

Riccardo Cucco e Christian Terenziani hanno elaborato una colonna sonora varia e dai tenori diversi, frutto di una discussione aperta che abbiamo mantenuto viva durante tutta la post.

I costumi coordinati da Annika Fontanazzi e dalle sorelle Vecchi hanno molto aiutato gli attori a calarsi nelle diverse situazioni.

Questo solo per citare alcuni e per ribadire ancora una volta che fare cinema, soprattutto indipendente, è uno sforzo collettivo [in particolare di chi è sul set] ma che va oltre lo sviluppo, la produzione e la post. Tutti offrono il loro tempo, dalla comparsa all’attore protagonista, dall’assistente alla regia al trucco, dal catering al critico che ti fa domande sul progetto finito, come tu in questo caso o come Mauro Glavina, la sera della premiere. Vi sento parte del progetto e di questo ho il massimo rispetto.

Ripeto, tutti sono importanti. Soprattutto in una produzione indipendente. Quando il budget è una risorsa rarefatta, la passione, il sacrificio, l’intuizione, il colpo di genio di qualcuno [che non per forza è il regista o il DOP] salva la baracca, in più occasioni. E’ il caso del nostro aiuto regia Eugenio Corsini o della nostra scenografa Nadia Righi, le cui proposte ci hanno veramente aiutato a “portare a casa la giornata”.

E c’è il talento. I trucchi di Erika Poltronieri e Michela Zitoli, sono dei veri Jackson Pollock trasposti su carne. Con il nostro sound designer Andrea Pasqualetti, poi, mi sono trovato subito in linea per il gusto horror condiviso nella totalità, posso dire che mi leggesse nel pensiero.

Scusa Luca, ma volevo chiudere il cerchio e so di non aver dato il giusto credito a tutti ma lo farò appena mi capita l’occasione.

 [LR]: E’ la prima volta che ti confronti con la serialità? Cosa puoi dirci di questa esperienza? Sei un buono spettatore di serie TV e web?

[LV]: Su durate un po’ più lunghe, è la prima volta. Ho fatto alcune cose “alimentari” più brevi che avevano carattere seriale. Spot, primariamente. L’esperienza di Rudi, di questo tipo di serialità mi ha posto di fronte alla necessità di trovare archi narrativi subordinati ma organici e integrati a un arco narrativo sovraordinato di cui sai l’inizio ma di cui spesso non conosci la fine. In parole più semplici, ho scritto la seconda e la terza puntata non sapendo se ci fosse una quarta puntata, una quinta o altre dieci oppure se Rudi potesse finire così con un finale aperto. Si tratta di avere in mente una serie di sviluppi narrativi possibili ma anche far sì che quello che stai girando stia in piedi anche da solo.

La serialità poi mi piace molto in quanto “divoratore di film” [come ci e si definiva Enzo Ungari]. Sì, per rispondere alla tua domanda, guardo molte serie e penso che, per alcuni versi, laddove il cinema ha iniziato a perdere slancio, alcune serie hanno colmato quella lacuna.

 [LR]: In Rudi parlate di “virus dell’emarginazione” e di “utopia dell’integrazione”, riferimenti che vanno dritti ad allacciarsi ad una realtà come quella Italiana [per voler rimanere nel nostro cortile] che è tra le più tristi degli ultimi anni. Penso che tra gli ingredienti di un buon horror, così come tra le prerogative di un regista o di un autore, debba esserci sempre l’intento di veicolare attraverso il Genere un messaggio rivolto alla società che, comunque sia, accoglierà quel film. Cosa pensi a riguardo? Come avete lavorato, in questo senso, su Rudi?

[LV]: La cosa che mi è piaciuta di Rudi, sin dall’idea originale di Vincenzo è che questa metafora zombi dell’integrazione fosse implicita e non arrogante. Non c’era una presa di posizione. Ne abbiamo parlato e ci siamo trovati d’accordo nel perseguire questa linea anche nello sviluppo oltre la puntata pilota. L’integrazione è uno dei temi cruciali per capire cosa non va nella società. Nel dibattito odierno, l’integrazione emerge come un problema di chi arriva da lontano [passami la semplificazione eufemistica ma la uso di proposito per mantenere una prospettiva neutrale sul tema] ma non è così. Un bambino che cambia scuola e si trova nuovi compagni di classe ha questo tipo di problema. Chi perde il lavoro e deve trovarne uno nuovo, ha questo tipo di problema. Chi scappa da una guerra e lascia la famiglia e i riferimenti culturali della sua terra, ha questo problema. Chi non corrisponde ai canoni di bellezza esasperati dai media ha questo problema. Chi è diverso ha questo problema.

Rudi l’abbiamo voluto smaccatamente diverso imbruttito e brandelloso in un mondo di belli e visi acqua e sapone. Non abbiamo voluto dare opinioni e tanto meno o risposte, abbiamo voluto porre delle domande. Come vi ponete nei confronti del diverso? Che grado di “diversità” siete disposti ad accettare? Vi adoperate per l’integrazione del diverso? E’ una posa, che usate per acquisire status o che vi fa dormire meglio la notte?

[LR]: La serie, finora, si ferma al terzo episodio, con un finale apertissimo. Dopo la proiezione in anteprima a Modena, quali sono i canali di distribuzione che avete pensato o già trovato per Rudi? Avete già un piano di produzione per proseguire la serie?

[LV]: La puntata pilota ha avuto un largo riscontro e questo ci ha portato a girare il secondo e il terzo episodio. Due piattaforme di streaming [una russa, l’altra americana] hanno chiesto di distribuirlo. Per quanto riguarda il futuro di Rudi, dopo avere lavorato, lacrime, sangue e nervi per due anni, c’è una sorta di tacito accordo con Vincenzo di prenderci un periodo per girare progetti disgiunti e fare conoscere il progetto Rudi ai Festival, prima della distribuzione sulle due piattaforme. Poi, a mente fresca, dopo aver raccolto altri feedback, se si trovano risorse, fare quello che abbiamo fatto dopo la puntata pilota, ovvero alzare ancora di più l’asticella e raccontare nuovi capitoli della storia di Rudi.

Per quanto riguarda specificamente l’anteprima a Modena, al Cinema Victoria, è andata molto bene e ci hanno chiesto di fare una “seconda anteprima” per la città che sarà al Cinema Astra il 12 dicembre alle ore 21.

[LR]: Dopo Villa, invece, quanto ti rivedremo al timone di un lungometraggio? Hai già progetti in lavorazione?

[LV]: Spero presto, Luca, come spero di venire a trovarvi a Roma. Ho il classico lungo sulla scrivania, non ce l’ho nel cassetto perché non ho cassetti a casa se non per l’asciugacapelli o il cibo in scatola. Prima però vorrei girare due corti indipendenti, non di Genere, in cui vorrei lavorare con certe attrici e certi attori [se lo vorranno] e mettere in pratica quel modo di lavorare di cui ti parlavo prima. Poi, a quel punto, procedere, sempre con loro e se qualcuno me ne darà la chance, con il lungo.

 

Luca Ruocco

Roma, dicembre 2019

InGenere Cinema