Ci sarà un motivo se da più di quattrocento anni continuiamo a mettere in scena le opere di William Shakespeare. Se non riusciamo proprio a liberarci da queste catene poetiche, da questo fardello immaginifico che ci impregna dalla nascita, che ce ne rendiamo conto oppure no.
I suoi temi sono i grandi temi dell’essere umano, la vita, la morte, il potere, l’amore [o ancora meglio, come dicevano i commedianti italiani del suo stesso tempo, il Potere dell’Amore e l’Amore per il Potere, suo doppio speculare] e le sue risposte le risposte universali che ci accomunano nella nostra cultura e formazione secolare.
Non sorprende quindi [anzi, per noi è sempre molto bello] andare a teatro nel 2020 e vedere un nuovo Shakespeare, attraverso la lettura della Tempesta operata dal maestro Roberto Andò. O per meglio dire, come è da subito evidente, un vecchio Shakespeare, che sfoggia una dichiarata aderenza al testo originale, praticamente integrale, costruendo una macchina scenica di quasi due ore e trenta.
“Macchina” è un termine decisamente appropriato anche guardando all’allestimento scenico, estremamente dettagliato e ricco di meccanismi visivi pensati per meravigliare lo spettatore, pur ricreando un ambiente povero, cadente, vecchio. La prima immagine che ci cattura, quella di una tenda/vela che sale al posto del sipario lasciando scrosciare dai suoi lembi una cascata d’acqua, ci immerge immediatamente all’interno della caverna di Prospero, umida e spoglia, il rifugio di fortuna di un viaggiatore e di sua figlia, arredato solo delle poche cose trovate fortuitamente e custodite dall’esilio, fra cui la quantità impressionante di libri, tesoro più prezioso del superbo e saggio uomo.
Ma sono proprio i libri a comunicare, insieme ad alcune suppellettili eleganti come lampade, sedie e uno scrittoio, il compunto senso di dignità ed eleganza cui il personaggio ci ha sempre abituati [e che l’interpretazione eccelsa di Renato Carpentieri restituisce pienamente, arricchita e impreziosita da una gestualità misurata eppure straordinariamente potente, che rapisce ad ogni sua battuta e movimento in scena]. Il fluido scorrere delle parole del Bardo è accompagnato e visivamente reso, poi, dalla massiccia presenza di acqua in tutto lo spettacolo, che evidentemente occupa tutta l’area scenica calpestabile, creando un tappeto cristallino, multiforme e sonoro, in cui i personaggi saltano, sguazzano, camminano, si specchiano, per tutto il tempo, costruendo riflessi guizzanti sulle pareti e riverberando suoni che rimbalzano sulle battute, rafforzandone il potere magico e fiabesco, e incarnando concretamente il mare tempestoso dei pensieri del nostro Prospero, in cui vengono tese le sue trame e i suoi orditi, fino alla liberazione finale, da cui il vecchio e stanco uomo [poiché ora è solo questo, senza il proprio libro e la propria bacchetta] finalmente può riemergere, scaricato dalle ombre e dalle agitazioni dell’animo, seppur provato dalla realizzazione della vecchiaia, dell’approssimarsi della fine. Della sua semplice, appunto, umanità.
Tuttavia, pur con una tale cornice vibrante di emozioni, lo spettacolo non riesce mai davvero a comunicarla questa grande magia, a darci realmente il senso della potenza mistica e mitologica del Mago Prospero, le cui imprese strabilianti devono essere affidate alla capacità evocativa di Carpentieri che, seppur notevole, sarebbe stata di certo favorita da una maggiore forza e dall’uso più oculato di macchinerie ed effetti, ad esempio, o anche solo di invenzioni sceniche mirate a solleticare il fanciullo interiore di ciascuno di noi. Soprattutto considerando il notevole apparato scenico messo in campo per lo spettacolo, che risulta onestamente un po’ sprecato; vediamo letti sorretti da funi che si alzano e si abbassano per mutare scena, vediamo tavoli che compaiono dall’alto per creare l’illusione della scena del banchetto fantasma offerto da Prospero ai naufraghi ospiti, certo. E tuttavia non percepiamo il fascino misterioso e teatrale, lo stupore della potenza mistica dell’isola e di Prospero, vera filigrana attraverso cui si dipana la vicenda di potere e vendetta del Duca di Milano.
In generale, troppi aspetti dell’opera rimangono decisamente troppo freddi, distaccati, come una bellissima vetrina, pulita e tirata a lucido, in cui riporre le sacre parole di Shakespeare per farle vibrare al meglio. Ma questo non è sufficiente a emozionarci, se non in alcuni passaggi dell’opera, in cui i versi sono troppo perfetti per non far risuonare le nostre corde interiori [come ad esempio il monologo finale di Prospero, quando un uomo stanco e malandato ricorda per l’ultima volta il proprio vigore perduto e ci rinuncia per sempre, pur negandoci il gesto forse più potente in tutta la produzione shakespeariana, quello della bacchetta spezzata, vero sforzo di volontà del mago, atteso fin dal primo roteare di quel legno sottile].
In questa freddezza, le interpretazioni più cariche, come quella del potentissimo Vincenzo Pirrotta/Caliban, o quella dell’ottimo Francesco Villano nei panni di Stefano, risultano decisamente troppo sopra le righe, non tanto per loro, quanto per il contesto che li circonda, creando cosi quasi l’impressione di voler loro stessi, con le loro voci e con i loro corpi grotteschi [aggettivo inteso in senso più che buono], rompere questo freddo schema cristallizzato e fin troppo pacifico; se la normalità non può essere frantumata dalla magia e dal sogno, che almeno lo facciano la follia, l’ebbrezza e il grottesco, appunto.
In conclusione, Shakespeare è sempre Shakespeare e, soprattutto quando si mette in campo una produzione notevole come quella del Teatro Biondo di Palermo e alcuni enormi talenti come quello di Carpentieri, ci pensa lui a fare il resto, anche se a volte dimentichiamo un po’ i suoi insegnamenti: inventare, creare, strabiliare, sulla scena come nella vita, anche con la più nuda semplicità e ingenua innocenza, purché il pubblico, meravigliato, venga mosso fin nel profondo dal vibrare delle immagini che abbiamo tessuto davanti ai suoi occhi.
Dopotutto, “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”. Dio salvi il Bardo.
Federico Moschetti
–
LA TEMPESTA
Regia: Roberto Andò
Cast: Renato Carpentieri, Giulia Andò , Filippo Luna, Vincenzo Pirrotta, Paolo Briguglia, Gianni Salvo, Paride Benassai, Francesco Villano
Drammaturgia: William Shakespeare
Traduzione: Nadia Fusini
Adattamento: Roberto Andò e Nadia Fusini
Teatro e date: Teatro Vascello, Roma – dal 10 al 19 gennaio