Prendete il cantante di una delle band pop più amate d’Italia. Chiedetegli quale sia la sua vera passione. La fiamma che illumina l’angolo più buio del suo cuore. Quante probabilità ci sarebbero che la risposta, quella fiamma, fosse il cinema dell’orrore? Quello più sanguigno e truculento?
Poche davvero. Ma se quel frontman fosse Federico Zampaglione la cosa non sorprenderebbe nessuno, anzi! Il leader dei Tiromancino non ha mai fatto segreto del suo amore per il cinema di Genere più nero e, dopo un esordio da regista con una commedia noir, non ha resistito al mettersi alla prova nel territorio a lui più congeniale firmando un horror mistery intelligente e riuscito come Shadow [2009] e un film-omaggio al giallo sanguinolento all’italiana con Tulpa – Perdizioni mortali [2013].
Poi un stop, la musica risucchia via il regista-cantante dal mondo dell’orrore. Un mondo forse osteggiato da parte dei suoi fan abituati all’abito Tiromancino e non al guanto nero e al coltello con cui si è bardato per ambire allo scettro di nuovo giocatore di punta dell’industria mainstream di Genere fantastico nostrana. Un’industria che, purtroppo, non esiste, latita. Zampaglione lo sa, ma il suo è un atto d’amore: da una parte per lui è come ritornare bambino e metter mano ad un giocattolo a cui ha sempre ambito, come non capirlo. Dall’altra ha probabilmente sperato di riuscire, grazie alla sua doppia vita artistica, a smuovere qualcosa di grosso all’interno di questo mondo incrinato da tempo.
Passano gli anni. Il mondo si trova calato dentro una realtà da film horror. Un ground zero che trova tutti impreparati: una pandemia che blocca l’intero pianeta in un lockdown da incubo. Ognuno cerca di reagire, di continuare a fare la propria parte. Lui, padre e artista, deve farne due di parti.
Zampaglione si ritrova, infatti, in casa con sua figlia Linda, la sua compagna Giglia Marra e un tablet. Da lontano, proprio da quella Cina da cui tutto questo strano momento reale sembra essere partito, un amico sceneggiatore [Gianluigi Perrone] gli offre un braccio.
Da padre, Zampaglione ha paura che la figlia si annoi presto di questa vita da reclusa e le propone di far qualcosa insieme: una storia… un video… perché non una storia di paura? Una di quelle che la spaventavano tanto, quando era più piccola? Il titolo è semplice e rispecchia l’animo del progetto: Bianca.
Il destino, si sa, è strano. Si diverte a intrecciare strani fili e da un piccolo gioco in famiglia durante un evento drammatico si può originare un piccolo caso.
L’amore per il cinema horror di Zampaglione si somma alle naturali abilità della figlia Linda e ad una storia semplice ma funzionale, che punta tanto su un twist finale che ribalta il punto di vista di carnefice e vittima. Questa volta il Tiromancino funziona: Federico riesce ad attirare la benevola attenzione dei fan della sua musica anche in questa nuova avventura thriller. Il cupo gioco di famiglia funziona e il corto girato fra quattro mura e con due attrici inizia a rimbalzare tra siti internet, quotidiani e TG.
Nel frattempo anche fuori da quelle quattro mura l’emergenza coronavirus si evolve. In Italia l’epidemia sembra prendere una piega positiva [nel senso buono], tanto da portare tutti verso una Fase 2 con più libertà e aperture.
Il team Zampaglione, ormai legato a filo doppio a questa esperienza extra-ordinaria, decide di coniugare una propria seconda fase. Un secondo cortometraggio sempre girato con un iPad, ma che alla crew di partenza aggiunge altri attori [Giulia Chermaz e Marco Chermaz, altri parenti del regista, e la partecipazione straordinaria di Claudia Gerini], una storia più strutturata [sempre scritta con Perrone] che aggiunge al thriller anche elementi horror [con qualche richiamo ai film horror giapponesi in stile The ring] e che lascia pregustare un twist finale ancor più grosso.
Bianca – Fase 2 porta il clan Zampaglione fuori dalla casa [che già si era dimostrato luogo per nulla sicuro]. La giovane protagonista e sua madre riprendono contatto con la realtà esterna, in un parco. Ma anche stavolta i mostri sono dietro l’angolo.
Come la volta precedente – ancor più della volta precedente – la prima cosa sicura è che non dovremo credere di aver afferrato con certezza l’oggettività del racconto in due parti.
La seconda è che l’amore non può essere coperto o messo da parte: se sei nato per l’horror, all’horror devi tornare. Anche solo per piacere o per divertimento. Anche dopo una pausa di riflessione o in un mondo che sembra più assurdo di un racconto di King.
Luca Ruocco