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GRETEL E HANSEL di Oz Perkins

Tra le timide uscite in sala di questa nuova stagione in convivenza con il coronavirus, un titolo dovrebbe attirare l’attenzione di tutti gli amici dell’horror e di InGenereCinema.com.

I motivi sono vari, a cominciare dal fatto che il film sarebbe dovuto sbarcare nelle sale già la scorsa primavera [quindi si tratto di uno di quei titoli che hanno preferito attendere piuttosto che provare lo sbocco in piattaforma]. In secondo luogo perché si tratta del terzo lavoro da regista di Oz Perkins, autore che rientra nella new wave dell’horror americano [i suoi film precedenti sono l’abbastanza piacevole February- L’innocenza del male e il poco convincente Sono la bella creatura che vive in questa casa, che trovate su Netflix], magari per ora un alfiere minore, ma pur sempre uno dei protagonisti di questa nuova e vivace scuola e qui alla sua opera migliore, finora. In ultimo perché questo film, Gretel e Hansel, è una fiaba nera, molto liberamente tratta dall’Hänsel e Gretel dei fratelli Grimm. C’è di buono, quindi, che si tratta di un horror dal funzionamento semplice, basico, che racconta per archetipi e solletica le paure primordiali con cui costruiamo da sempre i nostri fantasmi. C’è di ancora meglio che Perkins decide di declinare la fiaba in modo assolutamente personale, per avvicinarla a quello che è il focus della sua ricerca in chiave horror: il mistero e l’essenza stessa del femminile.

La storia dei Grimm, che solo negli ultimi anni aveva dato vita a un action-horror [Hansel & Gretel: Cacciatori di streghe di Tommy Wirkola, nel 2013] e a una commedia horror [Hansel e Gretel e la strega della foresta nera di Duane Journey, 2014], ritorna sul grande schermo nella sua forma più oscura, dark ed esoterica.

Lo spostamento del nome nel titolo, che fa precedere alla sorella Gretel quello del maschio Hansel, fa tutto parte del volere del regista di concentrare la sua ricerca e l’attenzione dello spettatore proprio sull’eterno femminino. Ne è la pistola fumante.

Nel film, poi. è la madre dei due fratelli a scacciarli di casa, vittima insalvabile di una forte crisi depressiva. E’ la sorella Gretel, la maggiore fra i due, a guidare il più piccolo nei boschi abitati da presenze oscure, onnipresenti fra gli alberi secolari, in un mondo che sembra aver dimenticato la presenza della razza umana, quasi da subito dopo il brusco abbandono della casa [il grembo] materna.

E’ sempre la giovane e adrogina Gretel, dopo aver ingoiato [e fatto ingoiare al fratello] un fungo velenoso, a introdurre Hansel nella casa della strega. Un’Alice nel Paese degli Orrori che poi inizia ad intessere proprio con la strega un rapporto stretto e proficuo di allieva-maestra, mostrandosi davvero ricettiva alle materie meravigliose e oscure di cui sembra carica quella “casa delle meraviglie”. Ed è sempre una donna, la strega, a offrire ai due una nuova casa [grembo], una nuova vita e a volerli forgiare nelle loro nuove forme di adulti.

La ragazza, all’ingresso della sua adolescenza che la farà mutare in donna [ma in un tipo di donna che rifiuta la maternità obbligata che il destino le aveva affidato, preferendo l’indipendenza della conoscenza], diventa subito un’antenna per captare le energie negative che riempiono quelle mura e caricano i banchetti di leccornie all’apparenza appetitose. Sempre la ragazza riesce a decodificare questi impulsi oscuri e a vedere attraverso il velo di illusione tirato su dalla strega, che tramuta anche lei stessa in un’inquietante ma apparentemente placida anziana dalle dita affusolate e nere come la notte.

Hansel, invece, non si accorge di nulla. Continua a pensare a riempire lo stomaco e a dimostrare una mascolinità ancora lontana dall’arrivare, recitando male la parte dell’abile taglialegna.

Gretel e Hansel vuole essere un horror d’autore. Ricerca contatti con i film di Robert Eggers [soprattutto The VVitch], per la descrizione di una vita contadina antica che non fotografa, volutamente, una ricostruzione realistica o storicizzata, preferendo una narrazione che vuole stonare per il sovraccarico di “non detto” e di sussurrato. Simboli [Alice/Gretel guarda per la prima volta nella casa della strega attraverso uno spioncino di forma triangolare e il suo occhio viene fotografato dal regista a formare il classico simbolo esoterico caro ad Aleister Crowley o agli Illuminati, e il triangolo che poi ritorna nella forma della casa stregata], atmosfere innaturali, ritmi dilatati, che si collegano anche al lavoro di Ari Aster [Hereditary e Midsommar], anche se rispetto a entrambi i suoi colleghi Perkins sembra voler essere molto più incasellabile e leggibile.

Il film è arricchito da un cast che brilla soprattutto per quanto riguarda  la scelta delle due donne protagoniste [la Sophia Lillis di It – Capitolo Uno e Alice Krige] e da una fotografia [firmata da Galo Olivares] affascinante e d’atmosfera, che ogni tanto [nel toni accesi di rosso e di blu] sembra voler andare a scomodare la storia per eccellenza di streghe, di passaggio e di crescita: il Suspiria di Argento.

Rimanda come un brutto sogno, ad un tipo di orrore intimo e liminale.

Luca Ruocco

GRETEL E HANSEL

Regia: Oz Perkins

Con: Sophia Lillis, Samuel Leakey, Alice Krige, Jessica De Gouw, Charles Babalola

Uscita in sala in Italia: mercoledì 19 agosto 2020

Sceneggiatura: Oz Perkins, Rob Hayes

Produzione: Orion Pictures, Automatik

Distribuzione: Midnight Factory

Anno: 2020

Durata: 87’

InGenere Cinema

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