La seconda giornate del festival ci vede al Cinema Astra situato al Lido di Venezia, un piccolo e delizioso cinema a due sale appena cinque minuti a piedi dalla fermata del vaporetto. Assistiamo alla proiezione di un documentario bellico e di un noir sudcoreano.
FINAL ACCOUNT di Luke Holland
Fin da bambini uomini e donne tedesche crescono circondati dall’ideologia nazionalsocialista che li porta a diventare membri delle SS, soldati della Wehrmacht, guardiani dei campi di concentramento e sopra ogni altra cosa, silenziosi testimoni civili. Miti e negazione colmano il vuoto auto creatosi per dimenticare gli efferati crimini contro l’umanità che hanno contribuito a creare. Ma quale è il momento in cui sono diventati complici di questa follia?
Scomparso a giugno 2020 a soli settantuno anni, Luke Holland presenta Fuori Concorso alla 77ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il documentario Final Account [2020], realizzato dopo dieci anni di inchiesta, raccoglie testimonianze di criminali di guerra nazisti e superstiti dell’Olocausto. Il film è dedicato alla memoria dei genitori assassinati assieme ai molti altri ebrei durante la Seconda Guerra mondiale.
“Ho ancora nel naso l’odore del forno crematorio”
Il regista utilizza immagini d’archivio provenienti dagli album privati dei nazisti intervistati dove notiamo come i loro volti innocenti da infanti ariani mostrino già un aspetto demoniaco.
Raccontano gli esordi nella Jungvolk, tra dieci e i quattordici anni e del successivo passaggio nella gioventù hitleriana, dove divertimento e gioco scompaiono prima di essere trasferiti nei rispettivi reparti di competenza. Indirettamente il film ci parla anche del cinema nazionalsocialista mostrandoci tutto il potere persuasivo delle immagine nei confronti del popolo tedesco.
Spettacolari filmati d’archivio ritraggono i roghi avvenuti durante la Notte dei cristalli in cui bruciano le sinagoghe ebraiche. I cuori degli spettatori bruciano con loro nel vedere queste immagini.
Le voci dei superstiti tagliano l’aria come tagliavano le loro daghe naziste. Molti di loro sdrammatizzano con risate isteriche ciò che raccontano, altri negano che sia accaduto tutto ciò affermando che la mancanza di prove documentarie impedisca la veridicità dei fatti. Pochi sono realmente pentiti, altri si rifugiano dietro il potere delle parole, lo stesso potere che ha permesso al nazionalsocialismo di prosperare indisturbato.
Un documentario d’inchiesta canonico ma necessario.
–
NIGHT IN PARADISE di Hoon-jung Park
Tae-gu lavora nell’organizzazione criminale di Mr. Yang, dalla quale è intenzionato a staccarsi per amore della sorella e della nipote, che finiscono vittime di un’inspiegabile incidente stradale. Vendicatosi della loro morte uccidendo il boss di una banda rivale, Tae-gu si rifugia da Kuto, un trafficante d’armi che vive con la nipote malata Jae-yeon sull’isola di Jeju. A sua insaputa la gang di Tae-gu viene sterminata, lasciandolo solo a combattere con la banda rivale in cerca di vendetta per l’attentato commesso ai danni del loro boss.
Hoon-jung Park, un regista sudcoreano conosciuto per aver scritto il fortunato film I Saw the Devil [2010] diretto da Kim Jee-woon, presenta Fuori Concorso il gangster movie, Night in Paradise [2020].
Un film d’autore nella forma ma commerciale nei contenuti. Cerca di rispettare i canoni tradizionali dell’action movie piuttosto che provare a sperimentare con essi creando nuovi linguaggi.
Il film pecca in sceneggiatura. La costruzione iniziale è frettolosa e sovrapposta, lo spettatore nella prima mezzora incontra troppi personaggi, a malapena accennati e alcuni mai più approfonditi.
Per un’ora abbondante non accade nulla finché non si scatena una sparatoria sull’isola di Jeju dove il regista decide di porre fine al personaggio di Kuto, il più interessante assieme a quello della nipote Jeon Yeo-been. Il film sarebbe stato molto più pungente se fosse stata lei la protagonista.
L’attore Uhm Tae-goo è statico e privo d’espressività, si limita a pose plastiche degne di un modello patinato. La storia d’amore tra i due, entrambi condannati a morte, ruba troppo tempo alla trama principale, che viene trascurata. La durata avrebbe avuto bisogno di una sceneggiatura più solida o di una mezzora in meno di minutaggio.
Giulio Golfieri [RATS]