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Mostra del Cinema di Venezia 2020 – Report #05

RUN HIDE FIGHT di Kyle Rankin

A poche settimane dal ballo di fine anno, Zoe si appresta a passare gli ultimi giorni del liceo con il solo pensiero di andarsene al college per cominciare una nuova vita, lasciandosi alle spalle i fantasmi del passato. A rovinare il clima giocoso sono quattro studenti armati, capitanati da Tristan, che prendono in ostaggio la scuola.

I soccorsi tardano ad arrivare, così Zoe, grazie alle tecniche di caccia insegnatele dal padre militare si mette sulle loro tracce per salvare i propri compagni, tra cui il suo migliore amico Lewis.

Regista di teen movie come Zombies in Love [2015] di dubbia riuscita, l’americano Kyle Rankin porta Fuori Concorso il suo lungometraggio più riuscito. Run Hide Fight [2020], un action drama incentrato su un massacro scolastico.

Tutto è visibile, tutto deve essere trasmesso e visto. Il narcisismo è consueto nella mente dei serial killer che devono dimostrare come il sistema americano possa essere messo in ginocchio dalla sua stessa burocrazia. Quando viene annunciato il lockdown, gli insegnanti seguono il protocollo di emergenza, alcuni senza nemmeno conoscerne le fasi.

Chiudono porte e finestre e si barricano nelle aule in attesa dell’arrivo dei soccorsi trasformando le classi in delle vere e proprie gabbie senza uscita. A proteggere i corridoi, una guardia sovrappeso senza il porto d’armi. Un’ attenzione particolare va data ai suoni. I suoni sono fondamentali in questo film che utilizza una partitura sonora per ritmare l’azione e la tensione.

Epica la fuga di Zoe dalla mensa e lo scontro con una dei killer all’interno della caffetteria piena di palloncini colorati. Il suo personaggio non apporta nulla di nuovo a quello delle altre final girl viste sullo schermo in questi anni, ma la costruzione drammaturgica degli eventi merita la visione del film.

NUEVO ORDEN di Michel Franco

In una prestigiosa villa si festeggiano le nozze di una facoltosa giovane coppia, quando un ex dipendente della famiglia si presenta a chiedere un aiuto economico per far operare urgentemente la moglie. Rolando viene trattato come un pezzente da tutta la famiglia tranne dalla sposina Marienne che decide di aiutarlo. Durante gli scontri urbani, i manifestanti irrompono nella villa derubando gli invitati e rapendo Marienne che viene sequestrata e torturata.

Michel Franco è un regista messicano vincitore per ben tre volte con tre lungometraggi diversi al Festival del Cinema di Cannes. Gareggia in Concorso alla 77’ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con il film Nuevo Orden [2020].

Un film piatto con una trama talmente banale da essere inesistente.

Il povero umiliato si ribella al ricco, lo deruba e diviene il nuovo ricco. Non esiste suspense, non esiste attesa e non vi è traccia di tensione. Le umiliazioni e le torture ai danni dei sequestrati sono a malapena accennate e prive di potenza emotiva. Il tutto viene diretto e fotografato con una regia televisiva.

Ci sono persone che si sono pure sentite male dopo la visione di questo film che non dovrebbe essere proiettato nemmeno in un festival di genere.

I PREDATORI di Pietro Castellitto

Federico Pavone è un dottorando di filosofia con la fissazione per Nietzsche, figlio di un chirurgo e di una regista cinematografica. Claudio Vismara gestisce assieme al fratello un’armeria di famiglia di proprietà dello zio Flavio, un malavitoso romano.

Quando Federico viene escluso dal team operativo per la riesumazione della salma del filosofo contatta Claudio per comprare una bomba. Insoddisfatti della propria vita si ritrovano ad aver bisogno l’uno dell’altro, ma quando le cose si complicano Claudio viene messo di fronte a una scelta.

Figlio dell’attore Sergio Castellitto e della scrittrice Margaret Mazzantini, Pietro Castellitto esordisce come attore in giovane età in un film diretto dal padre. Dopo una serie di piccoli ruoli dirige il suo primo film da regista I predatori [2020], aggiudicandosi il Premio Orizzonti per la Miglior Sceneggiatura.

“È più facile fa il buono.”

“Daje” è il coro che echeggia nell’aria in sala Darsena quando entra Pietro Castellitto seguito dalla sua mandria di attori. Campi lunghi, paesaggi, vento, uno scoppio potente aprono il film.

La camera segue la schiena di una serie di persone per poi concentrarsi su Daniele [Vinicio Marchioni] intento a circuire una povera anziana rifilandole un orologio falso.

Castellitto ci presenta un primo nucleo di personaggi in diverse situazioni: uno studente di filosofia, due medici, una regista cinematografica. In un secondo momento ci presenta una famiglia ciociara con tanto di busto di Mussolini e gladio romano in soggiorno. Una commedia surreale, un’opera prima sui generis, molto difficile da giudicare a una prima visione. Ci sono due stili distinti di regia e di scrittura.

La famiglia ciociara viene descritta con realismo e umanità, la famiglia pariolina, invece, è troppo sopra le righe, come la consueta recitazione tra le nuvole dello stesso Castellitto. Ottimo l’utilizzo di volti nuovi sul grande schermo, anche se in contrasto poi con la scelta di utilizzare Massimo Popolizio e Vinicio Marchioni. Il film si perde un po’ nei troppi personaggi, senza tenere un vero protagonista fino al fatidico incontro tra il padre ciociaro [Giorgio Montanini] e il figlio pariolino [Pietro Castellitto] verso la fine del film.

Finale troppo pomposo e surreale da sembrare una versione alternativa al finale vero e meraviglioso che invece ci viene proposto poco prima, con la coppia ciociara che si guarda attraverso la barriera in plexiglass del carcere in lacrime. Castellitto confeziona un film a metà tra realismo e surrealismo, con un’ironia insolita per il cinema italiano ma probabilmente utile in questo periodo di ripartenza.

Considerando la giovane età e le agevolazioni del caso, è un evento raro per il cinema italiano vedere un esordio del genere a ventinove anni.

Giulio Golfieri [RATS]

InGenere Cinema

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