FIORI, FIORI, FIORI! di Luca Guadagnino
Il regista italiano Luca Guadagnino, in lizza per il Leone D’oro con Suspiria [2018], ritorna Fuori Concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con il documentario Salvatore – Shoemaker Of Dreams [2020] e con il cortometraggio Fiori, Fiori, Fiori! [2020].
Luca Guadagnino approfitta della fine del lockdown per tornare in Sicilia, nel paese di origine del padre per ritrovare amici e ricordi della sua infanzia, interrogandoli su come abbiano passato questa pandemia.
“Da qui c’è il profumo della mia infanzia”
Munito di iPad e telefono cellulare, Guadagnino realizza un cortometraggio dedicato alla memoria e al ricordo della sua giovinezza passata in Sicilia.
Sono degli appunti visivi per un film piuttosto che un’opera a sé.
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SALVATORE – SHOEMAKER OF DREAMS di Luca Guadagnino
Salvatore Ferragamo [1898-1960], calzolaio e imprenditore italiano di Bonito, un piccolo paese della Sicilia, migrato poi in America in cerca di fortuna a Santa Barbera divenendo in breve tempo il calzolaio dell’epoca d’oro del cinema. Negli anni cinquanta il suo show-room di Firenze diventa meta per star internazionali e reali di tutto il mondo per ordinare calzature su misura. Dopo la sua morte, la moglie Wanda e i sei figli prendono in mano l’azienda portando avanti la qualità e l’inventiva del marchio Ferragamo.
“Amo i piedi, loro mi parlano”
Il documentario si apre con l’iter processuale per la creazione della famosa Vatica 2, la scarpa divenuta iconica grazie alla sua indossatrice, Marilyn Monroe. Il film mostra il rapporto tra il cinema e l’arte di Ferragamo, ripercorrendo l’evoluzione dell’epoca d’oro di Hollywood fino ai giorni nostri.
La storia di Salvatore Ferragamo è parallela a quella del regista Luca Guadagnino, costretto ad abbandonare l’Italia per essere riconosciuto come gran maestro del cinema italiano.
Per quanto interessante sia la storia, 120 minuti risultano davvero troppi, mezzora in meno avrebbe giovato alla pellicola, costruita canonicamente con materiali d’archivio e semplici interviste.
La colonna sonora del film, come per tutta la filmografia di Guadagnino, rimane impressa nella mente dello spettatore.
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THE MAN WHO SOLD HIS SKIN di Kaouther Ben Hania
Sam Ali, fuggito dalla guerra di Siria, lavora in una macelleria industriale a Beirut. Durante l’inaugurazione di una mostra d’arte incontra l’artista Jeffrey Godefroi che lo trasforma in un’opera d’arte vivente facendogli ottenere il visto Schengen per poter girare liberamente in Europa e ricongiungersi così con la fidanzata Abeer, sposata con un altro uomo. Da questo momento la vita di Sam cambia radicalmente.
Kaouther Ben Hania è una regista tunisina conosciuta al pubblico per il film La bella e le bestie [2017], in lizza ai Premi Oscar 2019 nella categoria miglior film straniero. Quest’anno presenta nella sezione Orizzonti della 77ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il lungometraggio The Man Who Sold His Skin [2020], un film drammatico ispirato al fatto realmente accaduto a Tim Steiner divenuto tela umana per l’artista belga Wim Delvoye la cui ricerca sull’epidermide inizia nel 1997 quando si mise a tatuare la pelle di alcuni maiali.
La libertà ha un prezzo e il film ci mostra come è facile diventare proprietà altrui quando non si hanno più vie d’uscita nella vita.
Sam Ali [Yahya Mahayni] in cerca di un visto per l’Europa, riacquista la sua libertà nel mondo e la possibilità di viaggiare diventando un’opera d’arte vivente per un artista belga. Dorme in lussuose stanze d’albergo, mangia qualunque cosa voglia ma non ha più una vita privata. Persino il guardia-sala impartisce ordini all’uomo e lo riprende facendolo tornare alla sua postazione. L’uomo è un oggetto nelle mani del mercato che deve tutelare il suo investimento. Quando sulla sua schiena compaiono dei brufoli che minacciano l’integrità dell’opera, l’artista è costretto a mettere Sam in restauro.
Nel cast figura anche Monica Bellucci nel ruolo della gallerista Soraya Waldy, purtroppo la sua recitazione in lingua inglese la rende assai simile a un automa privo di emozioni.
Il regista regala al pubblico un finale ruffiano, che non rispecchia l’andamento del film, cattivo e malinconico.
Giulio Golfieri [RATS]