Yeon Sang-Ho torna a incantare l’Italia con il sequel del suo precedente film Train to Busan [2016]. Peninsula chiude infatti la trilogia zombie iniziata con il prequel animato Seoul Station [2017].
La Korea del Sud è in quarantena. Nessuno entra e nessuno esce. Jeong-seok e suo cognato vengono incaricati da un gruppo malavitoso cinese di recuperare un camion di dollari americani situato all’interno della penisola coreana.
Giunti a terra cadono nell’imboscata dell’Unità 631, un gruppo di sopravvissuti senza legge. A salvare Jeong-seok è una coppia di bambine ribelli che vivono assieme alla madre e al nonno aspettando il momento propizio per andarsene dall’isola. Un uomo e una donna chiedono ai passanti di portare in salvo la figlia dalla penisola, ma nessuno ha intenzione di fermarsi, nemmeno Jeong-seok [Gang Dong-won] un sergente intento a portare in salvo la propria famiglia. Navi americane dirette in Giappone salpano dalla Korea del Sud portando in salvo più civili possibili.
Tra gli sfollati un uomo si trasforma in zombi scatenando il panico a bordo. La sorella del militare si suicida tenendo tra le proprie braccia il figlio infetto, accompagnandolo poeticamente nell’aldilà. Il regista termina il prologo con la morte di un innocente bambino. Passano quattro anni dalla diffusione del virus e nessuno è più entrato o uscito dalla penisola coreana. I nostri due protagonisti, unici sopravvissuti al massacro iniziale, vivono nella miseria e sotto il continuo pregiudizio della popolazione di Hong Kong. Desiderosi di riscattare il loro status sociale, accettano la missione suicida recandosi in Korea.
Fino a qui ci sono tutte le premesse per un gran sequel, a cominciare dall’idea alla base del film. Peccato che giunti sulla penisola il film inizi vertiginosamente a calare di qualità. L’orario notturno in cui il regista ambienta il recupero del camion ha una luce piatta e palesemente artificiale. La luce così chiara è inverosimile rispetto all’illuminazione drammaturgia fornita dalla luna. Si percepisce troppo l’utilizzo del green screen alle spalle dei nostri protagonisti, che si aggirano per le rovine della città come se si trovassero in uno studio cinematografico.
Quando cadono in un’imboscata per mano dei sopravvissuti ribelli, i due vengono attaccati da orde di zombi realizzati in digitale. A salvare le loro vite sono due bambine, le stesse bambine che quattro anni prima il sergente ha abbandonato sull’isola. Una sequenza che non ha nulla da invidiare al peggiore Fast and Furious. La CGI si impossessa della scena, e per quanto siano ben strutturati gli inseguimenti, la nostra attenzione non riesce a staccarsi dalla pessima manifattura della stessa.
Intanto, un gruppo di sopravvissuti prende il cognato [Kim Do-yoon] in ostaggio trasformandolo in una sorta di gladiatore all’interno di un’arena. Gli spettatori scommettono e si divertono mentre gli schiavi sono costretti a sopravvivere all’interno di un’arena inseguiti dagli zombi. Una rivisitazione di purgatorio, inferno e paradiso. Gli schiavi attendono l’inizio dei giochi rinchiusi in gabbia senza avere piena coscienza dello scorrere del tempo. Una volta liberati nell’arena per combattere contro i morti, hanno una sola via di salvezza, una scala mobile fuori uso.
La storia segue tre punti di vista distinti: il militare, il cognato imprigionato e il capo dei ribelli [Gyo-hwan Koo] tutti desiderosi di abbandonare al più presto la penisola.
Il film intrattiene molto ma non riesce a coinvolgere lo spettatore come il suo predecessore, Train to Busan [2016], anche se ha ugualmente in scrittura delle trovate particolarmente originali.
Giulio Golfieri [RATS]
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PENINSULA
Regia: Yeon Sang-Ho
Con: Gang Dong-Won, Lee Jung-Hyun, Kwon Hae-Hyo
Sceneggiatura: Park Joo-Suk, Yeon Sang-Ho
Produzione: Redpeter Films
Distribuzione: Tucker Film
Anno: 2020
Durata: 115’