Tra ultime le sorprese editoriali di fine 2020, rientra certamente Droni e altre maledizioni, di Elena Sartori, edito da Porto Seguro Editore.
Abbiamo avuto modo di imbatterci, prima di Droni e altre maledizioni, in Brani dalla Russia, edito nel 2016 da Aurora edizioni. Brani dalla Russia è un libro che si compone di quattro storie ambientate, appunto, in Russia, e in ciascuna delle quali Sartori dimostra tutta la sua vivacità linguistica, unita ad una sensibilità che si percepisce già dal primo racconto, “I tre gradini”, e ad un ricorso alla fantasia e alla immaginazione. Viene spontaneo entrare subito nei mondi, paralleli e non, raccontati da Sartori, in particolare nel suo ultimo libro: Droni e altre maledizioni.
Si tratta di otto racconti, legati tutti al rapporto tra noi, persone, e la tecnologia. La tecnologia non è intesa banalmente come l’approccio con internet e le sue derivazioni, ma come un mondo in cui tutto ciò che viene creato è prodotto appositamente per fornire dei vantaggi e dei benefici all’essere umano, in tutti gli ambiti della vita quotidiana, trasformando la società moderna e ridefinendo le relazioni personali.
In questo volume i personaggi sperimentano la tecnologia, ognuno a suo modo, con le proprie debolezze e certezze, attuando consapevolmente o inconsapevolmente un legame tra psicologia e tecnologia, in cui la seconda arriva a costituire una terapia nei confronti della quale i protagonisti si pongono in maniera diversa, e in cui il sogno, il senso di straniamento, la malinconia per il tempo andato, e il presente ordinario, hanno la loro influenza.
I protagonisti non sono solo esseri umani, abbiamo infatti a che fare con elaborazioni dell’intelligenza artificiale, con droni impazziti a regolare le situazioni, app che regolano i ritmi della vita, creando abitudini nuove, non sempre positive.
Da segnalare la particolarità della copertina, che rappresenta un ottovolante sospeso nel cielo con i sedili occupati da adulti che si muovono intorno alla base.
Davvero un libro coinvolgente, bizzarro, divertente e originale, merito di una scrittrice che non ha nulla da dimostrare.
–
Il genere horror, cinematografico e letterario, ha reso protagonista più e più volte il lupo. Il lupo mannaro o l’uomo lupo hanno infatti riempito pagine e pellicole.
Simbolo della paura, della violenza e della crudeltà, il lupo è stato protagonista anche del capitolo XXI dei Fioretti di San Francesco, che, come tutti ricorderemo, racconta l’incontro di San Francesco con il lupo a Gubbio, uno degli episodi più famosi della storia del santo più amato d’Italia.
Pietro Maranesi, sacerdote cappuccino, analizza questo capitolo, mettendo in luce tutti i punti dell’incontro tra il santo e il lupo, nel suo ultimo libro Francesco e il lupo. Strategie politiche per una società inclusiva, edito da Aboca.
Il racconto narra che tutti gli eugubini fossero terrorizzati dalla presenza di un lupo che divorava animali minando le loro stesse vite, tanto da uscire solo se necessario e armati, terrorizzati nello spirito. San Francesco, a conoscenza della situazione di terrore provata da tutti gli abitanti, decise di affrontare in prima persona il lupo, senza armi né trappole per sconfiggerlo, ma ponendosi di fronte a lui come un umile uomo desideroso di creare con l’animale una relazione, facendo da mediatore tra gli eugubini e il lupo. Fatto il segno della croce, e una volta avvistato il lupo, la prima azione del santo fu quella di elevare la mano in risposta al tentativo del lupo di aggredirlo, senza scappare, e guardarlo negli occhi, creando così una prima relazione. È questa la prima fase della creazione di un rapporto, in cui nessuna delle due parti prevarica sull’altra, aprendo una porta al dialogo, al rispetto reciproco e all’incontro. Alle parole di Santo Francesco al lupo, in cui ribadiva la sua crudeltà e la responsabilità per le morti e il terrore causato, seguì un patto, in cui i cittadini di Gubbio confermavano l’impegno a sfamare il lupo, in cambio del suo rispetto e della sua mitezza.
Maranesi esegue una analisi molto intelligente e che offre diversi spunti di riflessioni su questo brano. Partendo dalle mura di Gubbio, segno di distinzione tra il dentro e il fuori, a simboleggiare la diversità tra inclusi (i residenti) e gli esclusi (i non accettati nella comunità sociale, in cui sono compresi i forestieri, i malati, i poveri, e tutte le persone intorno alle quali si costruiscono milioni di pregiudizi), l’autore raggiunge pensieri più vasti come quello delle tensioni sociali e del sogno di creare una società inclusiva, a vantaggio di tutti.
Il Santo costruisce le basi per realizzare un ponte comunicativo con il lupo, ergendosi non da arbitro, ma da intermediario che costruisce relazioni senza limiti o muri, ma anzi, azzerando ogni differenza e facendo tesoro proprio della diversità del lupo. Maranesi sottolinea come, dovendo ragionare politicamente al racconto, San Francesco abbia stipulato con l’animale una sorta di contratto, in cui ognuna delle due parti promette il proprio impegno, pena la mancanza della sicurezza personale e sociale.
Il confronto con l’altro, quindi, si trasforma in un arricchimento personale prima e collettivo poi, che il santo mette già in pratica rivolgendosi a lui appellandolo come fratello, e ricevendo primi atti di affetto e riconoscenza.
E allora, in questi tempi così critici, in cui la politica sfrutta a suo modo, quando più è conveniente, il tema dell’immigrazione, dell’emarginazione, dei diritti umani, del contrasto alla criminalità, la lettura di questo libro non può lasciare indifferente il lettore, a cui Maranesi dimostra come il mondo si sia evoluto, certo, ma non sia mai veramente cambiato.
Gilda Signoretti