Quando nell’ormai lontano 2016 il primo montaggio di Suicide Squad fu considerato troppo cupo e l’intero film fu rimontano per avvicinarsi al nuovo gusto del pubblico – plasmato ormai dalla rivale della Warner e DC, la Marvel Studios. Quel che ne uscì non fu proprio il migliore dei risultati, considerando le critiche negative che il film ricevette. Da allora, però, la Warner non sembra aver esattamente imparato la lezione, alternando film insostenibilmente noiosi con comicità spicciola. Ma, solitamente, le due cose sono state tenute ben separate, soprattutto considerando che la leggerezza che anima i prodotti dell’altra concorrente quasi mai si adattano al grigio mondo creato dalla DC Comics.
Quello che, purtroppo, si è tentato di fare con Wonder Woman 1984 è stato cercare un certo equilibrio nei due modus operandi, cercando di mantenere intatto l’universo di Diana Prince con un ritmo più scanzonato; mai idea è stata più infelice.
Patty Jenkins torna alla regia della saga – che ormai possiamo definire tale, essendo stato confermato anche il terzo capitolo – spostando in avanti di un bel po’ l’ambientazione del film. Come suggerisce il titolo, siamo nel 1984 e Diana lavora allo Smithsonian come ricercatrice; la sua vita ruota esclusivamente attorno a quello e alla sua altra attività, essere la paladina della giustizia, sventando anche quelle che, se fossimo nell’universo di Spider-Man, potremmo definire scaramucce di quartiere, come rapine e simili.
Tuttavia una di queste porta alla luce un losco traffico di antichità e tutto il materiale finisce proprio al museo per essere catalogato da una sua collega. Tra queste viene rinvenuto anche un cristallo che sembra avere il potere di esaudire ogni desiderio; inutile dire che in molti approfitteranno del potere del manufatto, non consapevoli che a volte i desideri richiedono una moneta di scambio per essere esauditi. Sarà proprio questo ad innescare una terribile catena di eventi che rischia di mettere fine all’umanità intera.
Che sia colpa dell’ambientazione o della volontà della Warner – come anticipato – di alleggerire un po’ la scrittura dei propri lavori tratti dai fumetti DC, il film tenta di unire, senza riuscirci, la pesantissima tematica del do ut des capace di distruggere una civiltà con scene che dovrebbero far ridere ma non ci riescono nemmeno per un secondo. Ci riferiamo, in particolare, alla parte in cui un disorientato Steve [Chris Pine] – tornato in vita come tutte le notizie sul film avevano già accertato – deve trovare dei vestiti adatti all’epoca nella quale è stato catapultato; questo darà inizio alla classica sequenza da commedia di serie B anni ’90 in cui una carrellata propone diversi outfit in quella che dovrebbe essere una scena comica.
Un’altra enorme pecca risiede, poi, nella parabola femminista che aveva alimentato il primo film e non si è esaurita nel 2017, quando Wonder Woman approdava nelle sale per la prima volta; anche in questo caso la retorica ritorna. Gli sceneggiatori – Patty Jenkins, Geoff Johns e David Callaham – propongono qui non uno ma ben due antagonisti; mentre il primo, interpretato da un Pedro Pascal davvero sottotono e macchiettistico, è l’emblema dell’ingordigia, dell’uomo che desidera sempre di più a discapito di chiunque abbia intorno, l’altro antagonista è una donna, aumentando così la quota rosa all’interno del film. Barbara [Kristen Wiig], questo il nome della seconda villain, viene presentata con più clemenza, come una vittima degli eventi; siamo di fronte ad una donna che sogna di essere qualcosa di più e che finirà con l’essere schiacciata dai suoi stessi desideri, portandoci a provare più compassione per lei che il classico odio che lo spettatore di solito nutre per il cattivo.
Tutto questo enorme mischione di idee e prese di posizione, che per le prime due ore del film risulterà solo noioso, porterà ad un finale tra i più pacchiani e grotteschi mai visti; senza dare troppe anticipazioni sul film, si può dire che in uno dei combattimenti finali sembra di assistere ad una pessima rappresentazione di serie Zeta del musical Cats, mentre nell’altro, altrettanto confuso – tanto da mettere in discussione l’attenzione stessa dello spettatore – è così grottesco da provocare genuine risate per i motivi sbagliati.
Nonostante, insomma, gli ottimi propositi della regista – che consistono nel dare corpo ad uno dei personaggi DC tra i più interessanti e, soprattutto, femminili – la sceneggiatura intera risulta decisamente poco messo a fuoco e di una noia mortale; per pochi momenti di sincere scazzozzate vecchio stile, capaci di tenere su l’attenzione, si è costretti a tenere gli occhi aperti per oltre due ore e mezza, assistendo a dialoghi fragili, comicità davvero spicciola e momenti che possono indurre al coma più profondo.
Poco da dire, inoltre, sull’aspetto più tecnico del film; la regia è in pieno stile cinecomics classico, escludendo dunque l’ottimo lavoro portato avanti da Phillips con Joker [ormai considerabile come un’anomalia per il reparto DC della Warner]. La fotografia, inoltre, è a volte quasi sovraesposta dando una luce innaturale ad un universo – quello della DC – che, per antonomasia, è oscuro.
Per quanto riguarda gli effetti speciali si può dire ben poco; come anticipato una delle battaglie finali è piuttosto pacchiana, mentre il resto del film viaggia su dei binari discreti, sfiorando appena la sufficienza.
La speranza è, a questo punto, che la Jenkins possa tornare sul terzo capitolo con più consapevolezza di quanta ne abbia dimostrata in questi due film e che possa aggiustare il tiro, perché la saga – per essere salvata – ne ha davvero bisogno.
Claudia Anania
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WONDER WOMAN 1984
Regia: Patty Jenkins
Con: Gal Gadot, Pedro Pascal, Kristen Wiig, Chris Pine
Uscita in Italia su piattaforme streaming: venerdì 12 febbraio 2021
Sceneggiatura: Patty Jenkins, Geoff Johns e David Callaham
Produzione: DC Entertainment, Warner Bros.
Distribuzione: Warner Bros.
Anno: 2021
Durata: 151’