Amici dell’Horror, anche noi siamo stati giovani. E in un modo o nell’altro ci siamo avvicinati [o siamo stati avvicinati] al mondo del Fantastico. Ricordate come è avvenuto per voi?
Proprio ai più giovani e ai futuri amici di InGenere Cinema [ma anche i più maturi come chi scrive potranno trovare la lettura davvero piacevole!] han pensato gli amici de Il Castoro con Il mio gatto si chiama Odino.
Si tratta del romanzo di apertura di una giovane e fresca saga che si propone come rilettura dell’Epica con la “E” maiuscola [ma pensata per i minuscoli], ideata e scritta da Francesco Bedini e illustrata dal maestro Stefano Tambellini [che chi frequenta la nostra Gazzetta del Fantastico conoscerà di certo, in quanto autore del logo e della testata fin dal nostro esordio online nel 2010 e – ovviamente – anche di quella attuale con il nostro bellissimo Nosferatu].
Il mio gatto si chiama Odino ripesca e rielabora la mitologia norrena, raccontando l’epico e tragico scontro del Ragnarok attraverso la storia di due fratellini, dei loro giovani amici e di un gatto con un occhio solo, che altri non è se non una reincarnazione del vero Odino, il Dio della guerra e della poesia.
Capitato non per caso nella vita dei due giovani protagonisti, il gatto divino cercherà di guidare – devo dire in modo squisitamente felino – il gruppo di prescelti attraverso le varie fasi del Ragnarok, rivisitate in chiave giovanil-gattesca, portando ognuno di loro a crescere e ad affrontare le proprie debolezze, che all’approssimarsi della Fine del Mondo [o della totale inconsapevolezza dell’infanzia] prendono corpo e artigli e si fanno più che mai spaventose.
Tambellini firma la bella cover e davvero tante illustrazioni interne, che vanno dai capoversi che ritraggono i personaggi dell’avventura, alle illustrazioni a tutta pagina [anche queste in scala di grigio, belle sì, ma che sicuramente avrebbero meritato il colore!], a illustrazioni più piccole che si inframezzano al testo.
Noi di InGenere siamo abituati a vedere Stefano calato in ambiti più squisitamente macabri, ma il suo tratto e il suo approccio al figurativo sempre gentile e fiabesco lo fa riuscire assai bene anche nel fantastico-epico della storia di crescita scritta da Bedini.
Si diceva che Il mio gatto si chiama Odino è il primo volume di una saga! La storia, infatti, pur essendo completa e autoconclusiva, lascia il piccolo-grande spiraglio di un “to be continued…” con le orecchie a punta.
Che bello!
–
Rieccoci a parlare del nostro beniamino: il conte Dracula!
Chi ci segue sa che cerchiamo di non farci sfuggire pubblicazioni e home video che abbiano il conte dai denti aguzzi come protagonista e spesso torniamo a parlare della creatura di Bram Stoker sulla nostra Gazzetta del Fantastico o nei nostri video-redazionali. E allora torniamo a parlarne ancora, anche se stavolta non si tratta di un film o di un racconto, ma di Storia con la “s” maiuscola… per quanto anche qui l’arte del romanzare è riuscita a insinuare i suoi tentacoli fra antiche guerre di conquista e alleanze tra ricche e potenti famiglie.
Da poco uscito per Stamperia del Valentino, Sulla presunta tomba di Dracula a Napoli di Laura Miriello è un libro che propone la ricostruzione di un viaggio iniziato circa 10 anni fa, con la scoperta – effettuata da una studentessa durante le sue ricerche per la tesi di laurea – di una lastra tombale con strani glifi all’interno del complesso conventuale di Santa Maria la Nova a Napoli.
Il viaggio inizia lì, ma propone subito un enorme salto indietro nel tempo, fino alla corte di Vlad Tepes III [proprio il nostro Dracula, o almeno la sua versione realmente esistita servita a Stoker come ispirazione per creare il suo personaggio].
Sulla presunta tomba di Dracula a Napoli è una piccola ma puntuale indagine storica, che prendendo piede dai glifi della lapide e dall’iconografia condivisa negli stemmi familiari di Tepes, dell’Ordine del Drago e di una figura femminile che si ritrova al centro di questa ricerca: Maria Balsa, probabile figlia illegittima di Vlad, che raggiunse il Regno di Napoli di Ferrante d’Aragona probabilmente senza poter dichiarare le sue reali origini e che, dopo esser divenuta contessa di Acerenza e Muro, potrebbe aver fatto disseminare segnali e simboli circa la sua vera identità all’interno di pitture e altro.
Se le ipotesi da cui l’indagine si rivelasse vera, l’Impalatore non morì in battaglia, ma riuscì a fuggire con la figlia e si rifugiò a Napoli, dove invecchiò e finì la sua vita in incognito, finendo poi sepolto dietro la lapide misteriosa.
Laura Miriello non ha – ovviamente – ancora modo di mettere un punto definitivo a questa affascinante Storia, ma riesce almeno [e non è poco] a fare ordine e a presentarci in modo chiaro le varie ipotesi, arrivando a trarre qualche pensiero personale a riguardo e promettendo di rimanere con le antenne alzate, pronte a captare e raccontare ogni nuova scoperta a riguardo.
La vicenda è affascinante e intricata e mostra in maniera assai esplicita e chiara come le vicende belliche e familiari delle potenti famiglie reggenti fossero davvero trasversalmente collegate anche a distanze importanti e con differenze culturali ben riscontrabili.
Pur essendo raccontato in modo molto chiaro, il libro richiede un certo interesse per la storiografia. Il fascino per il Vampiro, in questo caso, non basta!
–
Se l’intrattenimento dell’orrore si è spesso ispirato alle più estreme pratiche di estrazione odontoiatrica [dal
The Dentist di
Yuzna ai continui riferimenti nei
torture porn], la storia reale dell’odontoiatria non è stata meno spietata e violenta!
Se pensate di avere il coraggio di conoscerla nei dettagli e poi rientrare all’interno dello studio del vostro dentista non dovete perdervi il bel Il sorriso rubato – Storia nobile [e atroce] dell’Odontoiatria, di Richard Barnett.
Si tratta di un volume di pregio edito in Italia da Illustrati Logos, che racconta la storia dell’odontoiatria partendo proprio da quegli albori così rudimentali da rasentare la tortura!
Nel volume di Logos, cover cartonata con costina e lato sinistro in rosa con un bell’effetto ruvido al tatto e decorazioni dorate [probabilmente a richiamare il colore gengivale e le otturazioni in oro che fin dall’inizio della storia della cura dentale hanno illuminato le cavità orali dei più abbienti], il viaggio nel tempo della cura e della bellezza della bocca è scandito non solo attraverso un racconto storico puntuale intervallato da citazioni bibliografiche davvero interessanti, ma soprattutto da tante pagine di illustrazioni, caricature e fotografie che mostrano ancor più concretamente il viaggio/metamorfosi che dagli spaventosi strumenti dei primi cavadenti porta fino alle più moderne [ma forse non meno spaventose] poltrone da dentista.
Una storia davvero affascinante che racconta l’evoluzione di una branca della cura della persona, inizialmente osteggiata e snobbata dalla Medicina e relegata addirittura a qualcosa di più vicino all’arte di strada di saltimbanchi e ciarlatani.
Particolarmente interessanti e macabre le pratiche di sostituzione di denti perduti che abbracciavano un ventaglio di proposte che andava da una dentiera completa [anche di palato] in avorio che presto iniziava a deteriorarsi nella bocca del proprietario, fino ai cosiddetti “denti di Waterloo”, veri denti che venivano tirati via dalla bocca di soldati morti in guerra [quando non direttamente da cadaveri disseppelliti] per finire nella bocca di chi poteva permettersi una protesi. Ovviamente infezioni e decessi aspettavano dietro l’angolo.
Il sorriso rubato mette in luce come la società contemporanea abbia profondamente cambiato atteggiamento nei confronti dell’odontoiatria e come il dentista sia riuscito nella scalata sociale che lo ha portato dalle estrazioni/esibizioni in strada al riconoscimento quale professionista sanitario.
Luca Ruocco