In un luglio particolarmente interessante per quanto riguarda le uscite Netflix per gli amici di InGenereCinema.com, che in un solo mese hanno potuto usufruire del trittico teen-slasher di Fear Street e attendono trepidanti la pubblicazione della serie animata Masters of the Universe – Revelation, una piccola grande sorpresa è stata il nuovo film di Roberto De Feo, firmato in coppia con Paolo Strippoli: A Classic Horror Story.
Titolo venuto fuori inizialmente un po’ in sordina, ha iniziato a far parlare di sé a poche settimane dall’uscita, per creare rumorosi sciami di pareri profondamente discordanti una volta online. Nessun problema: tutto previsto dai due autori che, come dei bravi prestigiatori, mostrano il contenuto della loro busta – la previsione del risultato del gioco – alla fine del numero, durante i titoli di coda, ma questo lo lasciamo gustare a chi di voi deve ancora guardare A Classic Horror Story.
Questo il titolo scelto per il film scritto e diretto a quattro mani dai due registi. Lontano anni luce da quanto raccontato in The Nest – Il Nido nel 2019 da De Feo; lì il regista giocava sul territorio italo-inglese del gotico, qui il campo minato è americaneggiante, pur con tante contaminazioni. Strippoli, invece, è al suo esordio al lungometraggio, e forse la continua e libera provocazione a volte irritante che farcisce ogni momento del film la si deve anche a questo.
Sia come sia, A Classic Horror Story deve gran parte della sua potenza proprio dall’idea che racchiude in nuce: un’idea che lo apparenta a un classico del new horror come Scream [Wes Craven, 1996], per l’aver portato a galla tutte le regole di un “classico film horror”, per averle rese leggibili e riconoscibili, per averle poi ridicolizzate e contemporaneamente rimesso in regola il meccanismo a orologeria dell’horror, per dare il via ad un altro, nuovo, giro di lancette. Un’idea che, in tempi moderni e con intenti molto meno nobili, ma non per questo meno convincenti e riusciti, ritornava in un film del 2011: Quella casa nel bosco di Drew Goddard. Ecco, probabilmente questo è il titolo che, fra quelli indicati finora, più sarebbe utile tenere a mente se il nostro intento fosse quello di incastrare A Classic Horror Story all’interno della storiografia horror contemporanea [e sapete che questo è uno dei pallini di chi scrive e di InGenere]. Continuiamo, perciò, il nostro percorso per tirar fuori spunti e tematiche dal film di De Feo e Strippoli.
Le regole che i due registi portano a galla e stravolgono sono quelle, dicevamo, dell’horror classico americano. Quello che parte dallo slasher più crudo e realistico alla Non aprite quella porta [il gruppo eterogeneo che viaggia sul pulmino per poi ritrovarsi all’interno di un incubo è pescato da lì] e quello più demoniaco alla cabin on the woods de La Casa di Raimi e vari epigoni. Classico horror, ce lo hanno detto nel film e non fanno altro che ripetercelo i personaggi del film. Lo fanno, sottolinearlo è importante soprattutto per dare i giusti riferimenti di lettura a chi ancora il film deve vederlo, in un ambiente ironico, da commedia, quindi queste regole, questa “classica storia horror”, viene oltraggiata e vilipesa volontariamente. E’ un gioco con lo spettatore, è metacinema [c’è un regista frustrato fra i protagonisti del film] e bisogna starci.
Proprio come sta succedendo nel cinema horror americano contemporaneo, la ventata di aria fresca che si respira all’interno delle dinamiche filmiche arriva quando il ventaglio di proposte orrorifiche si apre al folk horror: sotto-Genere che visivamente si concretizza in trovate che rimandano direttamente ad altri film [dallo storico The Wicker Man di Robin Hardy, del1973], con la struttura sacrificale a sarcofago di vimini dove viene inserita una delle giovani interpreti del film; alla casa nel bosco che sembra ricalcare le geometrie esoteriche di quella vista nel più moderno Gretel e Hansel di Oz Perkins [2020]; allo straniante Midsommar – Il villaggio dei dannati di Ari Aster [2019], per una scena fondamentale [per entrambi i titoli] che si fa specchio l’una nell’altra. Sempre da non dimenticare, però, la chiave iconoclasta del film Netflix.
Ma ha senso fare una horror comedy cercando di spacciarla per un folk horror italiano raccontato all’americana? Il progetto è folle, non lo neghiamo, ma i tempi che viviamo sono ancor più folli, non possiamo permetterci reticenze e il risultato suona bene.
Il viaggio dei nostri protagonisti, messi insieme casualmente da una app di car sharing, porta nelle terre di Calabria e fra i suoi boschi i protagonisti [interpretati da Yuliia Sobol, Matilda Luz, Peppino Mazzotta e Francesco Russo] si ritrovano dopo aver perso i sensi a causa di un banale incidente automobilistico.
Un limbo alla Lost fatto di alberi, radure e silenzio e con qualcuno che li tiene d’occhio dentro e fuori a quella casa che sembra abbandonata ma non lo è affatto, per poi passare all’attacco.
L’inserto più folk nella horror story di De Feo è Strippoli è di certo rappresentata dalla storia mitologica dei tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, che si vuole alla basa della nascita della ‘ndrangheta. Elemento, questo, che fa anche saltare tutte le valvole di controllo della storia, i cui tentacoli vanno ora a lambire mafia e snuff movie, per lanciarsi verso una serie di twist, alcuni dei quali più prevedibili di altri, ma anche ben sottolineati intenzionalmente dagli autori sin dall’inizio della storia.
Per quanto riguarda il lato della violenza, la scelta degli autori è quella di relegare il lato più gore e grafico quasi del tutto fuori scena, nonostante rimandi precisi portino in campo anche il nostro horror migliore [una scena in particolare rimanda a una storica perforazione oculare di Fulci].
Ritorniamo in chiusura al gioco di prestigio: gli autori di A Classic Horror Story giocano a carte scoperte fin dall’inizio, ma sono abili manipolatori [e lo dimostra ancora una volta la scena che si inframmezza ai crediti] e il loro modo di distrarre lo spettatore – con un’interpretazione sopra le righe, con l’allure della protagonista, con un’infinita sequela di rimandi e citazioni, con il metacinema e con una veste stilistica interessante – fa credere davvero per un po’ di stare assistendo al racconto di una “classica storia horror”. Non è così. Non rimaneteci male.
Luca Ruocco
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A CLASSIC HORROR STORY
Regia: Roberto De Feo, Paolo Strippoli
Con: Matilda Anna Ingrid Lutz, Francesco Russo, Peppino Mazzotta, Will Merrick, Yuliia Sobot, Alida Baldari Calabria
Uscita in piattaforma in Italia: mercoledì 14 luglio 2021
Sceneggiatura: Roberto De Feo e Paolo Strippoli, Milo Tissone, David Bellini, Lucio Besana
Produzione: Colorado Film, Rainbow, Netflix
Distribuzione: Netflix
Anno: 2021
Durata: 95’